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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Giornale-La Stampa Rassegna Stampa
23.03.2013 Obama, viaggio concluso: Gerusalemme, Ramallah, Amman. Con una coda in Turchia
Cronache e commenti di Fiamma Nirenstein,Maurizio Molinari

Testata:Il Giornale-La Stampa
Autore: Fiamma Nirenstein,Maurizio Molinari, Davide Frattini, Fabio Scuto
Titolo: «Vari»

Barack Obama ha concluso il viaggio mediorientale, Gerusalemme, Ramallah, Amman. Un viaggio di indubbio valore positivo a giudicare dai risultati, con una appendice altrettanto valida, la telefonata tra Bibi e Erdogan, che ha - per ora- riaperto il rapporto fra Israele e Turchia.
Riprendiamo oggi, 23/03/2013,  cronace e commenti dal GIORNALE , Fiamma Nirenstein, dalla STAMPA, Maurizio Molinari.
Ecco gli articoli:

Il Giornale-Fiamma Niresntein: " Regalo di Obama a Israele: pace fatta con la Turchia"


Fiamma Nirenstein   Erdogan e Bibi
 
Gerusalemme. Shalom Obama, Israele col naso per aria resta di solo, minuscolo in mezzo a un mondo islamico in agitazione. E’ stato bello per il popolo ebraico scoprire un amico caloroso dopo quattro anni di frizioni e disaccordo, consolante guardare le pacche sulle spalle di Bibi e Barak senza giacca sulla pista dell’aeroporto, è stato indispensabile discutere con gli USA una nuova strategia dopo il lungo periodo di stupefazione seguito alle primavere arabe. Quando l’Air Force One si è alzato intorno alle 15:00 diretto da re Abdullah di Giordania, si è disegnato nel cielo troppo caldo un ricamo nuovo, un Medio Oriente diverso da quello di tre giorni fa.

Il segnale è stato un evento esplosivo dell’ultima ora: “Pronto -ha detto Obama parlando con l’ufficio del primo ministro turco Tayyp Erdogan dall’Hotel King David di Gerusalemme- ho qui un amico per te”. E gli ha passato quello che in realtà è da anni è per Erdogan il nemico di elezione numero uno, e da ancor prima del 31 maggio 2010, quando per fermare la Flottilla diretta a Gaza l’esercito israeliano uccise nove turchi. Chi erano, perché accadde... certo non erano pacifisti come la narrativa turca tramanda, ma non è più importante. Importante che sotto l’ala di Obama, Bibi si scusa dell’accaduto, dice che ogni atto che sia stata causa della perdita di vite umane gli dispiace alquanto, promette ricompense economiche alle famiglie, si impegna a gesti amichevoli verso i palestinesi, compresa la facilitazione dei movimenti dal West Bank e perfino da Gaza. E’ una telefonata storica, che finisce con la promessa di ripristinare gli ambasciatori sospesi a Ankara e a Gerusalemme.

Perché Obama ha voluto tanto riaprire la strada dell’antica, fruttuosa alleanza di Israele con la Turchia? La risposta è già scritta nella scelta di fare di Israele la sua prima tappa del secondo mandato, come aveva fatto del Cairo alla prima elezione. Siamo allora alla vigilia delle primavere arabe, Obama spera ancora che la sua politica della mano tesa e dell’affossamento dei vecchi tiranni prepari stabilità e di pace per tutto il mondo. Ma si sbagliava. La presa del potere della Fratellanza Musulmana ovunque, e soprattutto in Egitto, non ha creato democrazia interna né apertura verso l’Occidente. Le religioni e le civiltà confliggono. Cresce il pericolo di esplosione mondiale con la scelta iraniana di proseguire nella costruzione dell’atomica; la Siria è una santabarbara dove un tiranno impazzito e forze incontrollabile legate alla parte sunnita più pericolosa fino ad Al Qaeda, giocano a pallone con armi chimiche micidiali. Gli Hezbollah sono giannizzeri impazziti di questa guerra, Hamas segnala la sua presenza solo con missili e minacce a Israele, mentre Abu Mazen, paralizzato dalle minacce interne e dall’educazione all’odio del suo popolo, non viene a quella trattativa di cui Obama si era fatto paladino spingendosi molto verso le ragioni palestinesi. Obama adesso ha bisogno di compensare i suoi errori, creando una nuova alleanza anti estremista, anti iraniana nel Medio Oriente. 

Dunque, ha visitato i palestinesi e gli ha riproposto la trattativa, ma stavolta senza precondizioni. A Netanyahu ha dimostrato il suo ripensamento sottolineando il diritto storico del popolo ebraico alla sua terra. Ieri con le visite al Museo della Shoah, a Yad Va Shem ha ribadito che il popolo ebraico ha diritto alla sua terra non in virtù della tragedia patita, ma della sua antichissima fedeltà alla terra d’Israele e la sua spinta dalla schiavitù alla libertà. Spinge il processo di pace, ma soprattutto gli interessa costruire un fronte moderato davvero amico degli USA, che fronteggi il pericolo siriano e degli Hezbollah pronti eventualmente alla sfida iraniana. Per completare il suo compito Obama dunque ieri è andato in Giordania, dove 350mila profughi dalla Siria minacciano, insieme alla crisi economica e alla forte presenza estremista il re Abdullah, che aspetta a braccia aperte l’amico americano. Ha bisogno di Obama, come ne hanno bisogno di lui tutte le forze moderate del Medio Oriente in un momento decisivo. E Obama, ha bisogno di loro. Per questo cambia la strategia degli USA. Il segretario di Stato John Kerry tornerà in Israele dopo la visita in Giordania. C’è molto lavoro da queste parti.

La Stampa-Maurizio Molinari: Obama in pressing sulla UE 'Mettete fuorilegge Hezbollah'

Gerusalemme- Barack Obama discute con il re giordano Abdallah l’emergenza in Siria e preme sull’Unione Europea affinché inserisca nella lista delle organizzazioni terroristiche gli Hezbollah libanesi, implicati in recenti attentati anti-israeliani e sostenitori del regime di Bashar Assad.

L’offensiva diplomatica di Washington su Bruxelles, guidata dal Segretario di Stato John Kerry che accompagna Obama nel viaggio, prende spunto dalla condanna a Nicosia di Hossam Taleb Yaacub, miliziano Hezbollah riconosciuto colpevole di aver tentato di pianificare attentati contro turisti israeliani a Cipro. Per Victoria Nuland, portavoce del Dipartimento di Stato, gli sviluppi a Cipro si legano con l’esito delle indagini in Bulgaria sull’attentato anti-israeliano di Burgas nello scorso anno attribuito anch’esso a Hezbollah, portando alla «necessità da parte degli alleati europei di mandare a questa organizzazione un messaggio inequivocabile». Daniel Benjamin, ex coordinatore del contro-terrorismo al Dipartimento di Stato e oggi docente alla Darmouth University, spiega: «Hezbollah è attivo ora fuori dal Libano come non avveniva dagli Anni Ottanta e l’amministrazione Obama cerca il sostegno degli alleati europei, Italia inclusa, per farlo includere nella lista nera degli gruppi terroristi e limitarne le attività».

L’Ue ha finora esitato nel timore di conseguenze negative per la stabilità del Libano «ma si tratta di una preoccupazioni superata dai fatti - osserva Benjamin - perché nel frattempo Hezbollah ha ucciso il premier libanese Hariri, il capo dell’intelligence libanese e controlla l’operato del governo di Beirut».

Come dire: è ora di far scattare le sanzioni contro il partito filo-iraniano di Hassan Nasrallah, al comando di un apparato militare più potente dell’esercito libanese. Se le pressioni di Washington si intensificano sulle capitali dell’Ue è anche in ragione della «sovrapposizione con la guerra in Siria - aggiunge Benjamin - perché Hezbollah è uno dei maggiori alleati del regime di Assad». A dimostrarlo è il fatto che oramai la maggioranza dei rifornimenti di armi che arrivano a Damasco transitano dall’aeroporto di Beirut, raggiungendo la destinazione su convogli protetti da Hezbollah. Le molteplici minacce alla stabilità del Medio Oriente portate dall’Iran e dei suoi alleati sono state discusse da Obama nell’incontro con Abdallah, al cui termine il presidente Usa si è rivolto al Leader Supremo di Teheran, Ali Khamenei, per invitarlo a «negoziare sullo stop al nucleare anziché lanciare minacce contro Israele».

Fonti del ministero degli Esteri giordano affermano che «il sostegno dell’Iran ad Assad è massiccio in armi e milizie», esprimendo preoccupazione per un conflitto che «ha già portato alla moltiplicazione dei gruppi islamici estremisti» fino al punto da prevedere che «se Assad cadesse oggi per stabilizzare la Siria servirebbero anni». Uno degli scenari esaminati da funzionari giordani riguarda la possibilità che «Assad si rifugi nelle aree alawite lungo la costa, dando vita ad una continuità territoriale con il Libano» a conferma del patto con Hezbollah. Si è così conclusa la terza giornata del viaggio di Obama, che prima di lasciare Israele ha visitato il museo dell’Olocausto e sostato sulle tombe di Teodoro Herzl, fondatore del sionismo, e del premier Yizhak Rabin.

La Stampa-Maurizio Molinari: "Barack media fra Israele e Turchia, Netanyahu fa pace con Erdogan"


Peres, Obama, Bibi a Gerusalemme

Gerusalemme
Il primo successo della missione di Barack Obama in Medio Oriente arriva con la risoluzione della crisi fra Israele e Turchia. Poco prima di decollare con l’Air Force One dall’aeroporto di Tel Aviv alla volta di Amman, il presidente americano si è appartato con il premier israeliano Benjamin Netanyahu e assieme hanno chiamato il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan. Era stata la Casa Bianca a preparare il colloquio fra i tre leader con l’intento di «riappacificare due nostri importanti alleati» espresso nei giorni scorsi dal Segretario di Stato, John Kerry. La telefonata si è così svolta secondo lo schema studiato a tavolino per ricomporre la crisi iniziata nel maggio del 2010 quando la nave turca Navi Marmara tentò di violare il blocco marittimo a Gaza e venne assaltata dai commando israeliani portando a scontri che causarono la morte di nove attivisti propalestinesi fra i passeggeri.

Secondo la ricostruzione fornita da diplomatici americani, Netanyahu ha iniziato la telefonata presentando le «scuse personali» per «tutti gli errori compiuti nell’operazione militare resi evidenti dalle indagini condotte, che hanno portato alla perdita di vite umane». E si è anche offerto di «pagare risarcimenti» alle famiglie delle nove vittime turche. Erdogan «ha accettato le scuse» riconoscendo la «necessità di normalizzare le relazioni». Il tutto alla presenza di Obama, che in questo modo ha sottolineato l’urgenza della riconciliazione.

Ciò ha portato all’immediato accordo sul ripristino delle normali relazioni diplomatiche fra i due Paesi, incluso lo scambio degli ambasciatori, e la rinuncia da parte di Ankara di ogni azione legale nei confronti dei soldati israeliani che parteciparono all’assalto alla nave intenzionata a raggiungere la Striscia di Gaza controllata dai fondamentalisti di Hamas. La conversazione a tre è durata 10 minuti ed è stata la Casa Bianca a renderla nota plaudendo alla riappacificazione: «Assegniamo grande importanza al ripristino di normali relazioni fra due Paesi con cui abbiamo relazioni di grande valore perché ciò contribuisce a far progredire pace e sicurezza regionale», recita il testo di un comunicato del presidente Obama.

Fonti diplomatiche israeliane spiegano che il passo compiuto da Netanyahu con la presentazione di formali scuse da parte del governo si spiega con la necessità di «far fronte alla gravità della situazione in Siria» che è in cima all’agenda mediorientale degli Stati Uniti e potrebbe portare nel breve periodo Israele e Turchia a cooperare con altri alleati di Washington, a cominciare da Arabia Saudita e Giordania, per tentare di stabilizzare un Paese devastato da oltre due anni di guerra civile.

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