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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Repubblica - Il Manifesto - L'Unità Rassegna Stampa
21.03.2013 Obama in Israele : in attesa dell'incontro di Ramallah
cronache di Fabio Scuto, Michele Giorgio. Intervista a Saeb Erekat di Udg

Testata:La Repubblica - Il Manifesto - L'Unità
Autore: Fabio Scuto - Michele Giorgio - Umberto De Giovannangeli
Titolo: «'Barack ci snobba, che delusione' esplode la rabbia dei palestinesi - 'Gli Usa continuano a negare il nostro diritto all'esistenza' - Al presidente Usa diciamo: fermi gli insediamenti»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 21/03/2013, a pag. 21, l'articolo di Fabio Scuto dal titolo " 'Barack ci snobba, che delusione' esplode la rabbia dei palestinesi ". Dall'UNITA', a pag. 10, l'intervista di Umberto De Giovannangeli a Saeb Erekat dal titolo " Al presidente Usa diciamo: fermi gli insediamenti ", preceduta dal nostro commento. Dal MANIFESTO, a pag. 2, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo "  'Gli Usa continuano a negare il nostro diritto all'esistenza'".
Ecco i pezzi:

La REPUBBLICA - Fabio Scuto : "  'Barack ci snobba, che delusione' esplode la rabbia dei palestinesi  "



Protesta palestinese contro Obama

RAMALLAH — Forse le bandiere americane lungo il percorso verranno messe solo stamattina all’ultimo minuto, quando Barack Obama con il suo corteo presidenziale arriverà alla Muqata per incontrare il presidente palestinese Abu Mazen. Rimossi dalle strade i manifesti con la faccia del presidente americano cancellata con una X rossa. Discretamente la “Sicurezza preventiva”, i servizi segreti dell’Anp, e migliaia di poliziotti in divisa, assicureranno che le due ore della visita presidenziale scorrano tranquille. Perché la piazza è in fermento, il disincanto e il pessimismo di Abu Mazen si riflettono nelle strade della “capitale provvisoria” palestinese diventando delusione, rabbia e la protesta è pronta per esplodere. I vertici palestinesi hanno evitato critiche al viaggio di Obama, ma in Cisgiordania appare chiaro che Israele è il vero centro della visita del presidente americano e il governo israeliano impegnato a sottolineare la dimensione storica delle sue relazioni con gli Usa. Finora, notano alla Muqata, in tutte le dichiarazioni Obama non ha mai nominato i palestinesi per nome, ma si limitato a definirli i “vicini” di Israele. Non ha peli sulla lingua Mustafa Barghouti, medico e leader della non violenza palestinese. Si lamenta «della disparità di trattamento » riservata ai palestinesi, notando che Obama visiterà in Israele la tomba del padre del sionismo Theodor Herzl e quella di Yizhak Rabin, ma non quella di Yasser Arafat a Ramallah, che pure con Rabin condivise un Nobel per la Pace nel 1994. «In accordo o in disaccordo con lui, il presidente Arafat è un simbolo per i palestinesi», dice l’ex ministro della Sanità. Mentre l’Air Force One in mattinata atterrava a Tel Aviv un gruppo di 200 attivisti palestinesi ha montato una dozzina tende e innalzato una bandiera palestinese gigante su una altura di fronte alla ormai famosa collina “E 1”, alle spalle di Gerusalemme, dove il governo Netanyahu intende costruire un insediamento colonico tagliando così ogni possibilità di comunicazione fra nord e sud della Cisgiordania, impedendo al futuro stato della Palestina di avere una contiguità territoriale. La polizia israeliana ha ordinato ai manifestanti di liberare l’area, subito dichiarata “zona militare”, ma per ora non ha cercato di abbattere il campo. Altre proteste a Betlemme, a Hebron — dove alcuni attivisti israeliani sono stati fermati — e a Gaza dove bandiere e poster del presidente Usa sono state bruciate. «Peccato, che Obama sarà in Palestina per poco più di un paio d’ore», dice Nabil Shaat, ex premier e negoziatore palestinese, parlando dell’incontro di oggi e alla visita alla Natività a Betlemme prevista per venerdì. «La segregazione razziale, compreso il trasporto pubblico, è stato un periodo oscuro della storia americana: e questo sta accadendo oggi in Palestina», dice Shaat riferendosi ai bus “obbligatori” per i pendolari palestinesi che hanno il permesso di lavoro in Israele, «Obama, certamente sensibile sulla materia, è invitato a prendere nota del fatto». Il messaggio che daremo al presidente è chiaro, dice Shaat: «Non abbiamo bisogno di altri 20 anni di negoziati: abbiamo bisogno di decisioni coraggiose e ferme prima che sia troppo più tardi. Ci aspettiamo di più di un appello per la ripresa del processo di pace, ci aspettiamo azioni concrete sul terreno, che pongano fine all’occupazione israeliana dopo 46 anni».

Il MANIFESTO - Michele Giorgio : " 'Gli Usa continuano a negare il nostro diritto all'esistenza' "


Michele Giorgio


Protesta palestinese contro Obama

Q uesto villaggio di tende è la risposta ad una Amministrazione americana complice del colonialismo e dell'occupazione». Abir Qutbi, portavoce del Coordinamento dei Comitati popolari palestinesi, risponde categorica alle nostre domande. Parla mentre 300 attivisti palestinesi stando dando vita di nuovo all'accampamento di Bab Shams nel corridoio di terra "El" (13 kmq), tra Gerusalemme Est e la Valle del Giordano, dove il premier israeliano Netanyahu intende far costruire migliaia di case per coloni. A gennaio la polizia israeliana lo evacuò con un atto di forza e anche questo nuovo villaggio di tende, battezzato Ahfad Younis (il nipote di Younis, il prótagonista del romanzo "Bab al-Shams" di Elias Khouri), è destinato a subire la stessa sorte. «Obama e gli Stati Uniti - spiega Abir - tacciono di fronte alle violazioni e gli abusi sistematici a danno dei palestinesi. Dovrebbero invece riconoscere che la Cisgiordania occupata è terra palestinese e non appartiene a Israele». È forte la rabbia tra gli attivisti. Mentre ieri issavano le 15 tende di Ahfad Younis, da Tel Aviv e Gerusalemme arrivavano le dichiarazioni di Obama sui legami e diritti storici del popolo ebraico «sulla terra di Israele». «Non ne siamo affatto sorpresi», ci diceva ieri Amer, un altro protagonista di questa ennesima iniziativa dei Comitati popolari contro la colonizzazione. «C'è un impegno sistematico degli Stati Uniti e di altri paesi occidentali volto a riconoscere solo la narrazione storica israeliana. Eppure questi paesi sanno che è conto la storia. È uno stravolgimento politico e culturale che vuole negare i legittimi diritti dei palestinesi anche solo su di una piccola parte della loro terra», ha aggiunto Amer. Gli umori a Bab Shams-Ahfad Younis riflettevano ieri i giudizi di gran parte dei palestinesi dei Territori occupati, alla vigilia della visita di Barack Obama a Ramallah dove oggi incontrerà il presidente dell'Anp Abu Mazen e il premier Salam Fayyad. Un meeting inutile secondo molti, che non porterà alcun beneficio e che potrebbe sfociare in pressioni sui dirigenti palestinesi per farli tornare al tavolo delle trattative, rinunciando alla precondizione dello stop alla colonizzazione israeliana. Nei giorni scorsi si sono svolte manifestazioni e raduni a Ramallah e in altre località. Ieri anche a Gaza. In protesta contro l'arrivo di Obama (che domani visiterà brevemente la Chiesa della natività a Bet-lemme). Sono stati calpestati poster con l'immagine del presidente americano e scanditi slogan contro il «no» pronunciato lo scorso novembre da Obama all'adesione della Palestina alle Nazioni unite come Stato osservatore. «Questa amministrazione segue il percorso tracciato da queUe precedenti che hanno usato il diritto di veto (nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu) per ben 43 volte per aiutare Israele e negare i diritti dei palestinesi», sottolinea Abir Qubti. Abu Mazen da parte sua riceverà con tutti gli onori il presidente americano. Chiederà a Obama di convincere il premier israeliano a sbloccare i fondi palestinesi (700 milioni di dollari in dazi doganali e tasse) che tiene congelati dallo scorso novembre (da allora Israele ha trasferito solo 200 milioni di dollari nelle casse dell'Anp in profondo deficit). Il presidente palestinese spera anche di persuadere Obama a spingere per ottenere la liberazione di detenuti politici in carcere in Israele. In particolare di Samer Issawi, in sciopero della fame da mesi (accetta solo flebo dl sali e glucosio) e in condizioni critiche. Ieri Laila Issawi, la madre del prigioniero ha indirizzato un appello a Obama per la scarcerazione immediata del figlio. Tra i palestinesi non manca chi non si arrabbia e piuttosto ironizza sulla visita di Obama nei Territori occupati. R cantante Alaa Shiham ha scritto una canzone per l'arrivo del presidente Usa. «Obama vuole uno Stato per noi, ma dice che lo Stato ha bisogno di più tempo. Aspettiamo da sempre, possiamo aspettare ancora», dice il ritomello. Nel video che spopola su Youtube, si vede Obama, interpretato da un attore locale, che rimane bloccato al check point israeliano di Kalandia e che ad un certo punto tira fuori un cartellino rosso con la scritta "Veto". «Obama usa il veto - canta Shiham - e se non ci diamo una mossa non avremo più aria da respirare o acqua da bere».

L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : " Al presidente Usa diciamo: fermi gli insediamenti "


Saeb Erekat

L'intervistato, Saeb Erekat, è il negoziatore palestinese.
E' sufficiente leggere le sue dichiarazioni per rendersi conto del perché i negoziati sono bloccati da mesi.
Da parte di Erekat solo pretese, nessun compromesso, nessuna garanzia per Israele. Questo sarebbe negoziare ?
Ovviamente (come anche nell'articolo di Michele Giorgio ripreso in questa pagina di rassegna), nemmeno un accenno al terrorismo palestinese contro i cittadini israeliani. Ci saremmo stupiti del contrario.
Ecco l'intervista:

«Nessuno si illude che un viaggio, per quanto importante, possa di per sé determinare una svolta. Ma il presidente Obama sa bene che in Medio Oriente il tempo non lavora per la pace, e dunque occorrono atti concreti che ridiano corpo alla speranza. Questo è ciò che i palestinesi chiedono a Barack Obama». A parlare è uno dei più autorevoli esponenti della leadership palestinese: Saeb Ereltat, capo negoziatore dell'Autorità nazionale palestinese. «Da Obama - dice Erekat a l'Unità - ci attendiamo una presa di posizione molto netta sulla colonizzazione israeliana dei Territori palestinesi. Pace e insediamenti sono inconciliabili». La visita di Obama, la prima da presidente, in Israele e nel Territori non sembra aver conquistato I palestinesi. «Non poteva essere altrimenti. Obama aveva generato grandi aspettative non solo nei palestinesi ma nell'intero mondo arabo quando parlò, all'inizio del suo primo mandato presidenziale, di un "Nuovo Inizio" nei rapporti tra gli Usa e l'Islam, e quando si espresse a favore di una pace tra israeliani e palestinesi fondata sul principio "due popoli, due Stati", in sintonia con quanto sostenuto a più riprese, e anche nei suoi incontri alla Casa Bianca come dalla tribuna delle Nazioni Unite, dal presidente Abbas...». E allora, qual à li problema? . «Il problema è che alle parole, coraggiose, impegnative, non sono seguiti i fatti, e qualunque statista è dai fatti che viene giudicato». II negoziato diretto, perorato da Obama, à una strada impraticabile? «La linea negoziale è una scelta strategica dell'attuale dirigenza palestinese. Voglio essere ancora più chiaro: nessuno più dei palestinesi può ricevere dei vantaggi dal successo del processo di pace, e nessuno perde di più dal fallimento. Siamo consapevoli che la pace è un incontro a metà strada tra le rispettive ambizioni e richieste. Ma Israele rifiuta di fare i passi necessari, continuando a praticare una politica fatta di atti unilaterali». A cosa sl riferisce In particolare? «Alla colonizzazione della Cisgiordania e di Gerusalemme Est. Netanyahu ha continuato a parlare di dialogo, annunciando addirittura "aperture storiche". Ma la realtà dice ben altro: c'è stata una intensificazione della costruzione degli insediamenti: il 17% in più nel 2012, più di tutti gli anni precedenti a partire dal 1967». Nell'Incontro di domani con Il presidente Abbas, Obama, stando a fonti diplomatiche Usa, ribadirà li suo sostegno alla creazione dl uno Stato palestinese. «Al presidente Obama consegneremo le mappe della Cisgiordania, e uno studio sulla crescita degli insediamenti e della terra palestinese acquisita unilateralmente da Israele con la costruzione del Muro. Su quale territorio dovrebbe nascere, e quando, lo Stato di Palestina? Quale la sovranità sul suo territorio nazionale? E lo status di Gerusalemme? Non sono interrogativi strumentali, ma segnalano la necessità di non limitarsi più a parlare di "Stato" ma entrare nel merito. Mi lasci aggiungere che chiedere lo stop degli insediamenti, non è una pregiudiziale dei palestinesi a riaprire il negoziato con Israele, ma è qualcosa che attiene al rispetto da parte israeliana di accordi già sottoscritti, in linea con quella Road Map che oltre a Onu, Ue e Russia, ha negli Stati Uniti i suoi estensori». Israele ha da pochi giorni un nuovo governo, che ha come elemento dl novità la presenza del partito centrista dl Yalr Lapid e un ministro, Tzipl Llvnl, con delega al negoziato con i palestinesi. «Per quanto ci riguarda, non avremmo problemi a parlare con Lapid o con la signora Livni. Ma se vogliamo dare una prospettiva seria al negoziato, il governo israeliano dovrebbe accettare la soluzione a due Stati basata sui confini del 1967 e rispettare i propri impegni, tra cui il blocco della costruzioni negli insediamenti».

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