Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 19/03/2013, a pag. 15, gli articoli di Maurizio Molinari e Aldo Baquis titolati " Obama alla conquista di Israele " e " L’offerta di Bibi: 'Compromesso storico con i palestinesi' ". Dal FOGLIO, in prima pagina, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " Ad attendere Obama in Israele c’è un nuovo “Ottetto” di superfalchi ".
Il commento di IC sulla visita di Obama in Medio Oriente è contenuto nella 'Cartolina da Eurabia' di Ugo Volli di oggi, pubblicata in altra pagina della rassegna (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=280&id=48490).
Ecco i pezzi:
La STAMPA - Maurizio Molinari : " Obama alla conquista di Israele "


Maurizio Molinari Barack Obama
Barack Obama parte questa sera per Gerusalemme con l’intenzione di aprire un dialogo diretto con gli israeliani. Ben Rhodes, 35enne consigliere strategico e speechwriter del presidente americano, vede in questo viaggio un parallelo con quello fatto al Cairo nel giugno 2009: «Allora Obama si rivolse direttamente ai popoli arabi del Medio Oriente, ora lo farà con gli israeliani». Poiché il primo quadriennio di Obama è stato segnato dalle fibrillazioni fra Washington e Gerusalemme «il presidente vuole gettare le basi di un nuovo rapporto con il popolo israeliano prima ancora che con i suoi leader» anticipa Dennis Ross, ex consigliere della Casa Bianca sul Medio Oriente, spiegando che «Obama punta a far coincidere la realtà di un’alleanza strategica mai così solida con una percezione pubblica israeliana che finora è stata negativa».
Come dimostrando i sondaggi d’opinione, secondo cui appena il 18 per cento degli israeliani si fida di Barack. Da qui il valore dell’itinerario che la Casa Bianca ha studiato per le 48 ore di visita, al fine di evidenziare gli aspetti di Israele a cui Obama vuole rivolgersi. Il presidente visiterà una batteria antimissile dell’Iron Dome per sottolineare la cooperazione nella sicurezza, farà tappa al Museo Israel per rendere omaggio all’alta tecnologia, sosterà sulla tomba di Teodoro Herzl padre del sionismo e allo Yad va-Shem, in segno di rispetto per la memoria della Shoà, parlando giovedì a Gerusalemme a duemila giovani invitati dall’ambasciata Usa, che ha depennato gli studenti dell’ateneo di Ariel perché nei territori occupati nel 1967.
È un percorso dal quale mancano il Muro del Pianto, la Città Vecchia di Gerusalemme e ogni riferimento a Giudea e Samaria contese con i palestinesi perché l’intenzione è di rivolgersi all’Israele giovane, laica e sionista di Tel Aviv, culla dell’industria hi-tech della «Start Up Nation» descritta nel libro di Dan Senor e Saul Singer, con oltre 130 aziende quotate a Wall Street. Per questo Obama, nell’intervista alla tv «Arutz 2», dice «vorrei passeggiare in incognito fra i locali di Tel Aviv».
Sono gli stessi pub dove leader politici come Yair Lapid e Tzipi Livni passano le serate e da cui è arrivata la messe di voti che ha premiato Yesh Atid, il partitosorpresa delle ultime politiche. In realtà le urne hanno regalato anche la sorpresa del Focolare Ebraico di Naftali Bennett ma rappresenta gli israeliani degli insediamenti, che sono i più lontani da Obama. Dan Shapiro, 44enne ambasciatore Usa in Israele, è il volto di punta dell’ «offensiva del sorriso»: campeggia in tv e sui social network, va negli atenei e nelle serre nel deserto per incarnare l’integrazione con l’America di Obama. L’ebraico perfetto di Shapiro è un messaggio in sé, che Rhodes rilancia: «Lo parla assai meglio di me».
Il premier Benjamin Netanyahu punta a esaltare le convergenze: dal logo della visita con due bandiere e la scritta «Alleanza infrangibile» alle foto delle operaie di Kfar Saba intente a cucire bandiere a stelle e strisce. Ma Ross lo avverte: «Obama avrà un linguaggio pubblico e uno privato». Ovvero, punterà a creare un legame diretto con gli israeliani ma negli incontri politici parlerà con franchezza. A cominciare dagli insediamenti in Cisgiordania e Gerusalemme Est, a cui Obama si oppone ritenendoli un ostacolo allo Stato di Palestina. Rhodes tuttavia assicura: «Non proporremo soluzioni negoziali perché andiamo in Medio Oriente per ascoltare israeliani e palestinesi». Come dire: le mosse arriveranno dopo.
Terranno dunque banco Iran e Siria. Netanyahu vuole siglare con Obama un’intesa sulla definizione della «linea rossa» oltre la quale il programma nucleare iraniano dovrà essere colpito per impedire a Teheran di avere l’atomica. E poi c’è l’emergenzaSiria: l’arrivo dei jihadisti nelle basi siriane lungo il confine del Golan fa temere a Israele una situazione di conflitto permanente come in Libano con gli Hezbollah. Obama parlerà di Siria anche ad Amman, nell’ultima tappa, mentre giovedì è atteso da Abu Mazen a Ramallah dove il malumore dei palestinesi dilaga. Centinaia di manifesti con l’effigie di Obama coprono la città palestinese con slogan irridenti per il presidente Usa che arriva senza proposte negoziali nel suo primo viaggio dopo la rielezione.
Il FOGLIO - Giulio Meotti : " Ad attendere Obama in Israele c’è un nuovo “Ottetto” di superfalchi "


Giulio Meotti Moshe Yaalon
Roma. Mercoledì è stato l’ultimo giorno, l’ultimo di 2.095 giorni, di Ehud Barak come “Mar Bitachon”, ministro della Difesa d’Israele. Si chiude una stagione (almeno per ora): nessuno ha servito tanto a lungo in quella posizione strategica dopo Moshe Dayan. E’ il ministero più importante dello stato ebraico: Israele, nonostante sia un paese molto piccolo, ha il dodicesimo budget militare più vasto al mondo, la cui giustificazione resta per legge ignota al pubblico. Per questo la Difesa è sempre andata ai generali, come Dayan, Ariel Sharon, Shaul Mofaz, Yitzhak Mordechai, o a grand commis nella sicurezza – come Shimon Peres, Moshe Arens e Yitzhak Shamir. Barak lascia una pesante eredità, fra cui l’immenso investimento per preparare l’attacco contro l’Iran (due miliardi di euro), le operazioni “Piombo fuso” e “Colonna di fumo” a Gaza e uno strike segreto contro l’atomica siriana. Al Kirya, il Pentagono di Tel Aviv, adesso arriva un altro ex capo di stato maggiore, Moshe Yaalon. Domenica il generale ha fatto intendere le sue priorità: l’uranio di Qom, il bunker in cui l’Iran fabbrica la bomba nucleare, lo scenario in cui le armi chimiche del rais siriano Bashar el Assad cadono nelle mani di Hezbollah e lo spettro di una nuova Intifada (ieri jet israeliani hanno lanciato razzi illuminanti su Tiro, in Libano). Sarà Yaalon l’uomo chiave nel tenere i rapporti con la Casa Bianca, adesso che Barack Obama si appresta a compiere la sua prima visita in Israele da presidente. Con Yaalon, Israele ha un nuovo “Ottetto” che negozierà con la Casa Bianca i termini della sfida nucleare iraniana. L’Ottetto è il vertice segreto dei ministri che decidono la sicurezza. Sei ne fanno parte per legge: Yaalon, il premier Benjamin Netanyahu, il ministro delle Finanze Yair Lapid, il ministro della Giustizia Tzipi Livni, il ministro della Sicurezza Yitzhak Aharonovitch e il ministro degli Esteri (per ora Netanyahu, tra un anno Avigdor Lieberman). A questi si aggiungono il ministro dell’Industria Naftali Bennett e il ministro dell’Home Front, Gilad Erdan. Mentre il precedente ottetto aveva una maggioranza contraria allo strike, il nuovo forum è più falco e spregiudicato. Nel precedente Ottetto, Yaalon si era spesso schierato con i critici dello strike, ma si ritiene che abbia cambiato posizione alla luce degli immensi sviluppi tecnici iraniani. “Yaalon – ha osservato la radio statale – è politicamente un ‘falco’, ma nelle questioni militari ha fama di persona pragmatica”. E sull’Iran, la linea rossa di Netanyahu continua a differire da quella della Casa Bianca. La scorsa settimana, Obama ha detto che la sua è la costruzione della bomba atomica, che non avverrà prima di un anno. Per gli strateghi israeliani, è l’arricchimento dell’uranio anche senza “breakthrough”, assemblaggio.
I dissapori sul ritiro da Gaza
Yaalon è un rampollo di sinistra. Figlio di operai, Yaalon viene da Kiryat Haim, il bastione rosso di Haifa, e continua a vivere nel kibbutz Grofit, in una modesta casa con moglie e figli dove è responsabile delle stalle. Yaalon, come Barak, ha diretto la Sayeret Matkal, l’unità famosa per il motto “chi osa vince”, mutuato dalle Sas inglesi, e alla quale vengono affidate le missioni ardite. E’ in questa veste che Yaalon ha diretto il raid che ha portato nel 1988 all’uccisione di Abu Jihad, il capo militare dell’Olp. Ventisei uomini guidati da Yaalon sbarcarono sulle coste tunisine. Mezz’ora dopo il generale riprendeva il mare alla volta di Israele, dopo aver colpito a morte Abu Jihad. A differenza di Barak, Yaalon è amato dai coloni. Nel 2005 Ariel Sharon non gli rinnovò il mandato di capo dell’esercito proprio per la sua opposizione al ritiro da Gaza. “Non possiamo rinchiuderci dietro a muri e barriere”, disse Yaalon prima del ritiro. “Chiunque mostri debolezza è come un animale ferito nella savana: viene attaccato”. Ben Caspit, columnist di Maariv, lo descrive come “stoico e onesto” (si dice che Rabin ammirasse Yaalon per la sua integrità). Yaalon ha un rapporto storico con l’establishment americano, perché sotto il suo comando Israele ha vissuto le difficoltà della guerra in Iraq. Una clausola per la formazione del nuovo governo prevede che ogni cessione di territorio debba essere approvata da un referendum: sui negoziati con Ramallah, Yaalon è un oltranzista. Da generale sostenne gli accordi di Oslo, per poi pentirsi: “Fintanto che l’altra parte non riconoscerà il nostro diritto all’esistenza come stato del popolo ebraico non sono pronto a cedere un millimetro di terra”. Nei corridoi del potere si dice che Yaalon sia pronto a prendere le redini del Likud una volta tramontata la stella di Bibi, già entrata in crisi.
La STAMPA - Aldo Baquis : " L’offerta di Bibi: 'Compromesso storico con i palestinesi' "

Abu Mazen, Bibi Netanyahu
A due giorni dalla visita di Barack Obama in Israele e nei Territori palestinesi, la Knesset ha concesso la fiducia a larga maggioranza al nuovo governo di Benyamin Netanyahu (Likud Beitenu), che si appoggia sulle due forze politiche emergenti nelle ultime elezioni: i centristi laici di Yesh Atid, guidati da Yair Lapid, e il Focolare ebraico di Naftali Bennett, per molti versi espressione del movimento dei coloni.
Malgrado la presenza di Tzipi Livni in funzione di coordinatrice del processo di pace (oltre che di ministro della Giustizia), nel nuovo esecutivo a dare il tono sulle questioni di Stato più rilevanti saranno Netanyahu e il nuovo ministro della Difesa Moshe Yaalon che, per gli analisti, «è falco in politica, e pragmatico nelle cose militari». In particolare Yaalon si oppone a concessioni all’attuale leadership dell’Anp che, a suo parere, resta visceralmente ostile ad Israele.
Per acquietare le prevedibili apprensioni di Obama – che progetta una spola fra Gerusalemme e Ramallah per rilanciare un dialogo di pace - Netanyahu ha pronunciato alla Knesset un discorso improntato alla moderazione. «Siamo pronti ad un compromesso storico – ha assicurato - che metta fine al conflitto con i palestinesi, una volta per tutte. Tendiamo ai palestinesi una mano di pace».
Poco prima Avigdor Lieberman - l’ex ministro degli Esteri che conta di riconquistare l’incarico quest’estate, se uscirà indenne dal processo per frode e abuso d’ufficio - ha chiarito che comunque i deputati a lui fedeli si opporranno a qualsiasi congelamento degli insediamenti in Cisgiordania. Perché israeliani e palestinesi possano riprendere il dialogo, ha aggiunto Netanyahu, occorre che da ambo le parti esista una disponibilità. Parole di cautela, che pure sono state accolte con favore dal Segretario di Stato John Kerry. Ed Obama ha fatto sapere di aver concordato che a Gerusalemme avrà non uno, ma due colloqui con il premier.
Sul tavolo, ha chiarito Netanyahu, ci sono infatti «sfide» che scottano: «Gli iraniani continuano la corsa verso le armi atomiche, e si stanno avvicinando alla “linea rossa” che ho tracciato all’Onu», nel settembre scorso. Sul dossier iraniano Yaalon, secondo la stampa, è comunque disposto ad assecondare in questa fase l’approccio di Obama. «La Siria – ha proseguito il premier - si spacca e ne schizzano fuori armi letali su cui le organizzazioni terroristiche si gettano, come bestie feroci sulla preda». Israele, ha assicurato Netanyahu, si sente comunque vincolato dagli accordi di pace con Egitto e Siria «che rappresentano un’ancora di stabilità nella regione».
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