Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Obama titubante sul nucleare iraniano commento di Mattia Ferraresi. Cronaca di Francesco Semprini
Testata:Il Foglio - La Stampa Autore: Mattia Ferraresi - Francesco Semprini Titolo: «Indecisione nucleare - Kerry in Arabia avverte Teheran: 'c’è poco tempo'»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 05/03/2013, a pag. 1-4, l'articolo di Mattia Ferraresi dal titolo " Indecisione nucleare ". Dalla STAMPA, apag. 18, l'articolo di Francesco Semprini dal titolo " Kerry in Arabia avverte Teheran: 'c’è poco tempo' ". Ecco i pezzi:
Il FOGLIO - Mattia Ferraresi : " Indecisione nucleare "
Mattia Ferraresi
Allora, non perdiamo di vista 'sta cosa...
Roma. Nel gennaio del 2010 il segretario della Difesa, Bob Gates, ha inviato al consigliere per la sicurezza nazionale, Jim Jones, un documento riservato sull’Iran che ha ridefinito l’assetto del dibattito all’interno dell’Amministrazione Obama. L’esistenza delle tre pagine riservate, scritte con lo stile senza orpelli tipico di Gates, è stata svelata per la prima volta da Massimo Calabresi sull’ultimo numero del settimanale Time, all’interno di una lunga inchiesta che dettaglia le ambiguità e le incertezze che hanno tinteggiato i messaggi di Obama sul programma nucleare dell’Iran. Il presidente aveva inizialmente provato a tendere la mano a Teheran, si era mosso con circospezione verso la linea morbida del contenimento, cosa che aveva ringalluzzito gli avversari e indispettito Israele; mentre Benjamin Netanyahu e Ehud Barak iniziavano a contrastare con insistenza la linea vaga dell’Amministrazione a suon di minacce di strike ai siti nucleari iraniani e linee rosse già ampiamente superate, il capo del Pentagono poneva questioni di taglio realista: il compito degli Stati Uniti è impedire all’Iran di avere l’atomica o impedirgli di raggiungere le condizioni che possono portare alla costruzione della bomba? Che conseguenze avrebbe per l’America un attacco israeliano alle centrali iraniane? Washington è pronta per difendersi e per proteggere gli alleati in caso di guerra? Insomma: l’America deve prevenire o contenere la minaccia iraniana? E’ stata questa la linea di frattura nel team della sicurezza nazionale di Obama. La squadra realista guidata da Gates proponeva pazienza strategica e una forma ragionata di contenimento, mentre dall’altra parte del tavolo Hillary Clinton, Dennis Ross e l’allora capo della Cia, Leon Panetta, sostenevano che l’equilibrio nucleare della Guerra fredda non poteva essere riprodotto nello scenario mediorientale. E’ la tensione irrisolta fra i due poli del dibattito che ha portato Obama a esercitarsi in un’arte che conosce a fondo: lasciare che l’indecisione strategica corroda i dossier che dovrebbero qualificare la sua leadership. La posizione attendista di Gates ha formalmente perso la contesa di palazzo e Obama ha preso a indurire la retorica pubblica sull’Iran, tentando di suturare lo scetticismo del governo di Israele. Un anno fa alla conferenza dell’Aipac, la principale lobby israeliana, ha detto che “non esiterò a usare la forza quando è necessario difendere gli Stati Uniti e i suoi interessi”. In un’intervista accuratamente pianificata con Jeffrey Goldberg, uno dei cronisti americani più accreditati presso l’establishment di Israele, ha spiegato che “in quanto presidente degli Stati Uniti non bluffo”. Ieri il vicepresidente Joe Biden – che sta estendendo la sua influenza su tutti i dossier della politica estera, dalla Siria alla Cina – davanti alla stessa platea dell’Aipac ha riconfermato la posizione che il presidente ha reiterato a parole. E si è spinto anche leggermente più in là nel discorso che funge da ouverture per il viaggio di Obama in Israele, il primo da presidente: “Prevenire, non contenere”, ha detto Biden. E ancora: “Il presidente non sta bluffando”. Ha parlato della difesa di Israele come “imperativo strategico e morale” degli Stati Uniti e ha aggiunto la postilla obbligatoria nelle esternazioni dell’Amministrazione sul dossier iraniano: “La preferenza è per la soluzione diplomatica, ma quella militare non è esclusa”. Accanto all’equilibrismo della diplomazia, l’Amministrazione ha condotto una serie di operazioni mirate per frenare sul campo i progressi degli scienziati iraniani. Il virus Stuxnet è stato l’attacco più sofisticato ai sistemi informatici che regolano il funzionamento delle centrali; la sequenza di scienziati nucleari iraniani morti in diversi “incidenti” racconta invece di metodi più tradizionali applicati alla minaccia di Teheran. Ma il team della sicurezza nazionale sa che le operazioni sotto copertura possono soltanto ritardare, e non interrompere, la crescita del programma atomico degli ayatollah. Olli Heinonen, ex vicedirettore della Agenzia internazionale dell’energia atomica, ha detto al Wall Street Journal che ormai la costruzione dell’atomica è soltanto una questione di volontà per l’Iran, non di capacità tecniche. La “sindrome di Stoccolma” dell’agenzia onusiana e la direzione maliziosamente debole di Mohammed ElBaradei hanno dato campo libero agli scienziati del regime: nel segreto delle montagne iraniane ci sono capacità nucleari, dice Heinonen, che l’occidente può soltanto vagamente immaginare. E’ solo questione di tempo, ma in “in ogni caso un successo nucleare dell’Iran renderebbe insufficiente qualunque possibile risposta della comunità internazionale”. Obama è in equilibrio sulla corda che congiunge Washington a Gerusalemme e nel dossier che dovrebbe fissare uno dei pilastri della politica estera obamiana, il presidente sembra incapace di mantenere la concentrazione. Mettere in fila, come ha fatto il Time, ripensamenti e disaccordi intraobamiani sull’Iran restituisce l’immagine di un’Amministrazione che si confonde quando è chiamata a fare scelte dirimenti.
La STAMPA - Francesco Semprini : " Kerry in Arabia avverte Teheran: 'c’è poco tempo' "
Francesco Semprini John Kerry
Si stringe il cerchio intorno a Teheran. Il segretario di Stato americano, John Kerry, avverte che i tempi per una soluzione diplomatica della questione nucleare stanno per scadere. L’opportunità di dialogare «non può rimanere aperta all’infinito», spiega il titolare di Foggy Bottom, al termine dell’incontro di ieri a Riad con l’omologo saudita. «C’è ancora tempo per risolvere la questione col negoziato, ma solo se l’Iran dimostra di affrontare con serietà i colloqui col gruppo dei 5+1», chiosa Kerry in riferimento al sestetto dei membri del Consiglio di sicurezza Onu più la Germania. «Le trattative tuttavia non devono diventare uno strumento per rimandare la soluzione e rendere tutto più complicato», afferma il nuovo timoniere della diplomazia Usa.
Kerry invita Teheran a prendere sul serio Barack Obama quando dice che non consentirà alla Repubblica islamica di dotarsi della bomba atomica e che non esclude nessuna opzione, compresa quella militare. «Speriamo che il negoziato porti a risolvere il problema piuttosto che a contenerlo, le lancette continuano a girare e il dialogo non può andare aventi in eterno», gli fa eco il collega saudita Saud al-Faisal.
La maratona diplomatica di Kerry (Riad è la settima di un percorso a nove tappe tra Europa e Medio Oriente) corre parallela alle trattative: i 5+1 si sono riuniti in Kazakistan con i rappresentanti iraniani ma si sono accordati solo su ulteriori e più specifiche discussioni tra le parti. A Vienna, invece, è cominciata ieri una nuova sessione di lavori del Consiglio dei governatori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea). Ed è giunto l’ennesimo monito a Teheran affinché consenta «immediatamente» l’accesso agli ispettori Aiea al sito nucleare di Parchin, dove l’agenzia sospetta siano in corso attività di arricchimento dell’uranio, nell’ambito di programmi militari.
A ribadire il punto di vista di Washington è il vicepresidente americano, Joe Biden, il quale sottolinea che il presidente Barack Obama non sta «bluffando»: gli Stati Uniti non stanno cercando alcuna guerra e sono pronti a negoziare, ma tutte le opzioni per l’Iran, inclusa quella militare, rimangono sul tavolo. Il numero due della Casa Bianca spiega che il programma nucleare dell’Iran mette in pericolo Israele e il mondo. Lo fa, non a caso, dinanzi alla platea dell’American Israel Public Affair Committee (Aipac) ribadendo che «il profondo impegno» americano per la sicurezza di Israele non cambierà. Dallo Stato ebraico ribatte Benjamin Netanyahu, intervenuto in teleconferenza alla convention: «La diplomazia non sta funzionando e la linea rossa è sempre più vicina». Il premier, rilanciando il ragionamento a effetto che per primo espose a settembre all’Assemblea generale dell’Onu, avverte: «È necessaria una minaccia militare credibile per evitare che la linea rossa venga superata».
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