Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Israele: un razzo palestinese colpisce Ashqelon Commento di Giulio Meotti, cronaca di Redazione della Stampa
Testata:La Stampa - Il Foglio Autore: Redazione della Stampa - Giulio Meotti Titolo: «Israele, al Fatah colpisce Ashqelon con un razzo - Israele disperde la 'mini Intifada', evitando che diventi la terza»
Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 27/02/2013, a pag. 30, la breve dal titolo " Israele, al Fatah colpisce Ashqelon con un razzo ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " Israele disperde la 'mini Intifada', evitando che diventi la terza ". Ecco i pezzi:
La STAMPA- " Israele, al Fatah colpisce Ashqelon con un razzo "
Un potente razzo sparato dalla vicina Striscia di Gaza ha colpito ieri la periferia di Ashqelon, nel sud di Israele. Non ci sono state vittime, anche se i sistemi di allarme non avevano avvertito gli abitanti. In pochi minuti è giunta anche una rivendicazione: quella dei Martiri di al-Aqsa (una formazione armata vicina ad al-Fatah) che hanno annunciato di aver voluto così punire Israele per la morte, sabato in una cella di una prigione israeliana, di un attivista del partito, Arafat Jaradat. Il razzo era un Grad 75 M, con una gittata di 50 chilometri. Secondo analisti israeliani, è possibile che sia stato consegnato all’ala estrema di alFatah da membri della Jihad islamica o di Hamas. La morte di Jaradat è stata attribuita dall’Anp alle torture subite, ma Israele nega decisamente. A Hebron i funerali (domenica) del giovane erano stati seguiti da scontri nel corso dei quali si sono avute decine di feriti palestinesi, due gravi. Ieri è tornata una calma precaria. Secondo l’esercito israeliano, la tensione potrebbe restare - almeno in forma latente - fino alla seconda metà di marzo, quando arriverà in visita in presidente degli Stati Uniti, Barack Obama.
Il FOGLIO - Giulio Meotti : " Israele disperde la 'mini Intifada', evitando che diventi la terza "
Giulio Meotti Il funerale di Arafat Jaradat
Roma. Israele non ha ancora un governo, ma il suo esercito e l’intelligence stanno già fronteggiando la “quieta Intifada” o “mini Intifada”, come altri commentatori l’hanno definita, che rischia di trasformarsi nella terza, dopo quelle del 1987 e del 2000. L’esercito di Gerusalemme ha richiamato le truppe al confine dei Territori. L’attuale clima ricorda i giorni precedenti lo scoppio della prima sollevazione palestinese: una protesta popolare, massiccia e non violenta. Almeno per adesso. Gli attacchi palestinesi alle forze israeliane e ai coloni si stanno concentrando nell’area fra Hebron e Betlemme, ma si stanno estendendo anche a Tulkarem e Nablus. Un giovane degli insediamenti è stato accoltellato allo snodo di Tapuah. Il casus belli è la morte di un palestinese, Arafat Jaradat, in una cella di custodia dello Shin Bet, i servizi di sicurezza israeliani, nella prigione di Megiddo (Galilea). La vicenda ricorda quella che scatenò la rivolta del 1987, quando un camionista israeliano investì accidentalmente quattro lavoratori palestinesi (da Gaza si diffuse la teoria dell’assassinio premeditato). “Sulla salma di Jaradat non c’erano segni di violenza, a parte due costole rotte per gli sforzi di rianimazione”, ha chiarito il ministero israeliano della Sanità. La versione palestinese parla invece di “tortura”. L’Anp del presidente Abu Mazen ha tributato gli onori di stato al “martire” Jaradat, a cui per la prima volta hanno partecipato anche Hamas e il Jihad islamico. E mentre il premier Benjamin Netanyahu sollecitava i dirigenti di Ramallah a riprendere le redini della situazione, da Gaza le Brigate dei martiri di al Aqsa, braccio armato di al Fatah, lanciavano un missile sulle case di Ashkelon, il primo dalla tregua siglata fra i terroristi dell’enclave costiera e Israele lo scorso novembre. L’intelligence israeliana ritiene che l’attuale caos nei Territori sia in larga parte orchestrato dall’Autorità palestinese, che chiama i detenuti allo sciopero della fame in carcere. Ma ci sono altre ragioni. Una economica, con una rampante crisi della disoccupazione e il mancato pagamento dei salari dei poliziotti palestinesi (per sedare il malcontento, Israele ha appena autorizzato il trasferimento di cento milioni di dollari nelle casse dell’Anp). Poi c’è il successo di Hamas a Gaza durante l’ultimo conflitto con Israele. Gli islamisti hanno presentato la “hudna”, tregua, come un successo della loro lotta armata, mentre Fatah sta cercando di usare mezzi non violenti per incassare la solidarietà della strada palestinese senza perdere il consenso internazionale. Abu Mazen teme di perdere il controllo anche in Cisgiordania, pressato dalla prigione dai richiami all’Intifada di Marwan Barghouti, il popolarissimo capopopolo palestinese condannato a cinque ergastoli per terrorismo. Un altro Barghouti, il riformista Mustafa, candidato alla presidenza dell’Anp, ieri intanto dichiarava: “L’Intifada è iniziata”.
Il nuovo compito di Tsahal
Con la sommossa nelle strade, i palestinesi sperano di costringere Israele alle trattative a ridosso della visita nella regione, la prima da presidente degli Stati Uniti, di Barack Obama (si svolgerà a fine marzo). Israele non si trova nella situazione del 1987, quando governava letteralmente la vita quotidiana dei palestinesi di Gaza e Cisgiordania e il suo esercito non sapeva far fronte a uno scenario di guerra asimmetrica. Oggi il compito dell’esercito è proteggere gli insediamenti, bersagli prediletti delle campagne “popolari”, e i checkpoint, vitali per la sicurezza delle città sulla costa. Soldati e poliziotti stanno ricorrendo abbondantemente ai gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti senza infliggere danni pesanti. Israele sta impiegando un’arma speciale, “scream”, l’urlo, che causa vomito e disorientamento, e sta valutando l’acquisto di un sistema sonoro che stordisce i manifestanti a cento metri (gli Stati Uniti non ne hanno approvato l’uso, dura la condanna dei gruppi dei diritti umani). L’Idf per il momento ha un solo programma: “Zero funerali”. Ma ha anche chiarito che nel caso la situazione precipitasse ci saranno dei morti: “Una protesta non violenta di quattromila persone, che marcino su un checkpoint o una colonia, non può essere fermata da gas lacrimogeni o proiettili non letali”. Intanto i segnali di una ripresa del terrorismo dalle alture della Cisgiordania sono preoccupanti. Gli israeliani che vivono negli insediamenti sono ogni giorno bersaglio di attacchi con sassi e bombe molotov (il governo Netanyahu è tornato a finanziare i vetri antiproiettili delle loro auto). Nuove licenze per la detenzione di armi sono state concesse ai settler di Giudea e Samaria, in vista della necessità di autodifendersi. A Nablus, il maggiore epicentro del terrore, sono riapparse le brigate col passamontagna e i mitra in pugno. Non si vedevano da cinque anni. Il rischio è che le forze militari palestinesi tentino di occupare l’area C, che l’accordo di Oslo ha mantenuto in mani israeliane. Si temono attacchi ai fedeli al Muro del pianto e manifestazioni arabe nella parte est di Gerusalemme. “Tutti gli incidenti rivelano una tendenza chiara, siamo di fronte a una Intifada”, ha detto Kadoura Fares, ex ministro dell’Autorità palestinese e capo del gruppo di Jaradat. “I prigionieri in sciopero della fame, le manifestazioni tese, gli scontri violenti durante i quali vengono uccisi civili palestinesi, il processo di pace congelato indicano che siamo seduti su un barile di dinamite”. Dall’interno dell’esercito israeliano gli strateghi sono dell’idea che il 2013 sarà un anno decisivo: o l’Autorità palestinese o il processo negoziale crolleranno.
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