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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Repubblica - Il Foglio - La Stampa Rassegna Stampa
08.02.2013 Tunisia: caos dopo l'assassinio del leader laico Chokri Belaid
intervista alla vedova Belaid di Vanna Vannuccini, commenti di Carlo Panella, Francesca Paci

Testata:La Repubblica - Il Foglio - La Stampa
Autore: Vanna Vannuccini - Carlo Panella - Francesca Paci
Titolo: «Dagli imam nelle moschee appelli a uccidere mio marito - In Tunisia gli islamisti sconfessano la strategia del loro premier - La Primavera araba ha bisogno di tempo per fiorire»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 08/02/2013, a pag. 16, l'intervista di Vanna Vannuccini a Besma Khalfaoui, vedova di Chokri Belaid, dal titolo " Dagli imam nelle moschee appelli a uccidere mio marito ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " In Tunisia gli islamisti sconfessano la strategia del loro premier ". Dalla STAMPA, a pag. 14, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " La Primavera araba ha bisogno di tempo per fiorire ", preceduto dal nostro commento.
Ecco i pezzi:

La REPUBBLICA - Vanna Vannuccini : "Dagli imam nelle moschee appelli a uccidere mio marito "


Besma Khalfaoui, vedova di Chokri Belaid    Vanna Vannuccini

TUNISI—Besma Khalfaoui è una bella signora con lo sguardo dolce e i capelli grigi (senza velo). È accoccolata davanti alla bara, con accanto le figlie adolescenti. È un avvocato, come lo era anche il marito Chokri Belaid, ucciso in un attentato mercoledl mattina mentre usciva di casa per andare in ufficio. Due colpi alla testa e due al cuore. Un attentato da professionisti, senza lasciare tracce. A dare l'ultimo saluto al leader dell'opposizione una lunga fila di parenti, amici, simpatizzanti del partito e gente semplice che abitava nello stesso q uartiere povero di Jebel Jeloud dove Chokri era nato e dove risiede ancora la famiglia, il padre i fratelli, prima che lui diventasse avvocato e si trasferisse in un quartiere residenziale. Chokri era molto popolarequi. Ieri a lebel leloud ci sono state le proteste più massicce, si vedono a ncora i segn i di copertoni bruciati e auto abbandonate. Da quanto tempo suo marito riceveva minacce di morte? «Erano quattro mesi che riceveva minacce. Sms, telefonate, avvertimenti sempre più pressanti. Imam nelle moschee lanciavano inviti ad ammazzarlo. Ma non solo gli imam più estremisti» Chi altro lo minacciava? «Anche molti politici di Ennahda. I cosiddetti Comitati per la salvaguardia della rivoluzione (una sorta di pasdaran di Ennahda ndr) lo scorso fine settimana hanno attaccato con violenza una riunione di partito in cui Chokri parlava. Lui denunciava laviolenzad ilagante e nei suoi ultimi discorsi insisteva sulla necessità di un dialogo nazionale per fermarla. Era troppo per loro». Ennabda porta laresponsabilita dell'attentato? «Assolutamente sl, se non altro perché mio marito ha sempre denunciato al Ministero dell'Interno le minacce, ma nessuno si è mosso. Proteggono i violenti». Quale vorrebbe fosse la reazione del popolo tunisino? «I tunisini sono sdegnati. Si è visto quanti sono scesi spontaneamenteperlestrade.lochiedo loro di premere perché le istituzioni democratichesi rafforzino. Solo cosl sarà possibile garantire il rispetto della legge e costruire un futuro per i nostri figli».

Il FOGLIO - Carlo Panella : " In Tunisia gli islamisti sconfessano la strategia del loro premier "

Il titolo enfatizza una supposta appartenenza ' moderata' di Ennahda, mentre nel pezzo di Panella è solo adombrata. E'incredibile questa voglia di vedere nei partiti islamisti - Ennahda indubbiamente lo è- una componente moderata.
Anche Carlo Panella non sfugge, ma è solo un 'wishful thinking', niente di più.


Carlo Panella                       

Roma. Le decine di magistrati in toga che marciano assieme ai manifestanti scandendo slogan contro Ennahda nelle strade di Siliana, nel nord della Tunisia, forniscono un’immagine eloquente del crescente disfacimento dello stato. Forse ancora più delle violente manifestazioni nel centro di Tunisi e nelle altre città del paese: a Gafsa, secondo Radio Mosaïque, un ragazzo sarebbe rimasto ucciso negli scontri di ieri mattina. L’assassinio di Chokri Belaïd, che da un anno denunciava il “fascismo” di Ennahda, ha scatenato una crisi più profonda di quella che scuote l’Egitto. Non solo perché – come i colleghi egiziani – tutti i magistrati tunisini ieri hanno aderito compatti allo sciopero, ma anche perché la stessa Ennahda, il partito maggioritario dei Fratelli musulmani, si è spaccata in modo aperto e dirompente. La direzione del partito, presieduta dal vicepresidente Abdelhamid Jelassi, ha respinto la decisione di procedere subito alla nomina di quel governo tecnico solennemente annunciato in televisione dal premier Hamadi Jebali, che di Ennahda è il presidente. Una spaccatura di tale portata è difficilmente ricomponibile, perché la mossa del premier Jebali veniva incontro alle richieste dei suoi alleati laici nel governo, Ettakatol e Cpr, che da mesi chiedevano quantomeno la sostituzione del ministro della Giustizia e di quello degli Esteri, complici delle azioni squadriste dei salafiti. Il nodo politico della crisi tunisina riguarda la formazione di un nuovo esecutivo che ponga un argine alla marea montante di azioni feroci compiute dalla Lega per la difesa della rivoluzione, di orientamento salafita. Ma l’ala islamista di Ennahda non solo è contraria a porre argini ai salafiti, ma ha fatto approvare dalla direzione del partito, il 1° febbraio, il “pieno appoggio” ai salafiti accusati di avere linciato il 18 ottobre scorso a Tataouine Lofti Naguedh, esponente di Nidaa Tounes, partito laico d’opposizione. Il deputato di Ennahda Ali Fares, motivando l’appoggio al linciaggio, ha detto che “chi è sceso in piazza a Tataouine voleva epurare il paese dei resti del regime abbattuto e non ha fatto che realizzare uno degli obiettivi della rivoluzione: purgare il paese dei gerarchi di Ben Ali”. Questo clima di violenze, così come la spaccatura verticale di Ennahda, si riflette sui lavori dell’Assemblea costituente, di fatto paralizzata dal braccio di ferro sull’introduzione o meno dei principi shariatici. Questo spiega anche la corale opposizione agli islamisti da parte dei magistrati, formati e cresciuti nella più moderna giurisprudenza di matrice islamica fondata da Bourguiba nel 1956, secondo la lettura modernista e democratica del giureconsulto islamico Tahar Haddad, considerato dagli islamisti un “apostata”. Mentre la Tunisia, secondo il Monde, “sprofonda in un clima scomposto di odio e violenza”, una guerra sorda si svolge ai vertici di Ennahda. Il premier Hamadi Jebali, leader dell’ala modernista del partito, guarda alla Turchia di Erdogan, ma è in aperta minoranza. In Tunisia, però, a differenza dell’Egitto, i Fratelli musulmani e gli altri islamisti non godono della maggioranza in Parlamento, dovendosi confrontare con una opposizione laica che riflette ampi strati popolari conquistati a una visione europea della società e della politica. I laici sono sottorappresentati nell’Assemblea costituente solo perché si sono presentati divisi al voto. L’incapacità di gestire i governi di cui i Fratelli musulmani stanno dando prova in Egitto, in Libia e in Iraq, è moltiplicata in Tunisia dal confronto con un blocco laico ben radicato nella società. Da qui la violenza dello scontro politico, da qui la virulenza dello squadrismo salafita. Da qui le difficoltà per ricomporre la crisi scatenata (con eccellente capacità politica) dai mandanti dell’assassinio di Chokri Belaïd.

La STAMPA - Francesca Paci : " La Primavera araba ha bisogno di tempo per fiorire "


Francesca Paci

Le primavere arabe non tardano a fiorire. Semplicemente non esistono.
Certo, all'inizio si è trattato di manifestazioni spontanee di gente che desiderava la caduta di regimi oppressivi. Manifestazioni immediatamente pilotate dagli islamisti, che le hanno sfruttate per salire al potere.
I regimi dittatoriali sono caduti per cedere il passo a teocrazie islamiche.
E' successo in Egitto, con l'ascesa dei Fratelli Musulmani, è successo in Tunisia, con il ritorno degli islamisti di Ennahda. Lo stesso dicasi in Libia. Nessuna 'primavera', solo un gelido inverno islamista.
Ecco il pezzo:

Le primavere arabe tardano a fiorire, d’accordo. La Tunisia è in piazza come 2 anni fa, l’Egitto scopre adesso che i Fratelli Musulmani avevano una loro personalissima agenda per il dopo Tahrir, il nuovo premier libico Ali Zeidan incassa il plauso dell’occidente ma è ben lungi dal controllare l’ingovernabile eredità del Colonnello che stuzzica l’appetito qaedista, la Siria annaspa in alto mare. Eppure ci vuol tempo, ripetono i rivoluzionari della prima ora, compresi quelli che come Belaid cadono sulla via della «transizione».

Accanto all’avanzata islamista e al rinculo dei sogni democratici infatti, i Paesi spazzati dal vento ribelle del 2011 mostrano piccoli segni positivi.

Belaid è stato ammazzato, ma dopo poche ore oltre 20 mila manifestanti invadevano le strade di Tunisi, Sidi Bouzid, Monastir, costringendo il premier alla crisi di governo. Non solo. Nonostante le squadracce salafite terrorizzino da mesi i connazionali laici (a gennaio sono stati aggrediti 50 giornalisti), mercoledì «Nessma Tv»

(la stessa, irriducibile, processata per aver trasmesso Persepolis) aveva mandato in onda la vittima che accusava i Fratelli Musulmani di Ennahda di coprire le violenze. Belaid ha pagato con la vita come il collega Lotfi Naqdh, ucciso a ottobre a Tataouine. Ma all’epoca dell’ex presidente Ben Ali, uno dei 10 peggiori nemici della libertà di stampa per il «Committee to Protect Journalists», capitava che l’attuale premier Jebali passasse 14 anni in prigione per un presunto golpe islamista, che l’attivista Sihem Bensedrine fosse arrestata per aver denunciato a una tv londinese l’uso fisso della tortura al ministero dell’Interno e che il giornalista anti-regime Taoufik Ben Brik scontasse 6 mesi di carcere per una pretestuosa lite tra automobilisti. Ma allora pochi leggevano le note di Human Rights Watch, Amnesty e Freedom House su censura e oppositori politici desaparecidos.

Come leggere l’Egitto, dove l’anarchia nutrita dallo scontro tra il governo islamista e l’opposizione ha regalato 10 punti all’inflazione e al Cairo l’infame primato di capitale araba delle molestie sessuali? Nei primi 3 mesi di presidenza Morsi, il Nadim Center ha registrato 43 casi di morte, 88 di tortura, 7 abusi sessuali da parte delle forze dell’ordine. La violenza contro le donne aumenta ma, provano le associazioni HarrassMap e Nazra, cresce anche il numero di chi rompe il tabù. Due anni fa sarebbe stato impossibile vedere Hania, una delle oltre 20 ragazze violentate il 25 gennaio scorso a Tahrir, parlarne su «alNaharTV» insieme al marito Sharif, impavido quanto il padre di Franca Viola nell’affermare che lo stupro non è un’onta per chi lo subisce ma per chi lo commette. In fondo, così come ieri il blogger Abdel Kareem pagava con 4 anni di carcere gli insulti all’islam e al Faraone Mubarak, gli egiziani non sono diventati lupi dopo la rivoluzione: in un rapporto del 2010 due terzi degli uomini ammetteva molestie, la metà ne riteneva colpevoli le vittime, 5 donne su 10 erano quotidianamente sottoposta a violenze e il 3% le denunciava.

Storicamente le rivoluzioni divampano e poi frenano. Quella francese ha impiegato 82 anni, un biennio di terrore, 2 colpi di stato e tanta restaurazione prima d’imporsi, archetipo democratico. La monarchia assoluta inglese è diventata quella costituzionale nota per il Bill of Rights dopo 60 anni di tormenti e una guerra civile. Gli Stati Uniti ci hanno messo 15 anni a liberarsi dalla corona britannica e dovevano ancora regolare i conti tra nord e sud. Le rivoluzioni di velluto hanno acceso l’Est Europa nel 2003 e in parte restano incompiute.

Il mondo arabo è passato dagli ottomani al colonialismo, a dittature autoctone. Le oltre 60 mila vittime siriane e gli jihadisti di al Nusra in campo con i ribelli non possono far dimenticare la repressione stile nord-coreano degli Assad (Mubarak a confronto sembrava illuminato). Nè il caos libico autorizza il rimpianto del macellaio Gheddafi, per decenni maglia nera delle organizzazioni per i diritti umani: sotto il Colonnello avremmo forse visto migliaia di persone attaccare gli islamisti rei dell’omicidio dell’ambasciatore americano Stevens o manifestare contro l’attentato al console italiano a Bengasi?

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