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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
18.01.2013 Kibbutz in declino ? E' vero il contrario
commento di Davide Frattini

Testata: Corriere della Sera
Data: 18 gennaio 2013
Pagina: 21
Autore: Davide Frattini
Titolo: «Israele, finisce l'epopea dei kibbutz. Nessuno dei leader in Parlamento»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 18/01/2013, a pag. 21, l'articolo di Davide Frattini dal titolo "Israele, finisce l'epopea dei kibbutz. Nessuno dei leader in Parlamento".


sopra un kibbutz israeliano, a destra il Kolchoz di tragica sovietica memoria

Iniziando col citare Yossi Sarid, l'analisi non poteva che essere strabica. Haaretz è nostalgico del buon tempo antico, quando lo Stato copriva il deficit dei kibbutzim e l'inflazione era a due cifre. E' vero invece- come cita Frattini- che con l'arrivo del Likud al governo a fine anni '70, l'economia da socialista è diventata liberale, l'inflazione  a valori accettabili, e- cosa più importante- i kibbutzim hanno incominciato a diventare economicamente attivi, non potendo più contare su uno Stato che ripianava i debiti. Sono nate nuove industrie, nuove coltivazioni, alla mentalità del Kolchoz sovietico ne è subentrata una moderna. Chiamarla crisi, può farlo solo Haaretz, il motivo è che dai kibbutzim non arrivano più alla sinistra nè candidati nè soldi.

Degania


Davide Frattini

GERUSALEMME — «Il 28 ottobre 1910 noi compagni, dieci uomini e due donne, abbiamo fondato un insediamento indipendente di lavoratori ebrei. Una cooperativa, senza sfruttatori e senza sfruttati. Una comune». L'iscrizione sulla pietra e il patto che suggellava non sono riusciti a celebrare il centenario. Sei anni fa l'85 per cento dei 320 abitanti del kibbutz Degania, sulle rive del lago di Tiberiade, ha votato per abolire l'organizzazione collettiva: da compagni a soci, stipendi differenziati a seconda dei meriti, case a prezzi (quasi) di mercato. Degania è stato il primo villaggio agricolo a essere fondato, non è stato l'ultimo a venire privatizzato. La crisi economica dei kibbutz si è trasformata in recessione degli ideali: nel prossimo Parlamento potrebbero non esserci rappresentanti del movimento che ha creato lo Stato d'Israele. «Nella prima Knesset sedevano 26 membri di kibbutz — ricorda con malinconia Yossi Sarid sul quotidiano Haaretz — tre volte la loro quota percentuale nella popolazione del tempo. Cinque erano diventati ministri. Tutto è finito nel 1977, quando Menachem Begin (leader del Likud, ndr) li descrisse come edonisti. Non si sono mai ripresi, malgrado il loro contributo incomparabile alla fondazione e alla difesa del Paese. Nessun deputato tornerà più a casa da Gerusalemme nel fine settimana per mungere le mucche o lavare i piatti nella mensa comunitaria». Nelle 34 liste presentate per il voto di martedì prossimo i kibbutznik sono in posizioni troppo difficili, tutti fuori dal numero di seggi previsti dai sondaggi. Perfino i laburisti hanno scelto di conferire il posto garantito per il settore agricolo a Danny Atar, che non abita in un kibbutz. La leader Shelly Yachimovich vuole tagliare con il passato socialista, le interessano i voti dei giovani borghesi che vivono a Tel Aviv o scelgono la campagna solo perché è più sana per i figli. L'ex giornalista televisiva è consapevole che dai villaggi collettivi non arriva più il sostegno che una volta garantiva la vittoria del suo partito. Alle elezioni di tre anni fa, il 31,1 per cento dei membri dei kibbutz ha votato per Kadima, il 30,6 per il Labour, il 17,7 per Meretz e il 5,8 addirittura per il Likud. Scegliere i conservatori non comporta più la scomunica dei «compagni». Evyatar Dotan ha organizzato le visite elettorali nelle cooperative per i candidati di Yisrael Beitenu, alleato con il Likud di Benyamin Netanyahu. C'è andato anche il leader ultranazionalista Avigdor Lieberman, che piace «perché ha sostenuto gli agricoltori nei momenti più difficili». Fino a due anni fa Dotan era un sostenitore di Meretz «ma ha smesso di rappresentare gli interessi dei lavoratori — dice ad Haaretz — e ha scelto di inseguire le mode dei radical chic di Tel Aviv. Ci siamo sentiti orfani, adesso c'è l'opportunità di trovare qualcuno che ci dia una mano». È quel che pensa Yaakov Bachar, capo dell'assocazione allevatori: «Quelli che abbiamo sempre pensato essere dalla nostra parte sono dei veri alleati? E gli avversari di una volta... Sono ancora i nemici da combattere?». L'unico kibbutznik ad avere qualche possibilità di entrare in Parlamento sta ancora più a destra, con la squadra di Naftali Bennett: Zvulun Kalfa era tra i coloni evacuati dalla Striscia di Gaza nel 2005 ed è diventato il responsabile della comunità di Shomriya nel deserto del Negev. «Gli insediamenti agricoli vivono tutti gli stessi problemi, al di qua o al di là della Linea Verde» commenta. «Un'era è finita — scrive Yossi Beilin, tra gli artefici degli accordi di Oslo, su Israel Hayom —. D'ora in avanti se il movimento vorrà contare e influenzare le decisioni politiche dovrà affidarsi alle pressioni dei lobbisti».

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