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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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il Foglio - La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
16.01.2013 Mali: intervento dovuto per bloccare l'espansione di al Qaeda
commenti di Daniele Raineri, Francesco Semprini. Intervista di Massimo Alberizzi a Staffan De Mistura

Testata:il Foglio - La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Daniele Raineri - Francesco Semprini - Massimo Alberizzi
Titolo: «Da Medellin al Sahel: l’alleanza tra narcos e guerrieri di Allah - Senza i raid sarebbe nato un Alqaedistan»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 16/01/2013, in prima pagina, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo " Parigi ora chiede aiuto ai paesi arabi, il Qatar deve scegliere con chi stare ". Dalla STAMPA, a pag. 14, l'articolo di Francesco Semprini dal titolo "  ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 14, l'intervista di Massimo Alberizzi a Staffan De Mistura dal titolo " Senza i raid sarebbe nato un Alqaedistan ".
Ecco i pezzi:

Il FOGLIO - Daniele Raineri : " Parigi ora chiede aiuto ai paesi arabi, il Qatar deve scegliere con chi stare "


Daniele Raineri              Emiro del Qatar

Roma. Ieri, nel quinto giorno delle operazioni militari della Francia contro la guerriglia in Mali, il presidente François Hollande è atterrato nella base francese di Abu Dhabi, negli Emirati arabi uniti, la più grande a disposizione di Parigi nel medio oriente. La visita è slegata da quanto sta succedendo e gli aerei della base per ora non sono coinvolti, ma naturalmente il presidente ha parlato della guerra, promettendo che la fine è vicina: “Non abbiamo la vocazione a stare in Mali per sempre”, e però subito dopo annunciando obbiettivi ambiziosi e a lungo termine: “Le truppe francesi lasceranno il Mali quando ci sarà un’autorità legittima, un processo elettorale e la minaccia dei ribelli sarà finita”. Il numero dei soldati sta passando da 550 a 2.500, ha detto Hollande, mentre dai paesi africani vicini si aspetta l’arrivo di una forza di 3.300 uomini, non prima di “una buona settimana”. Alla domanda su cosa intendesse fare dei ribelli, ha risposto: “Ucciderli, se è possibile catturarli”. Anche gli americani prevedono che i francesi saranno impegnati in una campagna lunga, e ieri il segretario alla Difesa uscente, Leon Panetta, ha assicurato che i soldati americani non interverranno. Nell’emirato assieme al presidente francese c’era anche il ministro degli Esteri, Laurent Fabius, che cerca l’appoggio dei paesi arabi nella campagna contro gli estremisti africani: “Noi, non solo la Francia ma tutte le nazioni, dobbiamo combattere il terrorismo. Tutti devono impegnarsi, siamo convinti che anche gli Emirati andranno in questa direzione”, ha detto, annunciando che i paesi finanziatori s’incontreranno entro la fine del mese in Etiopia, ad Addis Abeba. L’appello ai paesi arabi riporta inevitabilmente alla luce i sospetti e i rapporti confidenziali sul Qatar circolati nel 2012. Il 6 giugno il settimanale satirico francese Canard Enchaîné – talvolta autore di buoni scoop – ha pubblicato un articolo che ora risalta fuori ed è terribilmente imbarazzante: “Notre ami du Qatar finance les islamistes du Mali”, il nostro amico in Qatar, ovvero lo sceicco secondo la definizione di un ufficiale dello stato maggiore francese, finanzia gli islamisti nel nord del Mali. Il pezzo firmato da Claude Angeli cita numerosi rapporti dei servizi segreti francesi (Dgse) e dell’intelligence militare (Drm), che segnalano gli aiuti finanziari al movimento islamista Ansar Eddine, ad al Qaida nel Maghreb e al gruppo degli scissionisti di al Qaida, il Mujao, senza dire a quanto ammontano. In precedenza era uscita un’altra indiscrezione non confermata su un aereo del Qatar carico di armi, soldi e droga da vendere, atterrato a Gao, una delle capitali del pezzo di Mali in mano ai guerriglieri. Al tempo la stampa algerina aveva rilanciato con entusiasmo lo scoop, che calza alla perfezione con il risentimento dell’Algeria contro il Qatar. Il governo di Algeri accusa Doha di fomentare la violenza nei paesi arabi per destabilizzare la regione e per guadagnare influenza, come è già successo in Libia e come sta accadendo in Siria – l’Algeria si è invece opposta all’intervento contro Gheddafi e ha votato a favore di Bashar el Assad alla Lega araba quando è venuto il momento. Il Qatar è considerato la centrale di un complotto per rovesciare la situazione in Algeria. Inoltre tra i due paesi arabi c’è una questione sullo sfruttamento dei promettenti bacini petroliferi nel nord del Mali, gli algerini accusano il Qatar di avere puntato gli occhi sull’area. La relazione speciale con l’emiro I rapporti – quelli conosciuti in pubblico, almeno – sul sostegno del Qatar agli islamisti del Mali sono da prendere con cautela, sono politicizzati, vaghi e senza prove, ma ora che Fabius chiede aiuto ai paesi arabi come risponderà Doha – che in Libia si spese tanto al fianco dei ribelli libici e della Nato? La relazione speciale tra la Francia e il Qatar, che era anche personale quando all’Eliseo c’era Nicolas Sarkozy, grande amico dello sceicco, reggerà a questa campagna contro i gruppi islamisti in Mali?

La STAMPA - Francesco Semprini : " Da Medellin al Sahel: l’alleanza tra narcos e guerrieri di Allah "


Francesco Semprini

«Per contenere l’avanzata dei gruppi radicali in Sahel è necessario stroncare l’alleanza tra jihad e narcotraffico». Kofi Annan guarda con estrema preoccupazione la vicenda del Mali, e spiega come la necessità di spezzare l’asse afro-sudamericano sia la chiave interpretativa più calzante per una soluzione di lungo periodo nella lotta al terrorismo islamico. «La situazione è allarmante», dice durante la presentazione del suo nuovo libro «Interventions: a Life in War and Peace», una raccolta di memorie figlie della sua lunga esperienza al Palazzo di Vetro. La stessa che lo spinge a puntare l’indice verso la pericolosa «connection» tra Medellín e Al Qaeda nel Maghreb (Aqim).

L’ex segretario generale dell’Onu parla di «Sahel route», ovvero di rotta del Sahel percorsa dai convogli carichi di droga diretti in Europa. «La regione è diventata, per la cocaina sudamericana, un’agevole porta d’accesso al Vecchio continente», avverte definendo quella tra i narcos e i gruppi che gravitano nell’orbita qaedista, tra cui Ansar Dine e Mujao, una vera e propria partnership d’affari. I cartelli fanno arrivare la droga in Europa attraverso canali «sicuri», evitando le rotte battute dall’antidroga e i controlli nei porti. I jihadisti garantiscono il passaggio indisturbato dei carichi di cocaina sui territori da loro controllati in cambio di compensi da reinvestire nella «guerra santa». Il business, benedetto in nome della Sharia, «rende anche più dei riscatti», avverte l’ex inviato speciale Onu in Siria, e nasce da un’altra realtà africana «dimenticata dal mondo», la Guinea Bissau. Il Paese, che si affaccia sull’Atlantico e confina con il Mali, è considerato un «hub» della cocaina proveniente dall’America Latina e diretta in Europa via Sahel.

La tesi di Annan trova riscontro in un dossier della Nato dal titolo «Al Qaeda e l’arco di instabilità in Africa». A denunciare per primo l’esistenza di un asse narco-jihadista, ricorda lo studio, è stato Antonio Maria Costa. L’ex direttore della Unodc, l’agenzia Onu per la lotta alla droga, che, alla fine del 2009, dopo il ritrovamento in una remota regione del Nord-Est maliano di un Boeing 727 carico di polvere bianca, spiegò al Consiglio di sicurezza come i due grandi canali degli stupefacenti, quello dell’eroina in Africa orientale, e quello della cocaina in Africa occidentale, stavano per convergere nel Sahara. «Aqim ha capitalizzato questa opportunità ed oggi fornisce supporto logistico e di trasporto ai trafficanti, oltre a dare il “permesso” di muovere la merce nei territori occupati», spiegano gli esperti della Nato. La rotta attraversa il corridoio maliano-algerino su cui Aqim chiede una gabella di almeno 50 mila dollari a convoglio, mentre un autista ne prende almeno 3 mila a tratta. Secondo la Dea i «dealer» affiliati ad Aqim avrebbero acconsentito di far passare da cinque quintali a una tonnellata di cocaina esigendo parcelle da 10 mila dollari al kg. L’alleanza ha permesso la completa emancipazione economica degli jihadisti, «un fenomeno già visto in altre zone dimenticate dal mondo, come Somalia e Afghanistan», ricorda Annan. «E il mondo non può permettere che accada di nuovo», avverte. Se Ue, Usa, Onu, Unione africana ed Ecowas non si muoveranno in fretta, il Sahel sarà destinato a diventare un nuovo capitolo di quella che nel suo nuovo libro chiama «La lunga guerra dell’11 settembre».

CORRIERE della SERA - Massimo Alberizzi : " Senza i raid sarebbe nato un Alqaedistan "


Massimo Alberizzi                 Staffan De Mistura

In Italia c'è un sottosegretario agli Esteri con una lunga esperienza in conflitti, un'esperienza che oggi può essere utilissima. Staffan De Mistura è stato rappresentate del segretario generale dell'Onu in Libano, Iraq, Afghanistan e prima capo dell'Unicef in Somalia. Chiamato dal governo Monti ha accettato l'incarico di sottesegretario. Non si candiderà alle elezioni.
Di Mali parla volentieri: «È la prima volta che un territorio grande quanto la Francia è nelle mani di Al Qaeda. In Afghanistan l'organizzazione era ospite dei talebani, in Somalia apparentata con gli shebab. In Mali, forse grazie al fatto che gli occhi della comunità internazionale erano puntati sulla Siria, i qaedisti hanno costituito un vero Stato. I francesi sono così intervenuti per impedire il dilagare degli islamici che avrebbero potuto così conquistare tutto il Paese».
Secondo De Mistura il dialogo e la soluzione politica restano comunque una priorità. «Certo, anche se qui si rischiava un nuovo Afghanistan, anzi un "Alqaedistan", e quando tutti i tentativi di negoziare falliscono non si può rischiare di far precipitare un Paese come il Mali nelle mani di una dittatura fondamentalista che minaccia il mondo. I francesi sono intervenuti per evitare questa eventualità che era sempre più concreta».
«Una concomitanza di fattori ha fatto scoppiare il bubbone. Dopo che l'Unione Africana e l'Onu hanno dato l'ok all'intervento armato, è stato annunciato che le truppe sarebbero arrivate in settembre. Troppo tempo. Gli islamici si erano già rafforzati. Si erano impadroniti dell'arsenale di Gheddafi e erano affluiti miliziani da ogni parte dell'Africa e non solo. Dal Mali i ribelli avrebbero potuto minacciare il Mediterraneo».
La Francia dunque sta difendendo interessi vitali non solo suoi? «Direi di sì. Anche Mosca e Pechino si sono accorte di essere minacciate. La Cina ha investito in Africa miliardi di dollari non si può permettere di perdere tutto».
L'Italia è rimasta un po' ai margini; forse dovrebbe osare di più: «Manifestare concretamente la nostra solidarietà alla Francia sarebbe importante e ne stiamo discutendo. Anche altri Paesi dell'Unione Europea ci stanno pensando. Qui non si tratta di una guerra contro un gruppo di ribelli. Ci sono in ballo interessi molto più grandi».
Londra ha assicurato ai francesi un supporto logistico. L'Italia aveva annunciato l'invio di 200 istruttori militari. La nostra opzione è ancora valida? «Lo scenario è cambiato e quindi dovremo ripensare la tipologia del nostro intervento. Forse però come nazione europea che interagisce di più con l'Africa sarebbe bene che avesse un ruolo più attivo, magari un'attenzione particolare anche alle questioni umanitarie».
«Infine — conclude De Mistura — è importante sostenere la missione di Romano Prodi, inviato speciale delle Nazioni Unite per il Sahel. Sarà lui l'uomo chiave perché dopo i militari subentrerà il momento politico, quando bisognerà ristabilire il dialogo e ricostruire il Paese».

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