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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Giornale - Corriere della Sera Rassegna Stampa
10.01.2013 Spie iraniane ben diffuse in tutto il mondo, in aiuto anche di Bashar al Assad
commenti di Fiamma Nirenstein, Guido Olimpio

Testata:Il Giornale - Corriere della Sera
Autore: Fiamma Nirenstein - Guido Olimpio
Titolo: «Trentamila spie iraniane ai quattro angoli del mondo - Spie iraniane contro oppositori. Il grande scambio»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 10/01/2013, a pag. 12, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " Trentamila spie iraniane ai quattro angoli del mondo ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 14, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo "  Spie iraniane contro oppositori. Il grande scambio".
Ecco i pezzi:

Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : "  Trentamila spie iraniane ai quattro angoli del mondo"


Fiamma Nirenstein

L'intelligence iraniana è qua, è là, è ovunque. Ed è molto bene arma­ta e preparata. Lo riporta il Washington Free Beacon traen­dolo da un rapporto del Penta­gono di 66 pagine. Abbiamo a lungo coltivato il mito della Cia, della sua determinazione e del­la sua onnipresenza, fino a toc­care con mano pesantemente, nel caso di Bengasi, quanto i tempi siano cambiati. Adesso per realizzare trame davvero thrilling possiamo girare non pochi film sulle spie iraniane. Intanto, è bene sapere che esse sono un esercito, trentamila persone. Le spie si muovono sotto attività coperte e clande­stine impegnandosi poi in atti­vità differenziate; possono esse­re semplici spie come tecnici addetti al furto di tecnologie, oppure si occupano di compie­re attentati terroristici con esplosivi, o di assassinare singo­li nemici, compatrioti e stranie­ri. Il Pentagono rivela nelle con­clusioni del suo rapporto una certa ammirazione per il Mini­st­ero degli Esteri e della Sicurez­za iraniano, il Mois, definendo­lo «una delle più dinamiche e più grandi agenzie di intelligen­ce del Medio Oriente».
Chiamiamola pure intelligen­ce, ma si va molto oltre. Il mini­stero ha utilizzato i fanatici Cor­pi della Guardia Rivoluziona­ria Islamica, Irgc, in attentati terroristici dall'Argentina al Li­bano, fornisce supporto finan­ziario, materiale tecnologico e altri servizi vari a Hamas, agli hezbollah e ad Al Qaida in Iraq, tutte organizzazioni categoriz­zate come terroriste dagli Stati Uniti secondo l'«executive or­der 13224».
Al Mois interessano soprat­tutto le aree in cui l'Iran ha inte­ressi diretti, dall'Afghanistan all'Austria, dal Kuwait e il Liba­no all'Asia Centrale alla Germa­nia, la Francia, la Turchia, l'In­ghilterra, l'Azerbaigian, la Croa­zia, e le Americhe, inclusi gli Sta­ti Uniti, ma con un intensa re­cente espansione in Argentina, Bolivia, Brasile, Venezuela, Ecuador. Nel Sud America, gli uomini dell'agenzia sono so­prattutto gli Hezbollah stessi, che l'Iran nutre e alleva anche a casa loro, il Libano, con la più di­retta fra le azioni di assistenza, dal training alle armi al denaro alla vita sociale. Gli Hezbollah sono i cocchi dell'intelligence iraniana, lo strumento più effi­ciente.
A dirigere le operazioni di in­telligence, c’è nientemento che l'ayatollah Khamenei in persona, e per diventare diri­genti della sezione intelligence bisogna farsi clerici. Ma il reclu­tamento è invece largo, audace e vario, tanto che persino alcu­noi ebrei sono nel servizio e fra questi si conta anche il vicemi­nistro del Mois, Said Emami.
Le operazioni mediorientali sono in fase di espansione an­che nel Mediterraneo: sono sta­te installate molte basi di ascol­to, la tecnologia elettronica è ampiamente utilizzata, le ulti­me due stazioni sono state co­struite nel nord della Siria e sul­le alture del Golan e come si ca­pisce servono direttamente gli hezbollah. L'Iran dispone an­che di un cybercomando per contrapporsi alle operazioni di disturbo tecnologico nella co­struzione della bomba atomi­ca, come la famosa operazione Stuxnet del 2010. Ci dice il Washington free beacon che ne­gli anni Novanta le spie dell' agenzia hanno compiuto una quantità di assassinii chiamati appunto «gli assassinii a cate­na » che divennero uno scanda­lo internazionale.
La Russia è stata ed è un part­ner molto attivo, seguendo la tradizione del Kgb nell'adde­strare centinaia di operativi del Mois. L'alleanza fra forze tanto diverse nasce dal comune inte­resse antiamericano, e per que­sto non solo si sono addestrate le spie iraniane, ma sono stati piazzati nelle centrali di Tehe­ran agenti russi con le loro at­trezzature e i loro codici. I servi­zi iraniani collaborano anche con Al Qaida: dopo il settembre del 2001 parecchi terroristi si ri­fugiarono dall'Afghanistan in Iran, c'è chi dice che persino Bin laden lo fece.
Il rapporto americano parla anche degli assassinii dei dissi­de­nti iraniani in patria e all'este­ro. Si ricorda che fra il dicem­bre del ’79 e il maggio ’96 furo­no assassinati dal Mois 17 ira­niani, compreso l’addetto stampa negli Usa al tempo del­lo Scià, Ali Tabatabei. Fra il no­vembre ' 88 e il dicembre '98 so­no noti gli omicidi di 22 dissi­denti, e le attività attuali conti­nuano: in genere gli agenti si in­filtrano nelle comunità degli esuli fingendo di far parte di gruppi di so­stegno. Le in­formazioni sul Mois si so­no infittite quando il ge­nerale Ali Re­za Asgari deci­se di defezio­nare, e fu lui stesso a prov­vedere Israele delle informazioni necessarie a bombardare nel 2007 il reatto­re nucleare che per fortuna ora non si erge più, dopo che Israe­le lo distrusse. Anche gli Stati Uniti sono riusciti a danneggia­re via cyberspace, e forse non solo, il programma di arricchi­mento dell'uranio perché qual­cuno li ha provvisti delle infor­mazioni necessarie. Le spie, si sa, a volte si girano dall'alta par­te, anche quelle iraniane.
www.fiammanirenstein.com

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Spie iraniane contro oppositori. Il grande scambio "


Guido Olimpio                      Bashar al Assad

WASHINGTON — È il grande scambio di Damasco. Un baratto che sintetizza attori e snodi della crisi siriana. Il regime ha liberato 2.130 prigionieri per ottenere il rilascio di 48 iraniani da parte dei ribelli. Un accordo reso possibile dalla mediazione di Turchia e Qatar, due tra i principali sostenitori dell'opposizione, e dal ruolo dell'Iran, l'alleato di Assad. La complessa partita è iniziata ad agosto quando gli insorti intercettano i bus con a bordo i 48 iraniani. Loro dichiarano di essere dei «pellegrini sciiti», stessa cosa ripete per mesi Teheran. In realtà la comitiva è composta da ufficiali dei pasdaran ed elementi della Divisione Qods, l'apparato clandestino incaricato di missioni speciali. Il gruppo fa parte di un contingente più robusto inviato dall'Iran per assistere i siriani nella repressione. Esuli anti khomeinisti forniscono dettagli sui «pellegrini», sul loro ruolo militare, sulla complessa macchina logistica che li ha trasferiti in Siria. Sono come pietre preziose. Hanno un grande valore. Per questo quando i ribelli minacciano di ucciderli pochi ci credono. I «fedeli» diventano l'oggetto della trattativa con un regime abituato a condurre questi tipi di ricatti — lo ha fatto negli anni 80 in Libano — e invece ora lo subisce. La pressione su Assad è forte perché Teheran non può permettersi di abbandonare gli agenti. Ed allora si sviluppa il negoziato che vede l'intervento decisivo dell'associazione Ihh turca e dell'onnipresente Qatar, Paese che tira molti fili legati ai ribelli. La trattativa, come sempre, segue percorsi tortuosi ma alla fine porta al risultato. I siriani cedono e aprono le celle. Tra i 2.130 liberati — un numero enorme — ci sono anche turchi (forse dei militari) e palestinesi, finiti nelle retate condotte dalla polizia segreta. La lista contiene i nomi di attivisti, militanti, ma anche di 59 donne e adolescenti. Ieri pomeriggio si è consumato l'atto finale con il trasferimento dei «pellegrini» all'Hotel Sheraton di Damasco dove c'era ad attenderli l'ambasciatore iraniano Mohamed Reza Shibani. Per tutti abbracci, baci e un lungo fiore bianco. Per l'opposizione a Bashar, invece, un grande successo propagandistico e la prova che «al raìs stanno più a cuore gli iraniani che i suoi cittadini». L'essenza della storia è che Assad è ancora al potere — e non vuole cedere — ma se è necessario trovare soluzioni bisogna chiedere alle potenze regionali. Turchia e Qatar da un lato, Iran dall'altro. E probabilmente una via da esplorare è quella iraniana. Teheran può forse convincere il dittatore a trovare un'intesa. Molti, però, sono convinti che non vi sia più tempo. L'inviato Onu Lakhdar Brahimi lo ha detto chiaramente commentando il recente discorso al Paese: «Assad ha perso un'altra occasione e il suo clan è stato al potere troppo a lungo». Ormai tutti sono rassegnati alla continuazione della guerra, che ha già provocato 60 mila morti e 600 mila profughi. L'unica speranza è che non si passi a sistemi «proibiti». Usa e Russia avrebbero concluso, il 6 dicembre, un accordo: Mosca si impegna a vigilare sulle armi chimiche siriane e Washington si astiene da qualsiasi intervento diretto. Gli Usa sono molto inquieti — così come lo è Israele — in quanto il regime è sembrato ad un passo dall'uso dei gas contro gli insorti. L'ultima risorsa per rallentare i loro successi. Ieri i ribelli jihadisti di al Nusra hanno conquistato gran parte della base aerea di Taftanaz. Un successo che conferma la crescita del gruppo guardato con grande sospetto dagli Usa. Il Consiglio nazionale siriano, a sua volta, ha proposto la creazione di un governo nelle «zone liberate», un modo per riempire un pericoloso vuoto di potere dentro il quale accade di tutto. Dal terreno continuano a giungere notizie di massacri e attacchi indiscriminati. Un'intera famiglia di fede cristiana sterminata, una dozzina di persone dilaniate da un attentato a Damasco, altre uccise sotto le bombe.

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