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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - Corriere della Sera Rassegna Stampa
27.12.2012 Siria: Bashar al Assa continua i massacri
cronache di Matteo Matzuzzi, Guido Olimpio, Luigi De Biase

Testata:Il Foglio - Corriere della Sera
Autore: Matteo Matzuzzi - Guido Olimpio - Luigi De Biase
Titolo: «Gas o Lacrimogeni? Obama e il rischio delle false notizie - Passa per l’Italia il 'canale del carburante' che tiene su la Siria»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 27/12/2012, in prima pagina, l'articolo di Matteo Matzuzzi dal titolo "  In Siria il regime spara sulle code per il pane. E’ una tattica di guerra", a pag. 3, l'articolo di Luigi De Biase dal titolo " Passa per l’Italia il 'canale del carburante' che tiene su la Siria ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 14, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Gas o Lacrimogeni? Obama e il rischio delle false notizie ".
Ecco i pezzi:

Il FOGLIO - Matteo Matzuzzi : " In Siria il regime spara sulle code per il pane. E’ una tattica di guerra "


Matteo Matzuzzi

Roma. Sono più di ottanta i morti causati dagli ultimi bombardamenti su città e villaggi della Siria da parte dei lealisti del regime di Bashar el Assad. Il bilancio più grave è a Qahtania, un piccolo centro nella provincia di Raqqa, nel nord del paese. Qui, i carri armati di Damasco ieri hanno aperto il fuoco sulla folla, uccidendo almeno venti persone, fa sapere l’Osservatorio siriano per i diritti umani, che ha diffuso sul Web un video in cui si vedono gli effetti della strage. “Tanto per essere chiari, qui non ci sono jihadisti del Fronte al Nusra né altri gruppi ribelli organizzati. Le vittime erano solo contadini”, ha detto il capo dell’Osservatorio, Abdel Rahman. I civili sono ormai il bersaglio preferito delle forze di Assad. Sempre più numerose sono le stragi di donne e bambini che in fila aspettano il proprio turno per comprare il pane, all’esterno dei forni aperti a singhiozzo. La motivazione ufficiale dei governativi è sempre la stessa: in mezzo a quei civili si annidano ribelli armati, terroristi. Ed erano almeno in mille, domenica scorsa, in fila davanti a un forno di Halfaya, nella provincia di Hama, in Siria. “Da giorni non apriva, non c’era farina”, ha detto un testimone locale alla tv al Arabiya: “Appena il panificio ha ripreso il lavoro, si è formata una fila lunghissima con tante donne e bambini”. Poi, di colpo, un bombardamento aereo e i morti fatti a pezzi davanti al forno. Un centinaio di vittime secondo gli attivisti, addirittura trecento per al Arabiya. L’ordine di bombardare Halfaya è arrivato direttamente da Damasco, dopo che una settimana fa un gruppo di ribelli era arrivato in città, dopo l’offensiva (andata male) per conquistare il territorio attorno a Hama, centro strategico in mano alle truppe di Assad. E’ lo stesso identico schema che in almeno altri dieci casi, come testimonia il rapporto di Human Rights Watch dello scorso agosto, i lealisti hanno applicato per fare fuoco sui civili, indiscriminatamente. Il 16 agosto, alle 5,45 del mattino, a Qadi Askar (quartiere di Aleppo), almeno due colpi d’artiglieria furono sparati contro una base dell’Esercito libero siriano, senza fare danni. Quindici minuti dopo, altri tre colpi centrarono in rapida successione lo spiazzo davanti al panificio della zona, dove diverse centinaia di persone stavano aspettando il proprio turno per comprare il pane. Difficile verificare il numero dei morti: i soccorritori si facevano largo tra i corpi dilaniati tentando di recuperare i feriti e di trasportarli al vicino ospedale di Dar al Shifaa. Il bilancio ufficiale è di 49 morti identificati e 76 feriti. Undici i cadaveri per i quali è stato impossibile dare un nome. La stessa tecnica si è ripetuta altre volte, sempre uguale, in altre zone di Aleppo mentre infuriava la battaglia tra i ribelli e i lealisti, la scorsa estate. Sparare su chi in fila vuole comprare il pane è diventata una tattica di guerra. Il governo non fa nulla per ridurre il numero dei morti civili, non avverte la popolazione di quanto sia rischioso affollare aree in cui si potrebbero nascondere ribelli armati. L’obiettivo è di fare più morti possibili, come spiega il rapporto di Human Rights Watch: spesso, infatti, prima del bombardamento un elicottero sorvola la strada o la piazza che di lì a poco colpirà. I lealisti aspettano che si formino le lunghe file all’esterno dei forni, quindi sparano dall’alto. A volte, direttamente sui panifici, come accaduto il 21 agosto a Bab al Hadid, quando nel bombardamento morirono ventitré persone. L’esercito “non protegge più” la popolazione Ieri il generale Abdulaziz al Shalal, il capo della polizia militare siriana, ha annunciato in un video diffuso dalla tv satellitare al Arabiya il passaggio con i ribelli che fino a ieri combatteva: “L’esercito ha rinunciato alla sua missione fondamentale, la protezione del paese. Si è trasformato in tante bande di morte e distruzione che massacrano il nostro popolo innocente che chiede libertà”. Al Shalal, che nel breve filmato appare in divisa, parla da una zona vicina al confine con la Turchia e assicura che oltre a lui altri ufficiali sono pronti ad abbandonare Assad. Il capo della polizia militare di Damasco è l’ufficiale più alto in grado ad aver disertato, anche se fonti del regime minimizzano parlando con la Reuters l’importanza della sua defezione: avrebbe comunque lasciato l’incarico entro un mese e ha voluto fare un gesto da “eroe”, sostengono sprezzanti. “L’eroe” accusa gli uomini che ha guidato fino a poche ore fa di avere usato “qualche tipo di arma chimica” contro la popolazione, come i gas velenosi in grado di soffocare o di provocare attacchi epilettici in chi li inala, come accaduto a Homs la scorsa settimana.

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Gas o Lacrimogeni? Obama e il rischio delle false notizie "


Guido Olimpio             Guido Olimpio

WASHINGTON — Bashar Assad non ha bisogno delle armi chimiche per sterminare i siriani. Lo dicono le quasi 45 mila vittime del conflitto. È altrettanto chiaro che, nel caso sia messo alle strette, il leader potrebbe violare la linea rossa tracciata dagli Usa ricorrendo a strumenti di distruzione di massa. E a sentire le denunce degli oppositori e di un generale appena scappato lo avrebbe già fatto a Homs.
Le accuse dei suoi avversari sono state accolte però con prudenza. In particolare da Washington a Gerusalemme, le due capitali più interessate a questo sviluppo. Reazioni caute per due ragioni: non vi sono prove sicure; l'eventuale uso farebbe scattare una ritorsione internazionale. In attesa di indizi chiari su cosa sia avvenuto a Homs, gli esperti hanno formulato diverse ipotesi. La prima è che il regime abbia impiegato gas lacrimogeni ad alta concentrazione. O abbia messo a punto qualche miscela particolarmente aggressiva. Se lanciati in aree ristrette o all'interno di ambienti chiusi questo tipo di gas può avere effetti pesanti. La seconda teoria è che i militanti abbiano inalato sostanze tossiche sprigionatesi dopo attacchi con bombe incendiarie, uno dei metodi preferiti dell'aviazione governativa.
Secondo l'intelligence Assad ha ancora un controllo ferreo sulle armi chimiche e le terrebbe come risposta estrema. Un punto di rottura che, a seconda delle analisi, non sarebbe così lontano in quanto l'apparato militare incontra crescenti difficoltà. Da qui il lancio dei missili Scud sul nord del paese. Fonti di stampa hanno poi aggiunto che alcuni Mig sono stati trasformati in velivoli radiocomandati per poter essere impiegati in un attacco chimico. Segreto «scoperto» dopo che un pilota è scappato questa estate in Giordania portando uno dei caccia modificati. Rivelazioni, peraltro, in attesa di conferme.
In quest'ultimo anno di guerra il regime, per risparmiare gli ordigni convenzionali o perché a corto di rifornimenti dall'estero, ha costruito «nuove» armi. Sui centri abitati sono stati lanciati dagli elicotteri i temuti «barili esplosivi». Scarso l'impatto militare ma devastanti le conseguenze. Di recente sono apparse anche delle mine navali russe paracadutate sulle posizioni tenute dagli insorti. Non sono gas ma uccidono comunque.

Il FOGLIO - Luigi De Biase : " Passa per l’Italia il 'canale del carburante' che tiene su la Siria "


Luigi De Biase

Mosca. Il regime siriano usa un canale che passa attraverso l’Italia per affrontare la crisi dovuta alle sanzioni internazionali. Non si tratta di armi o di artiglieria per l’esercito, bensì di carburante, un bene fondamentale per il governo di Damasco, che combatte due guerre parallele: una contro i ribelli e l’altra contro i provvedimenti delle Nazioni Unite, degli Stati Uniti e dell’Unione europea. Nel mese di dicembre un paio di tanker italiani hanno compiuto viaggi pericolosi sino alle coste della Siria. Il primo, l’“Ottomana”, è salpato il 2 dicembre dal porto russo di Novorossiysk, sulle coste del mar Nero, ha preso la velocità di dodici nodi e ha raggiunto la città di Banias cinque giorni più tardi; il secondo, il “Barbarica”, è arrivato in Siria fra sabato e domenica e sarebbe ripartito soltanto lunedì. Nelle stive avevano circa 40 mila tonnellate di carburante, per un valore complessivo vicino ai 40 milioni di dollari. Le navi appartengono a una compagnia di Ravenna, Mediterranea di Navigazione, una società che è specializzata nel trasporto di carburante e prodotti chimici. L’armatore, Paolo Cagnoni, ha confermato la rotta dei tanker all’agenzia di stampa Reuters, ma non ha fornito dettagli sulla società che ha inviato il carburante, né su quella che l’ha ricevuto. “Prima di accettare l’incarico – ha detto – ci siamo assicurati che nessuno dei soggetti coinvolti fosse su una lista nera dell’Unione europea”. Mediterranea è una compagnia molto conosciuta a Ravenna, i Cagnoni lavorano in questa industria da cinque generazioni, sono partiti con i trasporti a Rijeka e hanno raggiunto la fama di patrioti nella Prima guerra mondiale, concedendo aiuto e sostegno a Cesare Battisti e agli italiani di Fiume e di Trieste. E non è la prima volta che il nome di Ravenna è associato ai traffici con la Siria, un commercio che si trova oggi sotto l’esame delle autorità internazionali: a giugno, nel porto della città, è attraccato il “Professor Katsman”, un grosso cargo che aveva appena compiuto un trasporto sospetto dalla Russia alla Siria. Allora alcune fonti d’intelligence denunciarono la presenza di armi a bordo, ma i controlli della Guardia di Finanza si chiusero senza scoperte clamorose. Il porto è lontano una decina di chilometri dalla città, buona parte delle strutture è fuori dalla zona Schengen e pare che il governo di Damasco riesca ancora a muoversi lungo questo bordo per ottenere rifornimenti vitali alla sua sopravvivenza. Il confine è commerciale e i movimenti siriani sono burocratici, hanno a che fare con le carte da bollo e i veti imposti dal Palazzo di vetro, da Washington e da Bruxelles alle compagnie europee. E’ in queste pieghe che il regime cerca un sistema per alleggerire quell’assedio che può portare all’implosione economica del regime. Per il presidente siriano, Bashar el Assad, le milizie dei ribelli non sono l’unico problema da affrontare. Le sanzioni straniere hanno reso impossibile l’acquisto di carburante, i mediatori di Damasco si sono spinti persino in Malesia per convincere i partner a effettuare le consegne ma si tratta di un lavoro troppo rischioso. Negli ultimi mesi soltanto una nave russa e una iraniana si sono avvicinate alle coste della Siria con carichi di gasolio, il resto arriva attraverso navi georgiane di piccola stazza, raggiungono a malapena le settemila tonnellate contro le 26 mila dei due tanker della Mediterranea. Da Damasco ora dicono che una parte del problema potrebbe essere risolto grazie a “nuovi contatti” forniti da “siriani che vivono all’estero”. Forse, alcuni di questi canali passano anche per l’Italia.

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