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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Giornale-Corriere della Sera Rassegna Stampa
24.12.2012 Siria, un'altra strage
Commenti di Fiamma Nirenstein, Lorenzo Cremonesi

Testata:Il Giornale-Corriere della Sera
Autore: Fiamma Nirenstein-Lorenzo Cremonesi
Titolo: «La strage del pane mette Assad all'angolo-L'estrema crudeltà del regime siriano, una tragedia cui non bisogna assuefarsi»

Continuano le stragi di civili in Siria, riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 24/12/2012, a pag.13, il commento di Fiamma Nirenstein. Dal CORRIERE della SERA, a pag. 41, quello di Lorenzo Cremonesi.
Cronache e altri commenti, tutti rilevano l'estrema crudeltà di quanto avviene, ma quando la Siria ammazzava i civili israeliani nella valle sottostante le alture del Golan, agricoltori e bambini a scuola, la maggior parte dei commenti preferiva soffermarsi sul fatto che Israele avrebbe dovuto 'restituire' quella collina alla Siria, incuranti del fatto che le stragi di israeliani sarebbero continuate.  Assad e il suo degno genitore, sono due criminali, come, con molta probabilità, lo sono i ribellli che li sostituiranno. Sono questi i regimi con i quali Israele deve convivere, speriamo che l'anno che arriva ricordi ai nostri 'esperti' di quale pasta sono fatti gli stati che Israele si ritrova ad avere come vicini. E quanto sia difficile arrivare ad una pace condivisa.

Il Giornale-Fiamma Nirenstein: "La strage del pane mette Assad all'angolo "

Fiamma Nirenstein 

È impossibile abituarsi alle stragi in Siria, 43mila morti in undici mesi. E quella di ieri, che avviene nella provincia di Hama, a Halfaya, proprio nei giorni in cui il mondo ama raffi­gurarsi come propenso alla bontà e destinato alla pace, de­sta un orrore intollerabile, che non può restare senza risposte. Le immagini che ci è toccato di vedere ieri, risultano ancora più inguardabili del solito. Mil­le persone in fila davanti al ne­gozio più essenziale nella sto­ria umana, la panetteria, sono stati assaliti premeditatamen­te dal fu­oco di Assad e fatti a pez­zi almeno in trecento. Erano ci­vili, donne e bambini, e anche chi è giustamente preoccupato della successione ad Assad dal­la presenza nelle forze ribelli in maggioranza della Fratellanza Musulmana, salafiti e anche uomini di Al Qaida, non può non capire che Assad non può più restare al potere secondo ogni criterio di decenza e di le­galità internazionale. Hama ol­tretutto è la mitica ferita che fu già aperta dal padre di Bashar, Hafez al Assad, che vi compì una strage gigantesca,c’è chi di­ce 10mila persone, chi parla di 40mila. Anche allora le vittime erano cittadini sunniti, sempre nemici del potere alawita af­fiancato dagli sciiti.
La strage ha riempito ieri co­me allora le strade di corpi di donne e bambini e di pezzi di corpi umani, di cadaveri e di fe­riti che fuggivano come poteva­no urlando di dolore. La diffu­sione delle immagini su inter­net ha reso ancora più brucian­te l’urgenza per il mondo di in­tervenire per sanare
la ferita si­riana. E in realtà le cose sembra siano in movimento.
Un segnale viene da Israele che aveva tenuto le bocche cu­cite fino a ieri, quando il primo ministro Benjamin Netanyahu improvvisamente ha squader­nato, dopo la riunione di gabi­netto, un paio di frasi asciutte molto meditate. In Siria sta per succedere qualcosa di definiti­vo, ha in sostanza detto, stiamo collaborando con gli Usa e la co­munità internazionale per prendere le misure necessarie.
Cosa significa questa presa di posizione? Di quanto tempo di­spone il mondo prima di questi cambiamenti?
Per saperlo dobbiamo osser­vare da lontano una scena che tutti negheranno, ma di cui or­mai si parla quasi apertamen­te: si svolge nella località di al Safira, vicino ad Aleppo, dove pare fossero accumulate le ar­mi chimiche e biologiche di As­sad. I ribelli, dicono fonti incon­trollate, stavano per entrarne in possesso nonostante i bom­bardamenti di Assad e i missili
scud, quando sarebbe interve­nuta una forza aggressiva, deci­sa, misteriosa, i cui connotati sarebbero custoditi gelosa­mente da Mosca, Washington, Gerusalemme e Damasco stes­sa. Essa si sarebbe interposta fra i ribelli e le forze di Assad e avrebbe imposto: «Queste ar­mi non le tocca più nessuno». Sarebbe così stata tolta di mez­zo, sottraendo alla guerra alme­no una parte delle armi chimi­che, una delle maggiori ragioni di un’eventuale entrata diret­ta, come ha promesso Obama, delle forze occidentali.
Resta così adesso una dura di­plomazia fatta di spintoni e di una strada che avanza in un ma­re di sangue fra due forze terri­bili e difficilmente affidabili quanto a promesse e a caratte­ri, quella feroce e assassina di Assad e quella islamista estre­ma dei ribelli. Così Lakhdar Brahimi, l’inviato speciale del­l’Onu per la Siria, va a trovare Assad dopo una visita a Mosca, che l’ha istruito per la sua par­te. Mosca, che pure non vuole perdere la sua posizione nel­l’area,
è apparsa assai più cede­vole in questi giorni, nonostan­te l­e contradditorie affermazio­ni dei leader, fra cui ultimo il mi­nistro degli Esteri Sergei La­vrov che ha detto una frase sibil­lina: «Nessuna delle due parti può vincere». Fino a poco tem­po fa, i russi avrebbero scom­messo solo sulla vittoria di As­sad e così anche l’Iran, che a sua volta fa qualche passo in­dietro. Per Assad ormai ci pos­siamo figurare tre scenari, tutti perdenti: il raìs con le spalle al mare di Latakia circondato dai suoi alawiti armati, mentre la Siria si spezza in tre Stati: il suo (quello alawita), quello sunni­ta dei ribelli e quello curdo; se­condo scenario, Bashar Assad in fuga, mettiamo, nel Dubai con la moglie scapigliata nel do­lore e con i soldi in qualche ban­ca locale; oppure, infine, Bashar Assad che finisce in un lago di orrore come Gheddafi. La prima ipotesi sembra per ora piuttosto realistica, e sareb­be suffragata dal fatto che il buon alleato di Assad Ahmed Ji­bril, fuggito dalla sua residenza nel campo di Yarmouk, bom­bardato da Assad quando i ri­belli sunniti lo hanno occupa­to, avrebbe trovato rifugio a Tar­tous, il porto delle navi russe e che fa parte della zona del go­vernatorato di Latakia, la zona alawita protetta dai russi. Gli americani avrebbero ovvia­mente maggiore responsabili­tà sulla zona in cui si esercite­rebbe il potere dei ribelli. Ne­tanyahu di questo parlava, pro­babilmente: della necessità di prepararsi coordinandosi a Usa e Russia a una Siria spezza­ta, armata, strappata fra forze diverse.

Corriere della Sera-Lorenzo Cremonesi: " L'estrema crudeltà del regime siriano, una tragedia cui non bisogna assuefarsi "

Lorenzo Cremonesi

Le dozzine di civili uccisi in un bombardamento dell'aviazione lealista ieri, mentre erano in coda di fronte a un fornaio nella regione di Hama, rimarcano la realtà del collasso interno alla Siria a oltre 21 mesi dallo scoppio delle prime rivolte. E ci impongono di non dimenticare una tragedia cui rischiamo di assuefarci. Imperano il freddo e soprattutto la fame. Dall'inizio dell'estate a oggi l'intero sistema di distribuzione dei beni di prima necessità ha quasi dovunque cessato di funzionare. Manca tutto: cibo, elettricità, acqua potabile, linee telefoniche, benzina, gasolio, gas da cucina. Le scuole funzionano a singhiozzo solo nella capitale. Per il resto arrivano sempre più testimonianze di edifici scolastici, municipalità e uffici statali presi d'assalto dalle masse di nuovi poveri. Infissi, banchi e tavoli sono utilizzati come legna da ardere. La popolazione delle città si riversa nei parchi pubblici per tagliare gli alberi. I morti sarebbero 44.000, i feriti oltre 300.000, i senza casa sfiorerebbero i 4 milioni.
Questo è un inverno particolarmente freddo e piovoso nella regione. Gli abitanti delle zone urbane non sono equipaggiati per affrontarlo. Come sempre in tempi di crisi, le città soffrono più delle campagne. Ma ora anche sfollare sta diventando impossibile. Le organizzazioni umanitarie internazionali e l'Onu denunciano una situazione insostenibile. Ad Aleppo e persino a Damasco gli ospedali cominciano a terminare anche i medicinali di prima necessità. L'immondizia non raccolta da mesi marcisce nelle strade e rischia di favorire le epidemie. È registrato massiccio il ritorno della leishmaniosi, una malattia parassitaria che può dimostrarsi letale sia per gli animali che per gli umani. L'infezione è causata dagli insetti che si nascondono nella sabbia. Prima della rivoluzione era tenuta a bada dalle disinfezioni governative. Ora non più. Si calcola che i prezzi degli alimentari da luglio siano almeno dodici volte più alti. Una bombola di gas da cucina è lievitata da circa tre euro a oltre 50. Un filone di pane — quando c'è — può costare sino a 50 volte di più. Comunque non c'è lavoro e dunque neppure contanti.

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