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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Libero-Corriere della Sera Rassegna Stampa
24.12.2012 L'Egitto è una dittatura islamica,una realtà che si preferisce ignorare
Commenti di carlo Panella, Ceciclia Zecchinelli

Testata:Libero-Corriere della Sera
Autore: Carlo Panella-Cecilia Zecchinelli
Titolo: «Passa la costituzione islamista, ma l'economia fermerà Morsi- La vittoria a metà di Morsi, stretto fra laici ed esercito»

Molti commenti sull'esito del referendum in Egitto, favorevole, non c'erano dubbi, al Presidente Morsi, anche sarebbe più onesto smetterla di chiamarlo presidente, visti i poteri da dittatore che si è attribuito. Eppure i commenti, anche quelli di Carlo Panella su LIBERO di oggi, 24/12/2012, a pag.14, e quello di Cecilia Zecchinelli sul CORRIERE della SERA, a pag.15, paiono possibilisti verso una soluzione di compromesso. Per la grave situazione economica per Panella, mentre per Zecchinelli non è proprio il caso di parlare di dittatura.
Incredibile, entrami sembrano dimenticare che la Shari'a, divenuta legge di governo, produrrà come conseguenza una dittatura islamica, come è avvenuto in Iran con la presa del potere di Khomeini. La Fratellanza Musulmana non è da meno. L'Egitto è finito, non ha alcuna prospettiva futura. Le opposizioni sono sì divise, ma se si pensa che il loro leader è el Baradei, l'uomo dell'Iran, l'ex direttore dell'agenzia atomica dell'Onu, che aveva nascosto ai controlli  la costruzione dell'arma nucleare, non sarà certo quella l'opposizione che può far sperare in una soluzione diversa.
Ecco i due commenti:

Libero-Carlo Panella: " Passa la costituzione islamista, ma l'economia fermerà Morsi"

                                                                                Carlo Panella

La nuova Costituzione è stata approvata col 64% di sì!», il trionfale annuncio via Twitter della Fratellanza Musulmana egiziana è l’ennesimo esempio di come la democrazia formale inganni al Cairo la democrazia sostanziale. In realtà infatti la Costituzione islamista è stata approvata solo da poco più di 8 milioni di egiziani (brogli inclusi) su un corpo elettorale di 50 milioni, un’infima minoranza. Ma questa è ormai la china pericolosa su cui hanno scelto di fare rotolare il Paese il presidente MohammedMorsie l’ala dura e maggioritaria della Fratellanza, che fa capo al leader Muhammad Badie. A differenza dei Fratelli Musulmani tunisini guidati da Rashid Gannuchi, più cauti nel cercare un equilibrio con le forze laiche, e nonostante le pressioni dell’ala moderata che fa capo al vicepresidente Mohammed Mekki, che ieri si è clamorosamente dimesso per protesta, Morsi e i suoi sodali hanno deciso di imporre una «democrazia» autoritaria e muscolosa. Favoriti in questo, va detto, dalle divisioni personalistiche dei leader dell’opposizio - ne laica: Mohammed El Baradei, Amr Moussa, Abdel Shafiq, Aboul Fotouh e il tycoon copto Neguib Sawaris. Tutti i partiti dell’opposizione si sono infatti presentati divisi e in polemica fra di loro a tutte le scadenze elettorali e sono quindi stati penalizzati dalla legge elettorale. Solo nelle ultime settimane -e con fatica e ritardi- si sono uniti in un Fronte di Salvezza Nazionale, ma si sono divisi sino all’ultimo sulla scelta di partecipare o meno al referendum costituzionale e solo ora hanno deciso di fondersi in un unico partito per le imminenti elezioni per la Camera bassa. Dunque, la grande opposizione di al governo degli islamisti, minoritaria, ma che vede non solo centinaia di migliaia di manifestanti laici scendere in strada, ma anche lo schieramento di tutta la magistratura alta e bassa contro il regime, non trova ancora in Egitto una rappresentazione politica forte e coesa. I Fratelli Musulmani hanno dunque buon gioco nel dispiegare la loro forza organizzativa per vincere nelle urne e per contrastare nelle piazze, con violenza, i manifestanti laici. Venerdì scorso, ad Alessandria, dieci sono stati i morti e centinaia i feriti negli scontri tra i due blocchi di manifestanti, e decine erano state nelle settimane scorse le vittime di simili affrontamenti al Cairo, a Suez, a Port Said e indecine di città. Oltre alla debolezza dell’opposizione e all’indubbio consenso maggioritario che riescono a riscuotere, Morsi e i Fratelli Musulmani si fanno forti anche del patto che hanno stretto con i nuovi vertici militari (che controllano il 30% dell’eco - nomia egiziana) dopo che hanno rimosso, concedendo onori e prebende, il feldmaresciallo Hussein al Tantawi, il capo dell’Intelligence Murat Muafi e il capo di stato Maggiore Suafi Ennan. Il nuovo comandante delle Forze Armate Abdel Fattah al Sisi si dichiara neutrale,main realtà favorisce la deriva autoritaria del Presidente. Resta un’incognita: la politica muscolare di Morsi porta l’Egitto verso una catastrofe economica. Enorme e cronica è la fuga dei turisti (meno 30-40%), industrie e commerci sono paralizzati dagli scioperi, fuggono gli investitori stranieri ed è persino stato sospesoil prestito di 4,8 miliardi di dollari dal Fondo Monetario Internazionale (vincolato a riforme impossibili in questo clima di tensione sociale). Dunque, se non lo farà la politica, se non lo farà l’opposizione, sarà l’economia, di qui a non molto a costringere Morsi e la Fratellanza Musulmana a correggere la propria linea oltranzista.

Corriere della Sera-Cecilia Zecchinelli: " La vittoria a metà di Morsi, stretto fra laici ed esercito"

                                                                      Cecilia Zecchinelli

La nuova Costituzione egiziana, come previsto, è stata approvata dal referendum terminato sabato. L'opposizione, e anche questo era atteso, denuncia brogli e promette battaglia sulla Carta scritta un mese fa da una commissione di soli islamici, con carenze sui diritti umani e ambiguità sulla sharia. Atto dovuto: ma anche senza irregolarità (che pare siano state minori e saranno oggetto d'inchiesta), i Fratelli musulmani e il loro raìs Mohammed Morsi avrebbero vinto. La bassa affluenza — meno di un terzo degli aventi diritto, di cui il 64% ha votato «sì» — segnala che alle urne sono andati soprattutto i sostenitori della Fratellanza, la forza politica più organizzata e disciplinata d'Egitto. Ma organizzazione e disciplina interne non le basteranno per governare davvero il Paese; nemmeno le elezioni parlamentari, da indire entro due mesi, risolveranno molto se il clima non cambia. Le previsioni degli analisti sono infatti che la tanto attesa stabilità politica ed economica resti, per ora, un miraggio. Nonostante sia questo l'obiettivo ribadito dal presidente e atteso con sempre minore pazienza da milioni di egiziani e dal resto del mondo.
L'imposizione di quel referendum e ora della Carta, nonostante l'opposizione di laici, cristiani, rivoluzionari e gran parte dei magistrati e dei media, segnala infatti che Morsi e i suoi non hanno imparato le due grandi lezioni dell'era post-Mubarak. La prima: nessuno degli attori principali — gli islamici, i generali, la piazza, l'opposizione politica con le sue molte componenti, gli uomini legati al vecchio regime — è in grado di mantenere il potere da solo, le dittature sono finite. La seconda: le alleanze tra le varie forze sono mutevoli, mai garantite. Basta guardare l'esercito: dopo aver abbandonato l'ultimo generale-raìs, ha assunto il potere contro la piazza e contro la Fratellanza, poi ha accettato di tornare nelle caserme barattando con Morsi favori reciproci. Ora i generali assistono senza intervenire alla crisi del presidente islamico, il patto sembra tenere. Ma nessuno scommette che sarà sempre così. Un avvertimento pubblico c'è già stato, giorni fa, con voli radenti di Mig sul centro del Cairo, come dire: «Noi siamo qui». E si guardi alla piazza: dopo la rivoluzione, Tahrir era con i militari, «popolo e soldati mano nella mano» dicevano gli slogan. Poi c'era stata la frattura e una parte importante come i giovani del 6 Aprile aveva perfino appoggiato Morsi contro la Giunta e il ritorno al passato. Alleanza in bilico pure questa, da mesi, e ora finita.
I recenti eccessi di Morsi che lo hanno isolato hanno anzi creato una nuova unità tra i suoi nemici, culminata nel Fronte di salvezza nazionale di ElBaradei, Sabahi e Moussa. Sulla sua tenuta sono leciti dubbi e sarà la campagna elettorale a provare quanto le anime del Fsn riescano a collaborare. Ma nel breve saranno comunque compatte contro il raìs, soprattutto se questo non manterrà la promessa di rinunciare ai pieni poteri dopo il «sì» alla Carta, ovvero da oggi, trasferendo quello legislativo al Senato fino al voto per il Parlamento. Oltre al fronte politico quello che però pone più rischi per il raìs (e per l'intero Egitto) è quello economico. Gli ultimi dati sono drammatici: le riserve sono crollate in due anni da 35 a 15 miliardi di dollari, il deficit pubblico ha toccato i 13 miliardi, lo spread (sui bond Usa) continua a salire ed è quasi a 500, la disoccupazione è massiccia quanto il crollo degli investimenti. E Morsi ha dovuto rinviare la richiesta di 4,8 miliardi di dollari al Fmi (già concessi sulla carta) non potendo imporre al Paese le misure di austerità richieste dal Fondo. Misure cruciali ma nemmeno nei prossimi mesi di campagna elettorale il raìs potrà attuarle. A meno qualcosa cambi davvero, adesso. E Morsi con la Fratellanza dimostrino di aver finalmente imparato quelle due lezioni.

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