Su LETTURA, il domenicale culturale del CORRIERE della SERA di oggi, 23/12/2012, a pag.7, con il titolo " La nuova euforia di Hamas ", Giuseppe Sarcina scopre che le previsioni di quel sapientone che risponde la nome di Obama si sono rivelate per quel non era difficile prevedere, un tragico errore.
Ma Sarcina si guarda bene dal farlo notare, Obama, santificato sin dall'inizio del suo primo mandato con il Nobel per la Pace, che ha fatto ridere mezzo mondo, è un intoccabile. Tutto il resto del pezzo è pateticamente fuori da qualsiasi realtà, una colonna di speranze non esaudite, che solo gli allochhi potevano fare proprie. Che Sarcina continui su questa linea quando se ne stanno accorgendo anche i giornaloni, è insieme una tragedia e un errore professionale.


Delusi dall'Egitto, feriti dalla Libia, gli Stati Uniti danno ormai per fallito il tentativo di riavvicinamento compiuto dal primo Obama. «America e Islam hanno valori comuni», aveva detto il presidente Usa in quello che sarebbe dovuto essere il discorso del reset, del «nuovo inizio», pronunciato all'Università del Cairo 114 giugno 2009. In attesa di capire che razza di animale è l'Egitto guidato dai Fratelli musulmani, Obama coltiva i vecchi, ma ancora indispensabili alleati del Golfo. Portaerei e circa 4o mila marines (distribuiti tra Kuwait, Qatar, Bahrein, Emirati, Oman e Arabia Saudita) sorvegliano le rotte del petrolio. L'Europa invece, accantonato il decennale sostegno ai presidenti dittatori (il tunisino Ben Ali, l'egiziano Mubarak e, in fondo, anche il libico Gheddafi), prova, sia pure con qualche goffaggine di troppo, a inventarsi nuovi rapporti economici con il Nord Africa, adottando, in sede di Ue, il «principio di condizionalità». More for more: più vai avanti con le riforme politiche ed economiche, più ti sosteniamo con aiuti finanziari. Intanto torna a fiammeggiare lo scontro tra Israele e palestinesi. Old battles, new Middle East, ha titolato qualche settimana fa l'«Economist», descrivendo due stati d'animo opposti. L'euforia di Hamas, che vede spuntare potenziali alleati ovunque: i Fratelli musulmani in Egitto, i ribelli siriani, gli Hezbollah del Libano (e pazienza se sono sciiti e non sunniti come tutti gli altri). Dall'altra parte cresce, in modo simmetrico, la determinata durezza dei falchi a Tel Aviv, stretti intorno al premier Benjamin Netanyahu e convinti di stravincere le elezioni politiche del 22 gennaio. Se questo è lo scenario, sembra difficile aspettarsi qualcosa di buono, almeno per tutto il 2013. Eppure le potenzialità delle rivolte arabe sono, tutto sommato, ancora da esplorare. Certo, abbiamo capito che qualche turno elettorale non è stato sufficiente per radicare la cultura della democrazia in società che avevamo, frettolosamente, immaginato già pronte e che invece, tanto in Tunisia quanto in Egitto (per non parlare della Libia), si sono rivelate molto più complesse e contraddittorie. Tuttavia la caduta dello schema che legava l'Occidente ai vecchi regimi ha aperto uno spazio geopolitico che prima o poi qualcuno occuperà. Potrebbe essere la Turchia a guida islamica moderata di Recep Tayipp Erdogan; o persino l'iperpragmatica Cina, che sta rapidamente risalendo il continente africano (con una robusta deviazione in Arabia Saudita). Ma la stessa Europa ha l'occasione di rientrare in gioco, superando le strategie dei singoli Paesi (l'Italia per esempio ha ripreso in Libia le stesse posizioni dell'epoca gheddafiana). Occorre, però, uno scatto, come indica Lapo Pistelli, responsabile esteri del Pd, nell'ebook Il nuovo sogno arabo. Dopo le rivoluzioni (Feltrinelli, E 4,99): la logica del sostegno «condizionato», scrive, «suona come una forma gentile e ovattata di neocolonialismo», mentre servirebbe il coraggio di aprire un dialogo davvero politico, dunque un confronto senza paure e, finalmente, tra pari.
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