lunedi` 12 maggio 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



Clicca qui






Il Foglio - Corriere della Sera Rassegna Stampa
19.12.2012 Siria: Assad continua i massacri, Hezbollah rapisce giornalisti americani
Cronaca di Daniele Raineri, commento di André Glucksmann

Testata:Il Foglio - Corriere della Sera
Autore: Daniele Raineri - André Glucksmann
Titolo: «Il sequestro del reporter americano è stata una operazione di Hezbollah - Il nuovo ordine mondiale ora passa anche per Damasco»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 19/12/2012, in prima pagina, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo "Il sequestro del reporter americano è stata una operazione di Hezbollah". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 43, l'articolo di André Glucksmann dal titolo " Il nuovo ordine mondiale ora passa anche per Damasco ".
Ecco i pezzi:

Il FOGLIO - Daniele Raineri : "Il sequestro del reporter americano è stata una operazione di Hezbollah"


Daniele Raineri          Hezbollah

Roma. Un sorriso che non riusciva a spegnersi mentre raccontava i momenti duri, e l’espressione di sollievo di chi si è avvicinato alla morte e si è tirato indietro in tempo. Lunedì sera l’inviato della rete americana Nbc, Richard Engel, è stato liberato dopo cinque giorni di sequestro in Siria, assieme ad altri quattri giornalisti che lavorano assieme a lui, e ieri mattina si è collegato con i colleghi in studio da una piazzetta di Antiochia, in Turchia. “Stavamo viaggiando in una zona che credevamo controllata dai ribelli, i rapitori sono venuti fuori all’improvviso dagli alberi, era un gruppo armato di quindici uomini in passamontagna. Hanno ucciso sul posto un ribelle che ci faceva da scorta e ci hanno messo dentro un furgone chiuso che era già pronto. Per cinque giorni ci hanno spostato di covo in covo, ci hanno tenuti bendati e ammanettati, ma non ci hanno torturati né picchiati. C’era violenza psicologica, ci chiedevano di scegliere chi avrebbe dovuto essere ucciso per primo, hanno finto di ammazzarci, sparando in aria. Poi ieri sera durante un altro spostamento su un furgone siamo incappati in un posto di blocco dei ribelli, le nostre guardie non se l’aspettavano, i ribelli hanno sparato e ne hanno uccise due. Siamo saltati fuori dal veicolo illesi e ci siamo consegnati ai ribelli”. Engel è un corrispondente veterano, si è fatto tutta la guerra nel vicino Iraq a partire dal 2003. Nell’intervista spiega chi e perché l’ha sequestrato: “Una milizia fedele al governo siriano e addestrata dagli iraniani e dai libanesi di Hezbollah ci ha preso in ostaggio perché ha detto di volerci scambiare con quattro agenti iraniani e due libanesi che sono in mano ai ribelli. Quando siamo stati liberati eravamo diretti alla roccaforte di Hezbollah dentro la Siria”. Il gruppo di esecutori materiali è formato da shabiha, gli spettri, la milizia siriana fedele al governo, ma il mandante è Hezbollah, il movimento sciita libanese alleato del governo iraniano e del presidente siriano Bashar el Assad, come pure la buona intelligence – i rapitori sapevano dove aspettare i giornalisti, li attendevano con passamontagna e un furgone chiuso. Il coinvolgimento di Hezbollah e dell’Iran nella guerra civile è sicuro, ma le prove sono confuse. Ci sono le migliaia di testimonianze, ci sono i video in cui miliziani con nastri gialli – il colore del movimento – sulla manica combattono in Siria, ci sono i funerali nell’area di confine della Bekaa dei militanti e dei comandanti del gruppo libanese uccisi e rispediti in Libano per essere seppelliti dentro il drappo giallo-verde, ci sono i video degli aerei passeggeri con a bordo i pasdaran iraniani che atterrano in scali poco frequentati in mezzo al paese, ma fino a ieri non c’era una testimonianza così diretta da dentro: Hezbollah in Siria ha una sua zona protetta e in questo momento sta dando la caccia agli stranieri per usarli in uno scambio di ostaggi. Nel decennio tra il 1982 e il 1992 il movimento armato libanese fece della cattura di stranieri uno strumento di lotta politico- militare: almeno 96 ostaggi, di cui 25 americani. Ormai erano passati vent’anni dall’ultimo sequestro. A dire il vero, e qui si entra nel campo della speculazione, a settembre il governo di Baghdad ha amnistiato e liberato un comandante di Hezbollah “rapitore di americani”, Ali Musa Daqduq, che nel 2007 a capo dell’incursione di un gruppo di uomini con addosso divise americane dentro una base a Karbala, in Iraq, sequestrò e uccise cinque militari americani. La storia di Engel fa pensare che si sia trattato di un’operazione valutata politicamente e pianificata in anticipo. I rapitori avevano costretto i tre a parlare in un video di rivendicazione, ora rimosso da YouTube. Il black out dei media non ha funzionato Engel è stato in ostaggio per cinque giorni, ma non si è saputo nulla fino a lunedì, per la decisione congiunta dei grandi media di dare tempo e spazio a eventuali trattative senza la pressione esterna. David Rhode, reporter del New York Times, è stato prigioniero per sette mesi dei talebani in Pakistan, ma l’informazione non è uscita se non dopo la sua fuga. Quarant’otto ore fa la notizia di Engel rapito è trapelata – su Twitter, per colpa di un turco – e da quel momento è stato un imbarazzante balletto di giornalisti e siti americani che rilanciavano e poi, avvertiti, cancellavano. Il gruppo ribelle che ha liberato i giornalisti è Ahrar al Sham, uno dei più duri e dichiaratamente islamisti. Sul suo sito abbondano i rimandi alla retorica di al Qaida, ma in questo caso ha compiuto la scelta giusta, liberando ostaggi catturati dalla milizia del governo.

CORRIERE della SERA - André Glucksmann : " Il nuovo ordine mondiale ora passa anche per Damasco "


André Glucksmann

Gennaio 2011-dicembre 2012. Dopo l'euforia viene la depressione: le rivoluzioni arabe avrebbero forse provocato solo il passaggio da dittature militari a minacciose dittature religiose, in Egitto come in Tunisia? Noi europei, disincantati, dimentichiamo facilmente i capovolgimenti e le lunghe peripezie che abbiamo vissuto per accedere a una democrazia ancora imperfetta: la nostra «primavera dei popoli» risale al 1948. Quanto tempo è passato, quanto sangue è stato sparso da allora! L'inizio delle «primavere arabe» rimonta a soli due anni fa: è recente rispetto alla conquista delle libertà fondamentali che ha intrapreso l'uomo moderno. E le «primavere arabe» non hanno detto la loro ultima parola, c'è ancora resistenza ai diktat degli integralisti, a piazza Tahrir come sull'avenue Bourghiba.
Si chiama «rivoluzione» un cambiamento di regime ottenuto con mezzi illegali e l'intervento massiccio di importanti frazioni della popolazione che manifestano la loro volontà sulle piazze. Diversamente dai colpi di Stato, o dai cambiamenti costituzionali ottenuti attraverso le urne, il sollevamento popolare, più o meno insurrezionale, è il segno distintivo delle «rivoluzioni», quelle che hanno conosciuto la Tunisia e l'Egitto nella primavera del 2011. Allo stesso modo, durante le «rivoluzioni colorate» che le hanno precedute nell'Europa un tempo sovietica, i bagni di sangue sono stati evitati. Le rivoluzioni «di velluto» in Europa centrale, la rivoluzione «delle rose» in Georgia e la rivoluzione «arancione» in Ucraina hanno fatto «sgombrare», un decennio più tardi, i despoti e gli occupanti senza colpo ferire. Sgombrati provvisoriamente? Pericolosi soprassalti possono ancora intervenire, in Ucraina, in Georgia, a Tunisi e al Cairo. Resta tuttavia il fatto che siamo usciti dai modelli giacobini, bolscevichi o nazisti. Di conseguenza, questi sconvolgimenti politici e sociali sono incompiuti nei loro programmi, incerti nei loro orientamenti. Cerchiamo di non cadere in errore, questa «uscita» dal terrore è decisiva e il potere di seduzione delle nuove insurrezioni democratiche inquieta i tiranni ben al di là delle frontiere. Pechino censura su Internet il «gelsomino», perché il profumo di Tunisi potrebbe contagiare i propri cittadini. Mosca si allarma per la forza dell'esempio quando, a decine di migliaia, i russi sfilano contro il campione della frode elettorale. I despoti preparano le loro controffensive.
A cominciare da Assad che bombarda i suoi concittadini da oltre un anno. Forza dell'esempio per forza dell'esempio! Il massacro dei siriani è il punto culminante di una controrivoluzione generale che mira a bloccare il contagio della libertà. Seguendo l'esempio degli ayatollah di Teheran, che nel 2009 si scatenarono selvaggiamente contro i giovani e i riformatori scesi nelle piazze per reclamare il rispetto delle urne, Damasco rincara la dose della crudeltà e si assicura a sua volta il sostegno diplomatico e militare di Mosca e (più lontano) di Pechino. La santa alleanza dei poteri autocratici contro l'emancipazione dei popoli è mondialmente all'ordine del giorno.
Gli europei hanno il grande torto di assistere passivamente allo spettacolo della restaurazione, e di osservare passivamente da un anno l'estendersi dei massacri in Siria. Non si tratta di oscenità circoscritte e locali, Bashar Al Assad instaura un precedente. Alla domanda: cosa è consentito contrapporre alle aspirazioni delle piazze? La risposta suona semplice e chiara: uccidete! Lascia l'Onu muta. E non dispiace al partito comunista cinese, che ancora oggi si assume il massacro degli studenti sulla piazza Tienanmen (1989). Va perfettamente bene allo stato maggiore russo che insanguina il Caucaso da quasi vent'anni (se non da tre secoli) e soddisfa Putin, il suo capo stratega per il quale 40.000 siriani caduti nell'ultimo anno non rappresentano nulla di scandaloso né di eccezionale, considerate le sue azioni militari contro i civili ceceni. Il Cremlino, Pechino, Teheran, contano su di te, Assad, fratello mio, per far passare il gusto insopportabile di libertà che potrebbe impadronirsi dei loro cittadini, dei loro vicini, dell'intero pianeta.
Al diavolo l'ingenuità. La mondializzazione non è solo un affare di soldi, non si limita ai flussi finanziari e agli scambi economici. I modelli di rivoluzioni dolci, dello stile di quelle di Praga e Varsavia, o di Tunisi e del Cairo, sono anche mondialmente imitabili, così come le repressioni dispotiche senza Dio né patria. Quale immagine dell'ordine del mondo si annuncia per domani? Fra le rivendicazioni libertarie della piazza e la morte che cade dal cielo, una parte del nostro destino si compie a Damasco.

Per inviare la propria opinione a Foglio e Corriere della Sera, cliccare sull'e-mail sottostante


lettere@ilfoglio.it
lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT