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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Libero - Il Foglio Rassegna Stampa
14.12.2012 Siria, anche la Russia abbandona Assad
cronache di Carlo Panella, Daniele Raineri

Testata:Libero - Il Foglio
Autore: Carlo Panella - Daniele Raineri
Titolo: «Mosca si arrende e molla Assad: è finito - L’intelligence francese dice no all’America che vuole intervenire in Siria»

Riportiamo da LIBERO di oggi, 14/12/2012, a pag. 17, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Mosca si arrende e molla Assad: è finito ". Dal FOGLIO, in prima pagina, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo "L’intelligence francese dice no all’America che vuole intervenire in Siria ".
Ecco i pezzi:

LIBERO - Carlo Panella : " Mosca si arrende e molla Assad: è finito "


Carlo Panella              Bashar al Assad con Vladimir Putin (foto di archivio)

Damasco sta per cadere: la notizia è certa perché non proviene dall’opposizione, ma dalla bocca addirittura del viceministro degli Esteri russo Mikhail Bogdanov: «Bisogna guardare un faccia la realtà, il regime e il governo siriano perdono sempre più il controllo della situazione. Non possiamo escludere una vittoria dell’opposizione». Dunque, dopo avere sostenuto in ogni maniera Bashar al Assad, dopo averlo rifornito abbondantemente di armi e avere bloccato tutti i tentativi di intervento dell’Onu, Mosca si rende conto di avere imboccato un vicolo cieco. Vladimir Putin prende atto di avere sviluppato una strategia inerziale e senza senso e ora tenta di porvi riparo, con tardivi contatti con l’opposi - zione siriana - tramite il governo turco che la protegge, finanzia e arma - nella speranza di non essere del tutto esclusa dall’influenza sul futuro governo di Damasco. Probabilmente è troppo tardi, la battaglia di Damasco - nonostante l’impiego di missili Scud da parte delle truppe lealiste - si sviluppa ormai consempre maggior frenesia da parte dei ribelli, che sono quasi riusciti a perseguire l’obbiettivo strategico di isolare il centro di Damasco dall’aeroporto internazionale. Mercoledì una bomba ha devastato il Ministero degli Interni, ferendo, ma non gravemente, il ministro Ibrahim al Shar (inequivocabile segnale della perdita di controllo da parte del regime persino dei centri dicomandopiùrilevanti). Ieri una bomba ha provocato 16 morti nel quartiere di Qatana, e i ribelli, pronti ormai alla battaglia finale hanno lanciato un appello alla popolazione civile per «preparare postazioni di pronto soccorso e per sorvegliare tutti i luoghi di culto per impedire che il regime pratichi la politica della terra bruciata perseguita ad Aleppo e in altre città». Anche Barack Obama, chesinora ha dato segno di una incredibile lentezza di intervento nella crisi siriana, tenta ora di rientrare nel gioco politico del futuro governo di Damasco. Mercoledì, ha riconosciuto formalmente la «Coalizione nazionale delle opposizioni» quale rappresentante legittimo della Siria. La mossa, subito seguita da molti altri Paesi tra cui l’Italia, ha grande impatto sul piano formale, perché prepara l’esclusione del governo di Assad dal controllo dei capitali e delle risorse sulla scena internazionale, ma non è sufficiente a permettere a Washington di pesare sul futuro quadro politico siriano. Infatti, mentre Obama e la Clinton perdevano 15 mesi nell’inutile tentativo di organizzare un intervento militare «multilaterale », Arabia Saudita, Qatar, Turchia e persino la Francia hanno sviluppato un concreto e decisivo intervento militare assolutamente «unilaterale». L’esercito dei ribelli e dei disertori è stato infatti in grado di contrastare in battaglie campali le forze di Assad solo e unicamente grazie ai finanziamenti, alle forniture d’armi, alla copertura di raffinati sistemi di comunicazione militare e anche all’impegno diretto di migliaia di «consiglieri» di questi Paesi. Gli Usa, invece, non hanno ancora finito di addestrare in un campo vicino ad Amman i 250 giordani che intendono inviare in Siria a combattere per tentare all’ultimo momento di presentarsi come «cobelligeranti contro il regime». Una drammatica lentezza di iniziativa che renderà marginale il ruolo degli Usa sul futuro della nuova Siria e che ha anche facilitato il peso crescente in Siria di combattenti quaidisti e jihadisti. Obama ha dichiarato mercoledì «terroristica» l’orga - nizzazione jihadista al Nusra, nel tentativo di marginalizzarla e di ottenere l’ostracismo da parte dei ribelli siriani. Ma troppo tardi. Troppo poco.

Il FOGLIO - Daniele Raineri : " L’intelligence francese dice no all’America che vuole intervenire in Siria"


Daniele Raineri

Il Cairo, dal nostro inviato. Notizie sulla crisi in Siria, difficili da confermare. Il dipartimento di stato americano sta tentando di convincere la Francia e altri alleati Nato che in Siria la minaccia delle armi chimiche del presidente Bashar el Assad giustifica la preparazione di un intervento militare. L’Amministrazione Obama è pronta con un’azione di guerra preventiva a prendere il controllo dei 31 depositi siriani (questo per ora è la stima più precisa) dove sono custoditi i precursori chimici che miscelati assieme compongono il gas nervino Sarin. La pressione del dipartimento è forte in particolare su Parigi, dove è arrivato un memo dei servizi segreti americani che sostengono di avere individuato aerei pronti al decollo con a bordo il gas nervino sulle piste di tre aeroporti siriani. Il dossier è in mano al Secrétariat Général de la Défense et de la Sécurité Nationale (Sgdsn), che fa capo al primo ministro Jean-Marc Ayrault. I servizi francesi si oppongono con forza, sostenendo che si tratta di intelligence insufficiente, e chiedono altro tempo, citando il precedente delle armi di distruzione di massa mai trovate in Iraq. La richiesta americana di aiuto in caso di intervento preventivo sarà affrontata nell’incontro dei 13 paesi che seguono la crisi siriana che si terrà in Canada la prossima settimana. Sono stati gli stessi americani a fare trapelare ai media, due settimane fa, che c’è “attività inusuale, mai vista prima” nei siti delle armi chimiche dell’esercito siriano, “tale da far pensare che sia intenzionato a usarle”. Perché gli Stati Uniti stanno esercitando pressione soprattutto su Parigi? Perché dalla Francia si aspettano un aiuto decisivo. I servizi segreti francesi sembrano i più connessi dentro la Siria rispetto a tutti gli altri. Sono in vantaggio. A luglio il ministro degli Esteri, Laurent Fabius, confermò con orgoglio che il generale della Guardia repubblicana Manaf Tlass, amico d’infanzia del presidente Assad, era riuscito a disertare grazie alle forze speciali francesi, e così altre figure di spicco, come il generale Mohamed Hussein Haj Ali, comandante dell’Accademia nazionale di difesa, fuggito in Giordania ad agosto. Secondo il quotidiano Figaro, Parigi in quel periodo stava lavorando “a dodici defezioni dentro il regime”. Da Beirut una fonte dice al Foglio: “La settimana scorsa ho ospitato cari amici in fuga da Damasco e mi dicevano di sapere che nella ghuta (la fascia dell’hinterland) attorno alla capitale si muovono uomini dei servizi francesi per sostenere i ribelli. Parlavano però per sentito dire”. C’è chi ricorda che a marzo l’ambasciatore francese in Libano dovette andare sul confine a recuperare alcuni agenti in fuga da Homs. Nella stessa zona, tra il confine e Damasco, il Figaro ha scritto una settimana fa, si muovono militari francesi in contatto con i gruppi ribelli. Due giorni fa Kelly McEvers, reporter della radio americana Npr che ha lavorato clandestinamente dentro la Siria, ha confermato un’informazione apparsa sul Foglio mercoledì 5 dicembre: ribelli siriani s’addestrano in Giordania assieme a istruttori di paesi arabi e americani “senza divisa, in vestiti borghesi”. Aggiunge che centinaia di uomini sono passati per questo corso, che comprende l’uso di armi antiaeree sofisticate, negli ultimi due-tre mesi, e che un militare americano dice ai ribelli “prima dovete unirvi”, come condizione per il trasferimento delle armi dentro la Siria. Gli Stati Uniti guardano con diffidenza all’opposizione armata siriana, considerata un assortimento disunito di bande che agiscono in autonomia e hanno in comune soltanto l’odio per Assad. La disperazione degli Scud I radar di terra in Turchia hanno “visto” l’esercito siriano sparare almeno sei missili Scud da lunedì. Partono in volo dalla base di al Nasiriya, poco a nord di Damasco, e mirano alla gigantesca base militare 111, a Sheikh Suleiman, vicino ad Aleppo, presa domenica da Jabhat al Nusra, il gruppo ribelle che martedì è stato messo sulla lista dei “terroristi globali” dal dipartimento di stato americano. La mossa del governo Assad sa di disperazione, è un po’ come buttare il mobilio dalla finestra, ma è probabile che i piloti siriani non si arrischino più a volare così a nord, dopo avere subìto troppi abbattimenti con i missili terra-aria che i ribelli hanno saccheggiato dalle basi. Ieri l’ospedale dell’élite a Damasco è stato sgombrato per fare posto al ministro dell’Interno, ferito da una bomba mercoledì sera, pur in mezzo a mille misure di sicurezza. Persino Mosca, attraverso il viceministro degli Esteri russo, Mikhail Bogdanov, ora dice: “Assad sta perdendo” (e per la Nato: “Il regime sta collassando”).

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