Oggi, 20/11/2012, sono molte le cronache, ne abbiamo scelte tre dal CORRIERE dela SERA e dalla STAMPA. Su quasi tutti i giornali sono in gran parte dedicate alla situazione a Gaza, molto colore, tale da commuovere il lettore, in seconso piano, o del tutto ignorato, il continuo lancio di razzi/missili sul territorio israeliano.
Corriere della Sera-Davide Frattini: " Era una spia, Ashraf il meccanico ucciso dai sospetti"

Israele si difende
DAL NOSTRO INVIATO
GAZA — Il vecchio Abdessamia ha perso i denti, un figlio e la voglia di alzare la saracinesca per lasciare entrare un po' di luce nell'officina da meccanico. Non che i vicini verrebbero a stringergli la mano o a porgergli le condoglianze. Ashraf, il primogenito dei suoi tre maschi, è stato ucciso venerdì in uno slargo di sabbia e pattume che di piazza ha solo il nome. Il cadavere depositato sotto il manifesto che esalta un miliziano di Hamas, incollata sulla felpa nera la condanna a morte: «Le Brigate Ezzedin Al Qassam annunciano l'esecuzione di un informatore che ha partecipato all'assassinio di almeno quindici capi del popolo palestinese».
Nella Gaza dei sospetti, stordita dal rumore incessante dei droni che scrutano nei vicoli, il movimento fondamentalista ha voluto lanciare un avvertimento. I leader ripetono che l'intelligence israeliana riceve le notizie sugli spostamenti dei bersagli, che i missili vengono indirizzati da dentro la Striscia. Dall'inizio dell'offensiva, un altro uomo accusato di essere un collaborazionista è stato ammazzato con un colpo alla testa e gettato in un cassonetto.
Ashraf, 41 anni, era stato arrestato dieci mesi fa, tenuto in una cella da qualche parte. «Non abbiamo mai saputo perché — racconta il padre — non ci hanno permesso di parlargli e l'avvocato che abbiamo assunto non ha potuto leggere il dossier». Il marchio di traditore che lo ha bollato risale a un'altra guerra, quella di tre anni fa, quando un gruppo di venti miliziani — ricostruiscono i parenti — è venuto a cercarlo. È stato trascinato via per essere interrogato assieme al fratello Osama: «Indossavano il passamontagna nero e la mimetica delle Brigate Al Qassam. Ci hanno spinto contro a un muro e ci hanno sparato alle gambe. Dopo un anno il primo ministro Ismail Haniyeh ci ha regalato 10 mila dollari, "è stato un errore" ha detto», ricorda Osama che ancora cammina con le stampelle.
Ashraf telefonava spesso in Israele — ammettono lui e il padre — «perché aveva un garage a Gerusalemme Est e parlava con i soci». Dopo il conflitto del 2009, compra una jeep da 25 mila dollari: troppi per Gaza dove l'85 per cento della popolazione vive sotto la soglia di povertà, abbastanza per insospettire i suoi carnefici. «Ci hanno messo in mezzo perché la mia famiglia appoggia Fatah da sempre, sono rivalità politiche — replica Abdessamia, 67 anni —. Siamo trattati come nemici: all'ospedale Shifa non mi hanno lasciato prendere il cadavere e non l'abbiamo potuto toccare prima di seppellirlo».
Le associazioni per i diritti umani che provano a registrare i casi di esecuzioni sommarie nella Gaza governata da Hamas non vogliono commentare adesso il caso di Ashraf. Un attivista accetta di parlare al telefono: «Dopo l'inizio dell'offensiva Hamas ha minacciato qualche leader minore di Fatah costringendolo a rimanere a casa, arresti domiciliari senza mandato». Negli uffici di un'organizzazione, un volontario s'infuria: «Come potete occuparvi di un collaborazionista morto, quando vengono ammazzati i bambini? Io sono pronto a criticare Hamas, ma in questi momenti è impossibile».
La guerra e il dolore raggrumano il sostegno attorno ai miliziani. Il camioncino scoperto corre verso la moschea, il padre accovacciato benda con le braccia il corpo del piccolo Jamal, uno dei quattro bimbi uccisi domenica, quando la palazzina della famiglia Al Dallu è stata distrutta da un missile israeliano. La folla ripete le minacce amplificate dagli altoparlanti: «Brigate Al Qassam dovete vendicarci, distruggete Tel Aviv».
Corriere della Sera-Francesco Battistini: " La lunga attesa dei riservisti, il nemico da combattere è la noia"

Israele si difende
DAL NOSTRO INVIATO
SDEROT (Israele) — Pronto, chi spara? «Shalom. Se sei Tzach Gat, numero d'identificazione…, hai l'ordine di presentarti entro 24 ore alla tua base di reclutamento o al punto di Ramot, dove troverai un autobus. Ricorda che devi essere munito di tutta la tua attrezzatura militare». Il telefono di Tzach Gat, 37 anni, un dottorato in chimica all'Università di Gerusalemme, parà riservista dell'unità speciale Sayeret Nahal, squilla nel sonno del venerdì notte.
Chi diavolo rompe?... La voce alienata d'una segreteria automatica, Zav-8, nome in codice del richiamo: l'adunata delle emergenze, quella che non ammette ritardi, né renitenze. Il tempo di non riprendere più sonno, di passare un po' di sabato coi quattro bambini, quattro cose nel trolley, «magari mi porto un po' di lavoro ché non si sa mai», una carezza alla mezuzah sullo stipite di casa com'è nella retorica ebraica d'ogni guerra, addio mia bella addio, l'auto degli amici che aspetta e via, veloci, destinazione una base della Galilea: sabato, anche il soldato Tzach è partito per la seconda guerra di Gaza.
La Grande Armada di terra messa insieme da Bibi Netanyahu, per il momento, combatte un solo nemico: la noia. «Le prime dodici ore ti passano nell'adrenalina dei preparativi — racconta il parà Tzach —. Tutti a dire: siamo venuti per farla finita con questi razzi di Hamas, e allora eccoci qui… C'è perfino esaltazione. Poi, comincia quel tempo che non finisce mai. Qualche esercitazione, se va bene. Se no aspetti, aspetti… Aspetti che ti mandino dentro o ti rimandino a casa». Dei 75 mila riservisti mobilitati d'urgenza, diserzioni poco sopra lo zero per cento, qualcuno sta già tornando: a Eli T., agente immobiliare e carrista di Tel Aviv, ieri mattina hanno comunicato che di carristi ce n'è già troppi e che al momento non c'è bisogno di lui, perché nessuno sa se poi s'entrerà davvero, a Gaza. «Oggi mi hanno rimandato a casa, ma domani devo tornare», scuote la testa Yair, infermiere di Gerusalemme. «Ho lasciato mia moglie, il mio bambino d'un anno e un sacco di lavoro arretrato — protesta un ufficiale —. Ho fatto tutto di corsa, e per che cosa? Stiamo a fare girare i pollici. Ho la sensazione che ci abbiano richiamato solo per alzare un po' di polvere. Ci usano per fare paura a Hamas, ma nessuno vuole realmente un attacco di terra».
Prudono le mani, pochi mostrano la paura d'insanguinarsele. «Mangal», twittano i soldati di siesta: siamo qui a fare il campeggio. E non è un passatempo gradito a tutti: «Mi hanno costretto ad annullare le date dei miei concerti», spiega lo scocciatissimo account di Idan Amedi, vincitore dell'ultima edizione dell'X-Factor israeliano, cantante di recentissima fama che sta con gli elicotteristi e ha dovuto interrompere la tournée, rimborsando i biglietti ai fan delusi. La voce metallica della Zav-8 è arrivata fino allo Stato di New York, sul cellulare di Edan Razinovsky, 26 anni, studente di medicina a Harvard: «Sono basito. Io in Israele ci sono nato e basta, vivo in America da 23 anni. Perché dovrei fare questa guerra?».
Volti noti o militi ignoti, la chiamata non fa eccezioni. O quasi. «Come al solito, chi prega non combatte», s'indignano sui blog gli Indignados di Rothschild Avenue, a Tel Aviv, e in un attacco di terra il Bibi pre-elettorale dovrà fare i conti con chi vede che la guerra non è uguale tutti: per gli arabi israeliani, il 20 per cento della popolazione; soprattutto per gli haredim, quel 10 per cento d'ebrei ultraortodossi che sono esentati dalla chiamata alle armi (e pure dalle tasse per pagarla) e che invece una legge, ferma alla Knesset da mesi, vorrebbe trascinare alla pugna come gli altri. Il consenso dell'opinione pubblica all'operazione «Colonna di Fumo» è dell'88 per cento, dicono i sondaggi di Haaretz, più o meno come fu quattro anni fa per «Piombo Fuso», ma l'eventualità d'un attacco di terra piace solo al 30 per cento degli israeliani. Fra questi, non ci sono di certo le mamme riunite nel social group «Partorire mentre il marito è nell'esercito»: un'associazione di mutuo soccorso Facebook, per donne con le doglie che sono rimaste sole ad arrangiarsi. Né ci sono le signore che vanno alla palestra di Arnona, quartiere di Gerusalemme: un cartello all'entrata avverte le clienti che il corso di pilates è sospeso, «l'insegnante è stata richiamata». Dicono che l'assenza si sente, «lei è la più chiassosa, vivace, chiacchierona del fitness center». L'hanno messa a controllare i droni da un computer. Dalla palestra le hanno chiesto quando torna: «Informazione riservata», ha risposto.
La Stampa-Aldo Baquis: " Speranze di tregua sotto le bombe. A Gaza giù 100 morti "

Israele si difende
Al sesto giorno di combattimenti, Israele e Hamas si sono trovati a un bivio, dovendo scegliere se puntare ad un cessate il fuoco (mediato da più parti) oppure proseguire nelle ostilità: cosa che potrebbe comportare l’inizio di una operazione israeliana di terra a Gaza, di carattere limitato o anche di vaste dimensioni.
Al Cairo si è continuato a lavorare a bozze di documenti per un cessate il fuoco. Il presidente americano Obama ha chiamato dall’Asia, dove è in tour, il presidente egiziano Morsi per spronarlo a ottenere una tregua da Hamas. Il gabinetto ristretto del governo israeliano si è riunito per valutare una bozza di accordo. Oggi è prevista una visita a Gaza di ministri degli Esteri arabi e della Turchia.
Sul terreno ieri la violenze sono proseguite con intensità. Ieri miliziani palestinesi hanno sparato oltre 100 razzi verso Israele (quelli più minacciosi sono stati in genere intercettati dalle batteria di difesa Iron Dome) mentre l’aviazione ha proseguito i propri bombardamenti sulla Striscia, giungendo a colpire in sei giorni 1.350 «obiettivi terroristici». A Gaza il bilancio degli uccisi è così giunto a quota 100 (molti dei quali civili), mentre i feriti sono stimati in oltre 700.
Da un primo sondaggio di opinione è emerso che l’opinione pubblica israeliana è in sintonia con il premier Benjamin Netanyahu e con il ministro della difesa Ehud Barack: il 94% giustifica le operazioni militari, il 39 consiglia la prosecuzione ad oltranza degli attacchi aerei, per fiaccare Hamas; il 30 vorrebbe vedere anche un attacco di terra; mentre il 19 manda a dire al governo che è assolutamente il caso di fermare tutte le operazioni militari.
Quest’ultimo è comunque l’accorato consiglio inoltrato ieri a Netanyahu in un appello sottoscritto da un gruppo di intellettuali fra cui gli scrittori Amos Oz e Yoram Kenyuk ed il drammaturgo Yehoshua Sobol. Con «i nemici di Hamas», hanno scritto, occorre cercare un cessate il fuoco il più lungo possibile. «I cittadini del Sud di Israele come quelli di Gaza meritano di poter guardare il cielo con speranza e non con paura».
Quella di ieri è stata a Gaza una giornata particolarmente cruenta, durante la quale Israele ha colpito lo stadio di calcio (da dove, secondo Israele, erano stati sparati missili verso Tel Aviv e Gerusalemme) e, per la seconda volta, la Torre Shoruk, un alto Media Center che ospita le redazioni di diverse stazioni televisive. Al suo interno si nascondevano, secondo Israele, quattro dirigenti del braccio armato della Jihad islamica. Di uno di essi è stata poi confermata la morte.
Intanto il conflitto rischia di estendersi a macchia d’olio. Ieri violente proteste si sono verificate in Cisgiordania: a Hebron un dimostrante è rimasto ucciso dal fuoco dei militari, e due altri sono stati feriti in modo grave a Betlemme. Sulle alture del Golan spari sono stati esplosi dal territorio siriano verso una base israeliana. E nel Sud del Libano l’esercito ha neutralizzato due razzi Katiusha pronti per essere lanciati verso il Nord di Israele.
Due-trecento persone hanno manifestato a New York davanti al consolato israeliano. E pggi il segretario dell’Onu Ban Ki-moon vedrà i dirigenti israeliani e palestinesi. Un’occasione d’oro, si dice da più parti, per spegnere una minaccia che rischia di trascinare vari Paesi in un vortice di violenza.
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