Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
IC7 - Il commento di Daniele Scalise Dal 28/10/2012 al 03/11/2012
Testata: Informazione Corretta Data: 05 novembre 2012 Pagina: 1 Autore: Daniele Scalise Titolo: «Il commento di Daniele Scalise»
Il commento di Daniele Scalise
Daniele Scalise, giornalista e scrittore. Scrive su 'Prima Comunicazione'. E' autore di Cose dell’altro mondo. Viaggio nell’Italia gay-Zelig Il caso Mortara-Mondadori I soliti ebrei -Mondadori Lettera di un padre omosessuale alla figlia-Rizzoli http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=33806
Hanno avvelenato i pozzi. Non so quando è successo, ma l’hanno fatto. Basta leggere i giornali, o guardare le tv, o sentire i commentatori più ascoltati per capire che quel che beviamo è costantemente e pervicacemente avvelenato. Pazienza, ce ne faremo una ragione con la speranza che la nostra sete non ci porti alla tomba. Il 29 ottobre ho seguito su Corriere.it un commento vido (commento? Beh, diciamo che sembrava a una torta di panna montata) di Antonio Ferrari sulla cantante israeliana Noa, all’anagrafe Achinoam Nini. Sulla qualità della cantante non penso sia in questa sede interessante discutere. Magari può non piacere la sua voce o la scelta del repertorio però è un dato che si tratti di un’artista notevole. Ferrari ha ci spiega che Noa è una delle migliori interpreti non della musica contemporanea ma della politica e ci fa sapere, estasiato da “un’ottimismo contagioso”, che Noa “è il volto più bello d’Israele perché parla con la voce, con il corpo, con la gestualità e con la volontà” (con la gestualità? Sì, è possibile parlare di pace anche con i gesti. E, naturalmente, con la volontà. Ho campato sessant’anni senza saperlo, ora lo so). Nel ritratto-elegia, Noa esplicita il suo endorsement per Obama e lancia i suoi strali contro Romney (“se vincesse Romney sarebbe un vero guaio anche per Israele dove la destra si sentirebbe anche in quel caso più forte”) mentre ci fa sapere una cosa che davvero non avevamo mai sospettato e, cioè, che Abu Mazen (presente chi è?) è “un uomo paziente, realista, moderato”. Io sapevo, ma forse ho letto male, che Romney ha promesso, se eletto, di spostare l’ambasciata Usa a Gerusalemme. Il che, detto tra noi, non mi pare proprio un guaio per Israele. Come spesso succede ci sarebbe da ridere se non venisse da piangere. Non tanto per le affermazioni di Noa che, per quanto io non condivida nemmeno nelle virgole, ritengo legittime e sacrosante. No, non è quel che mi fa piangere. E’ il tono del commentatore, quel dipingere la “buona ebrea” mentre gli altri (tanto per dirne due: Netanyahu e Lieberman) sono – sembra di arguire - assatanati guerrafondai. Quasi tutta la stampa italiana ha seguito le elezioni americane con lo strabismo classico e ridicolo con cui segue Israele e spesso anche la politica italiana, raffigurando quasi sempre Romney come una macchietta e Obama come un salvatore (pur con qualche erroruccio, vedi Libia solo per dirne una). Il Corriere, che pure resta un gran giornale spesso a dispetto di se stesso, ha pubblicato uno speciale sui due candidati dove l’unico a favore di Romney è Alberto Alesina, economista italiano che insegna a Harvard. Più un’intervista a una dubitosa e intelligente Camille Paglia che ha fatto a pezzi Obama ma dichiarato il proprio astensionismo (se sei di sinistra e ti metti contro la Grande Mamma ti fanno a pezzi). Insomma, non c’è molto da fare. O meglio, è vero il contrario: c’è tantissimo da fare. Non per cambiare mentalità e abitudini del nostro giornalismo ma perché se non facessimo nulla, se tacessimo, se fingessimo che si tratta di bazzecole significherebbe che il veleno ha davvero compiuto la sua missione.