Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Elezioni Usa, aspettando il 6 novembre commenti di Maurizio Molinari, Mattia Ferraresi, Paola Peduzzi
Testata:La Stampa - Il Foglio Autore: Maurizio Molinari - Mattia Ferraresi - Paola Peduzzi Titolo: «Le donne abbandonano Obama - Il caso Bank of America e Obama fra mercato buono e banchieri cattivi - Utopia libertaria»
Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 26/10/2012, a pag. 16, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Le donne abbandonano Obama ". Dal FOGLIO, a pag. 1-4, gli articoli di Mattia Ferraresi e Paola Peduzzi titolati " Il caso Bank of America e Obama fra mercato buono e banchieri cattivi" e " Utopia libertaria".
Mitt Romney, Barack Obama Ecco i pezzi:
La STAMPA - Maurizio Molinari : " Le donne abbandonano Obama"
Maurizio Molinari
Mitt Romney raggiunge Barack Obama nel voto delle donne e nel tentativo di sbarrargli la strada i democratici giocano due carte: la difesa dell’aborto e il carisma di Bill Clinton. A fotografare il cambiamento di umore nelle donne, che sono la maggioranza degli elettori, è il sondaggio Ap-Gfk: Obama e Romney godono entrambi del 47% delle preferenze mentre in settembre il presidente era avanti di 16 punti. Il motivo è che sui temi economici le donne ritengono Romney più credibile - 49% a 45% - sebbene Obama dimostri «maggiore comprensione generale per noi». Ciò significa che disoccupazione, povertà, caro-benzina e buoni pasto pesano sulle elettrici al punto da portarle a sostenere Romney, bilanciando il sostegno che Obama ha su temi come il diritto all’aborto e la parità salariale.
Per Romney è la dimostrazione che la strategia elettorale basata principalmente sull’economia sta pagando e la speranza del suo team è che consenta di recuperare in Ohio, dove Obama resta avanti di 5 punti. La Casa Bianca si consola con il recupero di favori fra gli uomini, perché il vantaggio di Romney scende da 13 a 5 punti, ma gli strateghi sanno che non basta a compensare l’arretramento fra le donne.
Da qui la doppia mossa del Team Obama. A compiere la prima è il presidente che, durante la registrazione a Los Angeles del «Tonight Show»di Jay Leno, picchia duro su Richard Mourdock, il candidato repubblicano al Senato in Indiana contrario all’aborto anche in caso di violenza carnale. «Uno stupro è uno stupro, si tratta di un crimine - dice Obama - e non so proprio da dove vengano idee come quelle di Mourdock». Il tono è sprezzante, l’obiettivo è schiacciare Romney sulla destra repubblicana. Ecco perché il portavoce Jay Carney aggiunge: «Romney non ha ritirato lo spot tv in cui sostiene Mourdock».
È John McCain che chiede a Mourdock si scusarsi pubblicamente ma la Casa Bianca ha gioco facile a commentare: «Il candidato è Romney». Il tentativo è di far tornare l’aborto in cima alle ragioni in base alle quali le donne votano, spodestando l’economia che favorisce Romney. L’altra carta democratica si chiama Bill Clinton: il popolare ex presidente debutterà lunedì nei comizi congiunti con Obama in Ohio, Florida e Virginia, provando a spostare le elettrici ancora incerte. Basta vedere le emozioni che solleva di fronte a qualsiasi pubblico femminile per comprendere che è la persona giusta per tale missione.
Lo show di Leno è anche l’occasione per Obama di rispondere al magnate Donald Trump che continua ad accusarlo di non essere americano. Il presidente replica con ironia: «Con Trump non andiamo d’accordo da quando siamo cresciuti in Kenya, ci scontravamo sui campi da calcio, lui non era molto bravo e non la prendeva bene ma pensavo che, una volta in America la cosa sarebbe finita, invece lui continua...».
Il FOGLIO - Mattia Ferraresi : " Il caso Bank of America e Obama fra mercato buono e banchieri cattivi"
Mattia Ferraresi
New York. La task force istituita a gennaio da Barack Obama per indagare le malefatte di Wall Street sui mutui tossici che hanno provocato la crisi finanziaria ha stretto ancora una volta il cappio attorno al collo di Bank of America. A settembre la banca ha firmato un patteggiamento da 2,4 miliardi di dollari per avere diffuso false informazioni a clienti e investitori sull’acquisizione di Merrill Lynch nel 2009, una delle operazioni più opache della storia della crisi e alla quale, fra l’altro, l’Amministrazione e il governatore della Fed, Ben Bernanke, non erano estranei. Ora si passa alle frodi sui mutui. La magistratura ha annunciato mercoledì un’indagine civile sull’istituto, in particolare su Countrywide Financial, l’unità che eroga i mutui, e ancora più nel dettaglio l’inchiesta si occupa del programma “hustle” (che sta per “spillare”) con cui Bank of America, dicono i magistrati, stipulava mutui ad alto rischio senza chiedere garanzie ai clienti e li rivendeva a Fannie Mae e Freddie Mac, i giganti dei mutui controllati dal governo. La richiesta di risarcimento per i clienti frodati è di un miliardo di dollari. Countrywide era già finita al centro di uno scandalo per via di certi mutui a tassi estremamente agevolati concessi in esclusiva ai “Friends of Angelo”, un gruppo di politici connessi in vari modi al ceo, Angelo Mozilo. Fra questi c’era anche il senatore democratico Chris Dodd, al quale poi è stato affidato il compito di scrivere le nuove regole finanziarie per evitare un nuovo 2008. Il procuratore federale Peter Bharara ha detto che la “condotta fraudolenta al centro dell’inchiesta è incredibilmente sfacciata” e ha aggiunto: “Questa indagine dovrebbe mandare un altro messaggio chiaro: le concessioni imprudenti di prestiti non saranno tollerate”. Il che illumina il sottotesto politico dell’inchiesta: la percezione popolare è che i banchieri non siano stati puniti abbastanza per i loro peccati e l’Amministrazione Obama in questi ultimi sgoccioli di campagna ha tutto l’interesse a mostrarsi solerte nell’indagare i banchieri. Soprattutto ora che lo sfidante repubblicano, Mitt Romney, vive il momento migliore della sua campagna elettorale. Il copione è il solito, e prevede la presenza sul palco di due attori: i banchieri cattivi e l’Amministrazione irreprensibile che dà loro la caccia. In un’elezione in cui lo sfidante è un ex banchiere cresciuto all’ombra del capitalismo (i maggiori finanziatori diretti della sua campagna sono, nell’ordine: Goldman Sachs, Bank of America, Morgan Stanley, JpMorgan, Credit Suisse), la rappresentazione si carica di un ulteriore significato politico; senonché Obama non si presenta esattamente come il giustiziere del capitalismo corrotto. Nel secondo dibattito presidenziale ha detto: “Credo che la libera impresa sia il più grande motore di prosperità che il mondo abbia mai conosciuto”, affermazione appena mitigata dal solito ritornello sulla “fairness”, equità, lo stesso che un anno fa cavalcava con grande foga, dicendo che il capitalismo come lo conosciamo “non funziona”. Ed è qui che si è inserito Joseph Stiglitz, economista liberal e premio Nobel nel 2001, che accusa entrambi i candidati di evitare deliberatamente il tema del mercato immobiliare, ovvero il settore sul quale ha speculato di più la finanza tossica: “E’ una delle questioni che ha alimentato la crisi” e loro, dice Stiglitz, non ne parlano perché “non vogliono offendere le banche”. Se per Romney una tacita resistenza allo sputtanamento pubblico dei banchieri è ovvia, il sindaco di New York, Michael Bloomberg, in un’intervista al mensile Atlantic ricorda che “Wall Street è più liberal di quanto si pensi”, ed ecco servito il grattacapo di un presidente che difende il sistema e contemporaneamente martella per interposta task force quelli che lo incarnano.
Il FOGLIO - Paola Peduzzi : " Utopia libertaria "
Paola Peduzzi
Milano. Prendi Peter Thiel, imprenditore miliardario della new economy, mettilo assieme a Patri Friedman, poliedrico nipote di Milton, e guarda l’utopia libertaria che prende forma al largo di San Francisco. O forse in Honduras, perché anche le affinità ideologiche a volte non bastano, e si litiga e ci si divide. Thiel, che è cofondatore di Facebook, ideatore di PayPal e di tante altre redditizie iniziative che gli valgono un patrimonio di almeno un miliardo e mezzo di dollari, è un estimatore di Ayn Rand, s’affaccia sul ponte di San Francisco, guarda il mare e sogna piccole isole di libertà che possano attrarre milioni di abitanti nel giro di tre decenni. Friedman, che è un attivista piuttosto bizzoso, bada al sodo (o forse pensa che Thiel non sia troppo concentrato): siccome l’Honduras ha nello scorso gennaio emendato la sua Costituzione per creare zone autonome, Friedman ha subito intravisto la possibilità di trasformarle in esperimenti libertari, così come ha adocchiato, megalomane com’è, con le sue magliette aderenti, zone autonome nella liberissima Cina. L’utopia è la stessa: creare stati nuovi e provare a farli senza stato, niente protezione sociale, niente salario minimo, niente restrizioni e niente regole. Il mercato allo stato puro. In tempi di guerra elettorale sul ruolo dello stato – punto di caduta della sfida tra Barack Obama e Mitt Romney – l’impresa sembra uno sfizio da rampolli annoiati, non certo impegno civile. Eppure c’è qualcosa di concreto nell’esperimento, che ha a che fare con la pancia dell’America, la paura dello stato che tutto può, e tutto pretende. A ispirare Theil è stata la passione per Ayn Rand, la scrittrice di origini russe che è anche riferimento culturale del candidato vicepresidente Paul Ryan. Mai come in questi anni di crisi, complice anche la trasposizione cinematografica di uno dei successi della Rand, “La rivolta di Atlante” (trasposizione per nulla avvincente: il 12 ottobre è uscita la seconda parte della saga), l’ideologia libertaria è stata tanto discussa. Sull’ultimo numero dell’Economist si faceva una ricognizione sul ritorno della Rand. I libri di Rand vanno forte di nuovo – in termini relativi – e comunque molto più forte di quelli di Marx, consolazione massima per chi pensa che nello scontro debba vincere lo small government, non il neokeynesismo che piace, a fasi alterne, alla Casa Bianca (i fan randiani che meno t’aspetti sono in India, ci sono attori di Bollywood che citano la Rand come principale fonte di ispirazione, “cosa che non capita con i politici”, chiosa il magazine britannico). Ma citare la scrittrice, nel dibattito americano, non è molto redditizio elettoralmente: lo stesso Paul Ryan, che per anni ha imposto a chiunque lavorasse con lui la conoscenza dell’opera omnia della Rand, non la cita più con troppa enfasi. Anzi, per scrollarsi di dosso l’immagine di tagliatore forsennato di spese – soprattutto del Medicare, tesoretto degli anziani, gruppo elettorale da non infastidire troppo – Ryan ha iniziato a comportarsi e a esprimersi con più moderazione, come vuole la nuova strategia “centrista ragionevole” di Romney, quella che ha garantito un salto di qualità nella percezione del ticket repubblicano (e l’ironia dei liberal: Bill Clinton che dice “hey, moderate Mitt, piacere di vederti, dove sei stato finora?”; l’ultima copertina del New Yorker con Romneymarinaio che si fa cambiare i tatuaggi sul bicipite per registrare le sue ultime evoluzioni). Ma all’interno del mondo conservatore, dopo il tumulto dei Tea Party, una sintesi ancora non è stata trovata. Nella spinta moderatrice è difficile incastrare chi, come il giovane Friedman, dice che s’è spezzato pure il legame tra democrazia e libertà.
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