Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 17/10/2012, a pag. 16, l'articolo di Gian Guido Vecchi dal titolo " Benedetto XVI invia a Damasco una delegazione di vescovi e cardinali ". Dalla STAMPA, a pag. 14, l'articolo di Giordano Stabile dal titolo "Siria, gli unici a compattarsi sono i jihadisti " .
Ecco i pezzi:
CORRIERE della SERA - Gian Guido Vecchi : " Benedetto XVI invia a Damasco una delegazione di vescovi e cardinali "

Benedetto XVI
La soluzione per bloccare la repressione di Assad, che manda l'esercito con i carri armati contro la popolazione, sarebbe 'politica' ,come sostiene il Vaticano, e verrebbe dalla delegazione di cardinali e vescovi che Benedetto XVI vuole inviare in Siria ?
Il fatto che la situazione per i cristiani sia tutt'altro che chiara, il fatto che preferiscano appoggiare Assad il dittatore piuttosto che vedere gli islamisti salire al potere, il fatto che, in ogni caso, i loro diritti non siano garantiti (proprio come in tutti i Paesi islamici), non conta nulla?
Per quale motivo vescovi e cardinali dovrebbero riuscire dove hanno fallito osservatori Onu e minacce internazionali, Turchia in testa ?
Ecco il pezzo:
CITTA' del VATICANO - «La soluzione della crisi in Siria non può essere che politica». L'annuncio del cardinale Tarcisio Ber-tone è arrivato ieri sera e non è un caso che il Segretario di Stato abbia parlato davanti ai vescovi giunti da tutto il mondo per il sinodo: Benedetto XVI ha deciso di inviare una delegazione a Damasco «la prossima settimana» perché «non possiamo essere semplici spettatori di una tragedia come quella che si sta consumando in Siria: alcuni interventi sentiti in aula ne sono la prova». La mossa del Papa è tanto più significativa se si considera da chi sarà composta la delegazione. Oltre agli addetti ai lavori —monsignor Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati e quindi «ministro degli Esteri» della Santa Sede, il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, e monsignor Alberto Ortega della Segreteria di Stato — Benedetto XVI manderà a Damasco una rappresentanza della Chiesa universale: cardinali come l'arcivescovo di New York Timothy Dolan e l'arcivescovo di Kinshasa, Laurent Mosengwo Pasinya, più l'ordinario militare in Colombia Fabio Suescun Mutis e il vietnamita Joseph Nguyen Nang, vescovo di Phat Diem. Come a dire che è tutta la Chiesa a preoccuparsi della popolazione siriana e, in particolare, della minoranza cristiana (il 5, 2 per cento, il 2,1 sono cattolici). «Convinti che la soluzione della crisi non può essere che politica e pensando alle immani sofferenze della popolazione, alla sorte degli sfollati nonché al futuro di quella nazione, alcuni di noi hanno suggerito che la nostra assemblea sinodale possa esprimere la sua solida-rietà», ha spiegato il cardinale Bertone. La delegazione andrà a Damasco «a nome del Santo Padre e di tutti noi». Lo scopo «è di esprimere la nostra fraterna solidarietà a tutta la popolazione — con un'offerta personale dei padri sinodali, oltre che della Santa Sede — e la nostra vicinanza spirituale ai nostri fratelli e sorelle cristiani». Ma soprattutto, ha scandito, porterà «i nostri incoraggiamenti a quanti sono impegnati nella ricerca di un accordo rispettoso dei diritti e dei doveri di tutti, con una particolare attenzione a quanto previsto dal diritto umanitario. Preghiamo perché prevalgano la ragione e la compassione». La missione della Santa Sede arriva mentre si discute il cessate il fuoco proposto da Lakdar Brahimi, inviato di Onu e Lega araba. La Chiesa ha puntato fin dall'inizio a una soluzione diplomatica. La rivolta e la guerra, del resto, hanno diviso gli stessi cristiani in Siria: chi sosteneva l'«emancipazione culturale di massa che risponde alla Primavera araba», come il padre gesuita Paolo Dall'Oglio, costretto dopo trent'anni a lasciare il Paese; e chi invece, compresi i vescovi locali, si manteneva più prudente con il regime di Assad: «Non vogliamo andare contro o a favore del governo, bisogna aiutare a superare questa crisi in modo equilibrato», ha detto durante il sinodo Gregorio Ill Laham, patriarca greco melkita di Damasco. Un dilemma che l'islamologo gesuita Samir Khalil Samir riassume con un sospiro: «Non si vede soluzione, purtroppo. I cristiani si trovano in una situazione molto delicata: sono una minoranza e la dittatura dà loro sicurezza». Benedetto XVI fin dall'inizio ha esortato «le autorità e tutti i cittadini a non risparmiare alcuno sforzo nella ricerca del bene comune e nell'accoglienza delle legittime aspirazioni a un futuro di pace e di stabili-tà». E sulla Siria è tornato, a settembre, nel suo viaggio in Libano. «E tempo che musulmani e cristiani si uniscano per mettere fine alla violenza e alle guerre», ha detto. «Possa Dio concedere alla Siria e al Medio Oriente il dono della pace dei cuori, il silenzio delle armi e la cessazione di ogni violenza!». Nell'incontro con i giovani, aveva salutato alcuni ragazzi arrivati a Beirut dalla Siria: «Ammiro il vostro coraggio. Dite a casa, ai familiari e amici, che il Papa non vi dimentica. Dite che il Papa è triste a causa delle vostre sofferenze e lutti. Egli non dimentica la Siria nelle sue preghiere e preoccupazioni. Non dimentica i mediorientali che soffrono».
La STAMPA - Giordano Stabile : " Siria, gli unici a compattarsi sono i jihadisti"

Perché l’Occidente teme il «fronte unico» islamista Aiutare i ribelli. Ma quelli giusti. Il flusso di armi dal Qatar e dall’Arabia Saudita che ha permesso finora agli insorti siriani di respingere tutti i tentativi di annientamento da parte dell’esercito di Bashar al Assad, è diventato un dilemma strategico per l’Occidente. I dubbi ci sono sempre stati, ma l’uccisione dell’ambasciatore Chris Stevens a Bengasi, ha ribaltato l’ordine dei fattori: ora la priorità è impedire ai gruppi jihadisti di rafforzarsi. Per non ritrovarsi poi come in Libia in balia di cellule potenti, strutturate, impossibili da eliminare con un semplice colpo di drone. In Siria le premesse sono ancora peggiori. Come nota l’analista Patrick Seale, la rivoluzione dell’ultimo anno e mezzo «ricalca la rivolta guidata dai Fratelli musulmani fra il 1981 e il 1982», stroncata dal padre di Assad, Hafez, nel bagno di sangue di Hama. Stessi luoghi di origine, in gran parte stessi protagonisti e medesima escalation progressiva di violenza. Sono i gruppi salafiti a formare la prima linea di battaglia, e i manifestanti laici, che hanno impugnato le armi dopo le prime repressioni, si adeguano e si fanno crescere la barba. Ma con il fronte che si è stabilizzato dopo l’estate, i barbuti veri sono gli unici ad avere la mentalità per una lunga guerra, visto che combattere è il loro mestiere. Lunedì le due più importanti brigate - dopo quella apertamente legata ad al Qaeda, la Katiba Al Nasr al Sham - hanno annunciato la formazione di un fronte unico jihadista. Sono la Faruq di Homs e la Sakur al Sham. Quest’ultimi, i Falchi della Siria, un nome che è tutto un programma, si sono guadagnati fama di eroi tenendo testa alle unità d’élite della Quarta brigata a nella battaglia nel quartiere Al Salah Din di Aleppo. Il nuovo Fronte di liberazione della Siria islamista si pone in aperta concorrenza con il Libero esercito siriano, che dovrebbe raggruppare tutta l’opposizione. Al di là dei roboanti proclami dei politici «abbiamo 40 mila uomini» - la verità è che il fronte «si sta frantumando in fazioni», ha ammesso ad Al Jazeera il comandante Riad al-Asaad. Nei centri storici di Homs e Aleppo nascono i primi gruppi «di autodifesa», alawiti ma anche cristiani, contro i seguaci di Al Qaeda. Mentre «aquile» e «falchi» jihadisti «nascondono sotto terra una parte considerevole delle armi» raccattate. Già pronte per la prossima guerra, quella del dopo-Assad.
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