Discorso di Obama all'Onu. Tante belle parole, fatti concreti, invece, zero.
Non proprio ciò che ci si aspetta dal presidente degli Stati Uniti.
A che cosa serve rimproverare Ahmadinejad all'Onu se poi gli si permette di continuare indisturbato il suo programma nucleare ?
Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 26/09/2012, a pag. 14, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Obama: gli islamisti contro i valori dell’Onu ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 14, l'intervista di Viviana Mazza a Mohamed Ghalibaf dal titolo " Non c'è solo il duro Ahmadinejad. La mia Teheran, islamica e moderata ", a pag. 34, l'articolo di Marco Ventura dal titolo " La grande moschea di Strasburgo, simbolo dell'Europa tollerante ", preceduto dal nostro commento. Dal MANIFESTO, a pag. 7, l'articolo di Marina Forti dal titolo " L’accordo che Tehran offre, gli Usa rifiutano", preceduto dal nostro commento.
Ecco i pezzi:
La STAMPA - Maurizio Molinari : " Obama: gli islamisti contro i valori dell’Onu"


Maurizio Molinari, Barack Obama
Il monito all’Iran sul nucleare e la richiesta alla Primavera araba di tutelare la libertà di espressione sono i messaggi che il presidente americano Barack Obama recapita all’Assemblea Generale dell’Onu con un discorso segnato dal ricordo di Chris Stevens, l’ambasciatore «ucciso a Bengasi, la città che aveva contribuito a salvare».
Sul nucleare di Teheran, Obama accusa l’Iran di «aver mancato l’opportunità di dimostrarne la natura pacifica» e assicura che «l’America vuole risolvere tale questione con la diplomazia perché c’è ancora tempo e spazio per farlo» ma «il tempo a disposizione non è illimitato». Se dunque resta contrario all’opzione militare, il monito sulla possibilità di ricorrervi è esplicito: «Faremo ciò che dobbiamo per impedire all’Iran di ottenere l’atomica». Ciò significa respingere la tesi secondo cui si potrebbe contenere l’Iran atomico come avvenne con l’Urss. «L’Iran nucleare non può essere contenuto – sono le parole di Obama – perché minaccia l’eliminazione di Israele, la sicurezza delle nazioni del Golfo, la stabilità dell’economia globale, di innescare una corsa all’atomica nella regione e di travolgere il Trattato contro la proliferazione». Obama imputa a Teheran anche il «sostegno al dittatore di Damasco e ai gruppi terroristi che operano all’estero» additando di fatto la Repubblica islamica come la principale minaccia per la comunità internazionale.
L’affondo sull’Iran è la parte centrale di un discorso dedicato in gran parte alla Primavera araba perché Obama legge le violenze anti-americane che hanno portato all’uccisione di Stevens come un attacco a «autodeterminazione e libertà di espressione che sono valori universali». Si tratta di «un assalto agli ideali su cui l’Onu è stata fondata» aggiunge Obama, citando il leader sudafricano Nelson Mandela per chiedere ai popoli arabi di riconoscere che «essere liberi non significa solo spezzare le catene ma vivere rafforzando le libertà altrui». Per dimostrare cosa intende sottolinea come «la maggioranza degli americani sono cristiani come me ma non proibiamo le offese blasfeme contro la nostra fede» e «io stesso, presidente e comandante in capo accetto che ogni giorno la gente mi definisca con termini offesivi». La sfida ai protagonisti della Primavera araba è di comprendere che «nessuna offesa può giustificare la violenza» come quella innescata dal video islamofobo «L’innocenza dei musulmani». «É un video anche contro l’America perché abbiamo milioni di cittadini musulmani – dice Obama – è arrivato il momento di marginalizzare chi usa l’odio contro l’America, l’Occidente o Israele come strumento politico». Riguardo ai killer di Stevens, «sarà fatta giustizia», torna a promettere il presidente, ribadendo anche la convinzione che il regime del «dittatore Assad» in Siria «deve cadere per consentire una nuova alba per il suo popolo» mentre fra arabi e israeliani «il futuro non appartiene a chi volta le spalle alla pace».
Uscito dal Palazzo di Vetro, Obama raggiunge la sede della «Clinton Global Initiative» che definisce «un tesoro della nazione». Dal palco affronta un tema globale molto caro alla Casa Bianca. «Il traffico di esseri umani è una moderna forma di schiavitù – sottolinea Obama – le vittime devono sapere che le vediamo, le ascoltiamo e ci battiamo per la loro dignità». Poche ore prime era stato lo sfidante repubblicano Mitt Romney a parlare alla stessa platea proponendo un «Patto di prosperità» con le nazioni in via di sviluppo basato su abbattimento delle barriere agli investimenti e rispetto delle libertà individuali.
CORRIERE della SERA - Viviana Mazza : " Non c'è solo il duro Ahmadinejad. La mia Teheran, islamica e moderata "

Mohamed-Bagher Ghalibaf
Mohamed-Bagher Ghalibaf, sindaco di Teheran, viene presentato come 'moderato'. Ogni tanto capita che qualche cronista si riferisca a personaggi come Ghalibaf, o Rafsanjani, o Khatami come 'moderati', quando non lo sono affatto. Questo succede perché l'informazione occidentale ha bisogno di inventare moderati quando non ci sono.
Ecco l'intervista:
Oggi Ahmadinejad parla per l'Iran alle Nazioni Unite. Ma dal 2013 la Repubblica Islamica avrà un nuovo presidente. Quel presidente potrebbe essere il sindaco di Teheran Mohammed-Bagher Ghalibaf, 51 anni, già rivale di Ahmadinejad alle elezioni nel 2005. In estate un suo consulente ha detto che correrà per la presidenza nel 2013 e farà l'annuncio appena ne «avrà il tempo». I media americani, che lo osservano da tempo, immaginano un «Iran più moderato» e rapporti migliori con l'Occidente. In visita in Italia all'inizio di settembre per un convegno di primi cittadini delle megalopoli mondiali, Ghalibaf — che a 19 anni guidava centinaia di iraniani in guerra contro l'Iraq, a 24 era generale dei pasdaran, poi capo della polizia di Teheran — ha detto al Corriere di non avere deciso se candidarsi nel 2013. Ma ha risposto alle domande su come governerebbe, promettendo «atteggiamenti diversi», ma anche alcune «linee ferme».
Per la rivista «Time» lei è «affascinante come un Bill Clinton iraniano e pio come un Bush musulmano»; un «conservatore in giacca di pelle» per il New Statesman: insomma un conservatore moderato.
«Non ero a conoscenza di queste definizioni. Ci sono molte differenze tra cultura iraniana e americana, e forse nelle definizioni sarebbe meglio fare riferimento alla società cui si appartiene. In Iran la religione è centrale: la cultura, le leggi, tutto ha un rapporto molto stretto con la fede. Io sono convinto che possiamo lavorare sia guardando al mondo moderno che rispettando la nostra identità che ha radici nel nostro credo. L'Islam ci incoraggia ad essere figli del nostro tempo, e moderati. Da ciò forse nascono alcune di quelle definizioni».
Se diventasse presidente, farebbe le cose diversamente da Ahmadinejad, nei campi di diplomazia, economia e nucleare?
«Si tratta di questioni fondamentali su cui ci sono delle linee ferme e chiunque avrà questa responsabilità non apporterà modifiche. Ma ci sono modi diversi per raggiungere gli stessi obiettivi. Io avrò atteggiamenti diversi».
Ahmadinejad si è spesso scontrato con l'Occidente, ad esempio negando l'Olocausto.
«La moderazione dovrebbe essere il perno intorno al quale fare ruotare le discussioni. Ma abbiamo di fronte un Occidente che annovera l'Iran come membro dell'Asse del Male, che ha atteggiamenti discriminatori e lontani dalla moderazione».
Lei ha stimolato a Teheran gli investimenti privati. E ha criticato la politica economica nazionale del presidente.
«Io appoggio gli interventi indirizzati a diminuire la presenza dello Stato nell'economia dell'Iran, come ho fatto a Teheran. Ho criticato chi usa gli introiti del petrolio per le spese correnti dello Stato anziché investire nell'industria e altri settori per aiutare il Paese a fare il salto economico di cui ha bisogno. Credo che i profitti del petrolio non debbano essere uno strumento nelle mani del governo ma al servizio del benessere di cittadini».
I rapporti tra lei e Ahmadinejad non sono ottimi, vero?
«Se intende che siamo persone diverse è vero, ma la nostra collaborazione istituzionale continua, le divergenze non ostacolano il mio dovere di sindaco. Certo se avessimo sempre l'appoggio del governo, avremmo proceduto più velocemente».
Lei si sente un manager o un politico?
«Sono un uomo di Stato, non un politicante. Non mi interessa la politica per la politica. Mi considero un manager della nazione e le mie operazioni vanno al di là e al di sopra della politica. Penso che l'Iran abbia bisogno di figure con doti manageriali e con una visione politica: spero di essere questo».
«E' più facile prendere decisioni in guerra che in pace»: è una frase attribuita a lei dai media Usa. Prende sul serio la possibilità di un imminente attacco di Israele?
«In realtà ho detto che chi ha vissuto la guerra sa decidere meglio di chi non l'ha vissuta se entrare in un conflitto. E questo indipendentemente dalla questione israeliana. Se attaccheranno va chiesto a loro. Ma mi chiedo: qual è l'obiettivo? Eliminare la tecnologia nucleare iraniana? E' impossibile. Al più il programma verrà rallentato. La tecnologia è nostra, nessun attacco può annientare il sapere. Però, se dovesse accadere, sarà devastante per Israele. Abbiamo visto nella guerra dei 22 giorni (a Gaza, nel 2008) e dei 33 giorni (in Libano nel 2006) qual è la sua capacità militare, e quali sono i suoi limiti. Una eventuale partecipazione americana avrebbe un costo altissimo».
CORRIERE della SERA - Marco Ventura : " La grande moschea di Strasburgo, simbolo dell'Europa tollerante "

Marco Ventura
Ventura si rallegra per l'apertura della grande moschea di Strasburgo e delle aperture di Obama verso l'islam, come se si trattasse di due fattori 'positivi'.
Prima di essere così entusiasti, sarebbe opportuno vedere da chi e come verrà gestita la moschea dato che, spesso, succede che vengano utilizzate per fare proselitismo alla 'causa' del terrorismo islamico.
Per quanto riguarda le aperture di Obama, poi, non sono nulla di nuovo. E non hanno portato a nessun risultato positivo in 4 anni di presidenza.
Ecco il pezzo:
Ha ricordato i campi di battaglia europei Barack Obama, nel suo discorso di ieri alle Nazioni Unite: «I più sanguinosi del Novecento». Ha fatto dell'Europa uno degli esempi di diversità da cui nasce sviluppo, di forza morale che cambia la storia e indirizza il destino. Il presidente americano saluta l'accesso al voto dei popoli arabi vissuti per decenni sotto dittatura; ma si tratta solo del primo passo. «La vera democrazia è duro lavoro», una «meticolosa opera di riforma», avverte il presidente. È difficile riconciliare tradizioni e fedi con la diversità e l'interdipendenza del mondo moderno. In ogni Paese, ricorda Obama, vi è chi si sente minacciato da religioni diverse dalla propria, chi pretende la libertà per sé senza riconoscere la libertà altrui. Vi è chi offende e incita all'odio.
Nel tempo della comunicazione globale, la risposta non è la censura, col cui pretesto «si zittisce la critica e si opprimono le minoranze». L'arma più potente è la libertà d'espressione; non meno parola, dunque, ma più parola, perché «la voce dei fanatici e dei blasfemi» sia sopraffatta dalla voce della tolleranza e della mutua comprensione. Al contempo, serve una risposta ferma contro i violenti: «Non vi è parola che giustifichi la violenza». Né deve mancare la consapevolezza che per ogni folla armata ripresa in Tv, vi sono milioni di uomini uniti dagli stessi sogni di libertà. In essi, conclude Obama, «batte il cuore dell'umanità».
All'enfasi del presidente nel Palazzo di vetro di New York fa eco la preghiera ad Allah che si alza dal luogo simbolo del sanguinoso campo di battaglia europeo. Apre domani la Grande Moschea di Strasburgo, la seconda moschea disegnata da Paolo Portoghesi dopo quella di Roma. Esempio di collaborazione tra autorità religiose e civili, l'evento non è isolato. Sarà seguito tra pochi giorni dall'inaugurazione presso l'Università di Strasburgo della prima formazione di imam in una istituzione dello Stato francese. «Niente potrà rovesciare la marea crescente della libertà», dice al mondo Obama. Gli europei sono meno enfatici. Ma non meno operosi.
Il MANIFESTO - Marina Forti : "L’accordo che Tehran offre, gli Usa rifiutano"
Il Manifesto prende sul serio le dichiarazioni degli iraniani per quanto riguarda il programma nucleare. Perciò non è quest'ultimo, ma l'Occidente che cerca (molto, troppo timidamente) di bloccarlo, ad essere aggressivo.
Leggendo il pezzo di Forti si ricava l'errata convinzione che l'Iran sia prontissimo a negoziare, mentre sarebbero gli Usa e Israele a non concedere nulla in cambio.
L’Iran è disposto a sospendere il lavoro di arricchimento dell’uranio al 20% - come chiedono le potenze occidentali nell’ambito del negoziato sul programma atomico di Tehran - in cambio di un alleggerimento delle sanzioni: ma gli Stati uniti e i suoi alleati hanno respinto la proposta. L’offerta iraniana è stata reiterata pochi giorni fa, il 19 settembre a Istanbul, durante l’ultimo incontro tra il negoziatore capo iraniano Saeed Jalili e la rappresentante della politica estera europea Catherine Ashton, che in questo caso coordina anche il gruppo delle sei potenzemondiali (imembri permanenti del Consiglio di sicurezza Onu più la Germania). Lo ha confermato l’ambasciatore iraniano Ali Asghar Soltanieh, rappresentante dell’Iran presso l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), in una intervista all’agenzia stampa Ips. E’ la prima volta che un rappresentante dell’Iran dice in modo ufficiale ciò che era già noto in via ufficiosa: e cioè che l’Iran continua a lanciare segnali di disponibilità, nel negoziato con le potenze mondiali. Sono gli occidentali in questo caso a non voler dare una contropartita. «Noi siamo pronti a sospendere l’arricchimento al 20%, a patto che ci siano dei passi reciproci », ha detto Soltanieh nell’intervista con il giornalista Gareth Porter per la Ips: «Se noi lo facciamo, dovrebbero venir meno le sanzioni». Il negoziato tra l’Iran e il gruppo dei «5 più 1» era ripreso inmarzo dopo uno stallo di oltre un anno. Si è arenato presto, però: perché da un lato gli Stati uniti chiedono non solo che l’Iran fermi l’arricchimento dell’uranio al 20%,ma che accetti anche di trasferire tutto l’uranio già arricchito fuori dal paese - e che chiuda del tutto l’impianto di arricchimento sotterraneo di Fordow (e questa è una concessione del presidente Barack Obama a Israele, che ha fatto di tutto perché la chiusira dell’impianto atomico sotterraneo iraniano diventasse una condizione non negoziabile). Richiesta non accettabile invece per l’Iran: «E’ impossibile che si aspettino che chiudiamo Fordow», ha ribadito l’ambasciatore Soltanieh (del resto è un impianto sotto le normali ispezioni dell’Aiea). E poi, se pure Tehran avesse acconsentito le potenze occidentali non hanno offerto contropartita.Nessun alleggerimento delle sanzioni, neppure un vago segnale - al contrario, il 1 luglio è entrato in vigore l’embargo dichiarato dall’Unione europea sui prodotti petroliferi iraniani. E lunedì il ministero del tesoro Usa ha aggiunto un altro tassello, dichiarando che l’ente di stato iraniano per gli idrocarburi (Nioc) è «agente o affiliato» delle Guardie della Rivoluzione: di conseguenza è soggetta a sanzioni ogni banca straniera che accetti transazioni di denaro con quest’ente, cosa che rende sempre più difficile per l’Iran esportare il suo petrolio e gas naturale. Soltanieh ha fatto notare che metà dell’uranio arricchito al 20% è stato ormai convertito in combustibile per il reattore di ricerca di Tehran, ovvero il suo scopo dichiarato, come documenta l’Aiea nel suo ultimo rapporto sull’Iran, del 30 agosto: questo ha colto di sorpresa i governi occidentali (non era noto che l’Iran avesse questa capacità), ma significa anche che non può essere riconvertito per usi bellici. Il rappresentabnte iraniano si lamenta poi che l’Aiea continua a non voler mostrare all’Iran i documenti che accuserebbero l’Iran di attività nucleari illecite, e di cui chiede chiarimenti: un po’ come non accusare qualcuno senza rivelare di cosa sia imputato.
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