Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Inizia oggi la 67ma assemblea dell'Onu. Ahmadinejad inizia con le minacce a Israele cronache e commenti di Fiamma Nirenstein, Carlo Panella, Maurizio Molinari, Alessandra Farkas, Mattia Ferraresi. Intervista di Udg a Stefano Silvestri
Testata:Il Giornale - Libero - La Stampa - Corriere della Sera - Il Foglio - L'Unità Autore: Fiamma Nirenstein - Carlo Panella - Maurizio Molinari - Mattia Ferraresi - Umberto De Giovannangeli Titolo: «Appello al mondo civile: boicottate Ahmadinejad - Siria, ora l’Onu alza bandiera bianca - Un salto all’Onu - Organismo che va difeso. Resta il luogo della legittimità internazionale»
Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 25/09/2012, a pag. 14, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " Appello al mondo civile: boicottate Ahmadinejad ". Da LIBERO, a pag. 17, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " All’Onu va in scena la disfatta di Obama sulla questione islam ". Dalla STAMPA, a pag. 15, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Siria, ora l’Onu alza bandiera bianca". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 17, la cronaca di Alessandra Farkas dal titolo "Tirata di Ahmadinejad all'Onu. «Israele è destinato a sparire» " , preceduta dal nostro commento. Dal FOGLIO, a pag. 1-4, l'articolo di Mattia Ferraresi dal titolo " Un salto all’Onu ". Dall'UNITA', a pag. 12, l'intervista di Umberto De Giovannangeli a Stefano Silvestri, presidente dell'Istituto Affari Internazionali, dal titolo " «Organismo che va difeso. Resta il luogo della legittimità internazionale» ", preceduta dal nostro commento.
In alto a destra, la Casa Bianca se Obama vincerà di nuovo le elezioni. Ecco i pezzi:
Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Appello al mondo civile: boicottate Ahmadinejad "
Fiamma Nirenstein
L’assemblea dell’Onu, con le sue cospicue falle, è in corso. Dal Darfur alla Siria, la sua inerzia è stata ed è la malattia del mondo. Le sue scelte, fatte in assemblea e in tutte le sue agenzie a colpi di maggioranze islamiche e terzomondiste, ne fanno un corpaccione irrilevante e talora dannoso. Ma un gesto potrebbe ridargli significato: un serio boicottaggio del discorso di Ahmadinejad previsto per domani. Il presidente iraniano ha però già fatto il suo debutto ieri a una sessione sullo stato di diritto, di cui non può saperne tanto. Ma appare anche molto ignorante in storia, dato che alla riunione ha detto che «Israele non ha radici nel Medio Oriente, è esistita solo una sessantina d’anni e l’Iran invece per un migliaio». Peccato che chiunque abbia letto anche solo la Bibbia sappia che da tremilacinquecento anni esistono una terra e un popolo d’Israele. Dal 1979, invece, esiste un regime che ripete la sua ossessione: distruggere gli ebrei. Dal 2005 Ahmadinejad usa l’Onu come megafono delle sue teorie genocide e antioccidentali. Ieri ha anche detto che le sanzioni per la costruzione del potere atomico fuorilegge sono «un sacrilegio contro l’Islam». Della delegazione iraniana, venti persone si sono viste negare l’ingresso. L’anno scorso tutti i delegati uscirono dell’emiciclo mentre Ahmadinejad dichiarava che l’Olocausto non esiste e che l’11 di settembre era un complotto americano. Ieri l’ambasciatore all’Onu Ron Prosor ha lasciato la sessione dicendo che «il leader di un Paese fuorilegge, violatore seriale dei principi fondamentali dello stato di diritto non deve entrare in questa sala ». Un’intera antologia dei concetti diramati dal podio dell’Onu suggerisce che Ahmadinejad ammorba lo spirito del nostro tempo, viola le leggi,aizza l’Islam,distrugge la residua decenza del discorso politico dell’Onu. Solo qualche citazione: definì gli Usa nel 2007 «egoisti e incompetenti che giurano obbedienza Satana» e chiese se di tornare «dal sentiero dell’obbedienza a Satana a quello della fede in Dio». Naturalmente, il suo Dio. Sull’attacco alle Twin Towers, secondo lui «il governo americano l’ha sostenuto e ne ha tratto vantaggio» per rovesciare «l’economia americana in declino e mantenere le grinfie sul Medio Oriente così da salvare il regime sionista»(2011). Su Israele ha detto più volte che«l’esistenza del regime sionista è un insulto a tutta l’umanità»,che il collasso di Israele «ci sarà ed è vicino», e che «come un cancro che si diffonde in tutto il corpo, questo regime infesta la regione. Deve essere rimosso dal corpo». E altre mille minacce di genocidio. Ahmadinejad ha detto che la Shoah non deve essere presa come un dato storico, semmai il contrario. Ha ripetuto che da loro gli omosessuali non esistono. Ha ribadito, ed è il grande pericolo, le bugie sull’uso pacifico del nucleare che costruisce l’Iran,e lo farà anche stavolta, finchè avra in mano, col nostro consenso istituzionale, la bomba atomica... Dunque, Ahmadinejad viola la convenzione contro il genocidio e lo fa nel contesto della costruzione dell’atomica! L’Iran è accusato dallo State Department di finanziare e organizzare il terrorismo internazionale, aiuta con armi e uomini Bashar Assad, Hamas, gli Hezbollah, perseguita il suo popolo. E noi dobbiamo ascoltarlo mentre pontifica dal podio dell’Onu? Dunque,alzatevi,delegazioni civili, e andatevene prima che cominci a parlare. www.fiammanirenstein.com
LIBERO - Carlo Panella : " All’Onu va in scena la disfatta di Obama sulla questione islam"
Carlo Panella, Barack Obama
«Le cose in Siria vanno di male in peggio»: questa valutazione secca, davanti al Consiglio dell’Onu di Lakhdar Brahimi, rappresentante speciale di Onu e Lega Araba in Siria, sanciscono – se ancora ce ne fosse bisogno - il fallimento completo della strategia di Barack Obama – e dell’Europa - per ilMedioOriente.All’indomani del linciaggiodell’ambasciatore Usa a Bengasi e delle manifestazioni che in tutti i Paesi arabi e islamici hanno visto centinaia di migliaia dimanifestanti bruciare l’effigie del presidente Usa, l’Assemblea annuale delle Nazioni Unite vedrà lo spettacolo impietoso di un Barack Obama nell’angolo, incapace di idee, di proposta e di iniziative, nei confronti della Siria, come nei confronti dell’Iran, della crisi israelo-palestinese e di tutto il rapporto tra Occidente e Paesi musulmani. Priva di risvolti pratici, l’Assemblea dell’Onu permette però ogni anno di vedere, uno dopo l’altro, tutti i leader mondiali prendere laparolaperindicare soluzionieprospettiveper affrontare tutte le aree di crisi. ::: Ma quest’anno vedremo solo un Mohammed Ahmadinejad attaccare come sempre Israele - «Non ha radici nella storia del Medio oriente», ha anticipato - ma anche la stessa legalità dell’Onu («Il diritto di veto di cui godono alcuni suoi membri è privo di legittimità»). Ascolteremo il neo presidente egiziano Mohammed Morsi sfidare con tracotanza gli Usa a «cambiare politica verso il mondo arabo», accusandoli di «avere usato il denaro del contribuente americano per sostenere dittature come quella di Mubarak ». Poi vedremo decine e decine di leader del Movimento dei Non Allineati schierarsi dalla parte dell’Iran e contro le sanzioni Onu.Daparte sua, Abu Mazen, non mancherà di accusare non solo Israele, ma anche la Casa Bianca, di avere fallito (lo stesso Obama l’ha tristemente ammesso) nel ridare vigore al processo di pace. Vedremo anche il premier israeliano Bibi Natanyhau denunciare l’inerzia degli Usa e dell’Oc - cidente nel fermare il programma di costruzione della bomba atomica iraniana. ::: Ma quando prenderà la parola il presidente Usa (per non parlare dei leader europei, privi da anni di strategie per ilMedio Oriente), vedremo un leader che…non saprà cosa dire. Anche se lo dirà benissimo, da oratore eccelso quale è. Sicuramente Obama prenderà le distanze dalla dementeprovocazione del film controMaometto. Con sdegno, condannerà il linciaggio nella «amica nuova Libia» di Chris Stevens ucciso a Bengasi, ma quando dovrà avanzare proposte, prendere una posizione netta e risolutiva su Siria, Iran, Palestina e «questione islamica», vedremo che non sa dire nulla di concreto, di propositivo. Nulla che assomigli a una strategia adeguata. Esattamente come non ha saputo fare nulla in questi 4 anni se non pronunciare belle parole. Tutta la sua strategia mediorientale, enunciata con enfasi nel discorso del 4 giugno 2009 nella moschea di al Azhar al Cairo, è fallita. Era tutta basatasul dialogoconi regimi storici.Maèstato un parlare con i sordi. Puntava sulla stabilità dei regimi amici e alleati degli Usa, ma sono tutti crollati. Era il prodotto di una analisi dell’islam politico contemporaneo, quale portatore di legittime istanze, temperate però da moderazione e aperture. Basti dire che per Obama, la Siria di Bashar al Assad era il baricentro della trattativa dialogante con l’Iran e sulla questione palestinese! Analisi tanto sballata che la popolarità personale di Obama nel mondo islamico è oggi pari, se non peggiore, del suo predecessore George W. Bush. Non a torto.
La STAMPA - Maurizio Molinari : " Siria, ora l’Onu alza bandiera bianca"
Maurizio Molinari, Mahmoud Ahmadinejad
La nuova sessione dell’Assemblea Generale dell’Onu si apre nel segno della paralisi dovuta alla crisi siriana, che l’inviato Lakdhar Brahimi evidenzia parlando di «situazione che peggiora, minacciando di travolgere il Medio Oriente». L’intervento davanti al Consiglio di Sicurezza di Brahimi, inviato Onu sulla Siria di ritorno da Damasco, è stato duro: «La situazione è molto negativa e peggiora, il presidente Assad non vuole le riforme ma solo conservare il vecchio regime, la regione può essere investita dal conflitto». Brahimi ammette di «non avere un piano», auspica la «fine delle forniture militari al regime», parla di «almeno cinquemila combattenti stranieri in Siria» e dice di avere in mente delle «idee nuove» per sbloccare la situazione. Il tentativo è sfruttare i lavori della nuova Assemblea Generale per superare l’impasse dovuta ai veti con cui Russia e Cina continuano a impedire al Consiglio di Sicurezza di agire nonostante un bilancio di oltre 20 mila vittime, secondo le stime delle Nazioni Unite.
«Il Consiglio di Sicurezza non è mai stato così paralizzato dalla fine della Guerra Fredda» sottolinea l’ambasciatore francese all’Onu Gerard Araud e ad evidenziarlo c’è la decisione dei presidenti di Russia e Cina, Vladimir Putin e Hu Jintao, di disertare i lavori. Nei discorsi in programma questa mattina il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, e il presidente americano, Barack Obama denunceranno lo stallo sulla Siria ma la sensazione palpabile fra le delegazioni che affollano il Palazzo di Vetro è di «un’atmosfera negativa, segnata da contrasti e divisioni – come sottolinea un ambasciatore europeo – che contrasta con quella dello scorso anno quando a prevalere erano le speranze per la Primavera araba». Ciò che pesa di più è l’impossibilità dell’Onu di applicare in Siria il principio della «responsabilità di proteggere i civili» che nel marzo del 2011 portò il Consiglio di Sicurezza ad autorizzare l’intervento in Libia con l’avallo russo e cinese.
Nel tentativo di trovare delle vie d’uscita, l’amministrazione Obama preme sul tasto dell’«emergenza umanitaria» dovuta ad oltre 1,2 profughi all’interno dei confini siriani e almeno 360 mila accampati in Turchia, Iraq, Libano e Giordania. Ankara, che ne ha accolti oltre 80 mila, afferma di «essere arrivata al limite» dicendosi a favore della creazione di «zone cuscinetto» all’interno della Siria per ospitare i rifugiati in «aree protette». È un approccio con cui Washington e Ankara, stretti alleati nella crisi, puntano a mobilitare la comunità internazionale a protezione dei civili siriani contribuendo ad erodere la stabilità del regime di Assad. C’è tale impostazione dietro le affermazioni di un alto funzionario del Dipartimento di Stato sulla possibilità che «Paesi come l’Italia possano trovarsi nella condizione di dover accogliere molti profughi» se la crisi non umanitaria continuerà.
Di Siria ha parlato il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad con un gruppo di editorialisti americani negando di fornire armi ad Assad «perché ci sentiamo fratelli di entrambe le parti in lotta». «Il conflitto in Siria è una faida tribale – ha aggiunto Ahmadinejad – nel quale la comunità internazionale si è intromessa peggiorando le cose». In precedenza Ahmadinejad aveva detto alla «Cnn» di «non temere un attacco del militarismo sionista» contro il programma nucleare e di non condividere il diritto all’omosessualità «perché i gay non procreano» mentre intervenendo all’Onu in una sessione sullo Stato di Diritto ha definito «illegittimo» il diritto di veto.
CORRIERE della SERA - Alessandra Farkas : "Tirata di Ahmadinejad all'Onu. «Israele è destinato a sparire» "
Alessandra Farkas
La cronaca di Alessandra Farkas si distingue anche per la titolazione, l'unica sui quotidiani italiani a chiarire in maniera efficace il contenuto del pezzo.
NEW YORK — «L'Iran esiste da sette, diecimila anni. Loro (gli israeliani, ndr) occupano quei territori da 60, 70 anni e nella storia non hanno radici in quel luogo». Anche quest'anno l'arrivo a New York del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad per partecipare alla 67esima assemblea dell'Onu che si apre ufficialmente oggi, si è trasformato in un circo dei media, come al solito pronti a offrire il megafono all'uomo che vorrebbe cancellare Israele dalle cartine geografiche. In una serie di frenetici incontri con media americani, leader internazionali ed esponenti della comunità iraniana in Usa, Ahmadinejad non ha mai chiamato per nome Israele, facendo sempre riferimento ai «sionisti» e sfidando persino il monito a «evitare i pericoli della retorica incendiaria» lanciatogli dal Segretario generale dell'Onu in un incontro poco dopo il suo arrivo. «Anche se siamo totalmente pronti a difenderci, non prendiamo affatto sul serio le minacce dei sionisti — ha spiegato Ahmadinejad ai giornalisti — crediamo che essi siano finiti in un vicolo cieco e stiano cercando nuove avventure per uscire da questa impasse». Intervenendo più tardi al vertice di alto livello sullo «Stato di diritto», ha poi attaccato il Consiglio di Sicurezza dell'Onu per il crescente scontro sul programma nucleare della Repubblica islamica, definendolo discriminatorio. «Alcuni membri del Consiglio con potere di veto hanno scelto il silenzio riguardo alle testate nucleari di un falso regime (Israele, ndr)», ha affermato, «mentre allo stesso tempo impediscono il progresso scientifico di altre nazioni» (l'Iran). Prima del suo intervento l'ambasciatore israeliano presso l'Onu, Ron Prosor, ha lasciato l'aula dell'Assemblea in segno di protesta. «Ancora una volta Ahmadinejad ha mostrato non solo di minacciare il futuro del popolo ebraico — ha dichiarato in un comunicato — ma di voler cancellare anche il nostro passato». «È una vergogna — ha proseguito — che il leader di un Paese che viola sistematicamente le leggi internazionali ed è il massimo sponsor del terrorismo sia invitato a tale forum». Sempre dal palco dell'Onu, il presidente iraniano ha negato ogni coinvolgimento del suo Paese a sostegno della repressione del regime di Damasco, come denunciato nei giorni scorsi da rapporti dell'Onu e dei governi americano e britannico. «Noi cerchiamo la pace in Siria — ha detto — siamo vicini e amiamo entrambe le parti come nostri fratelli».
Il FOGLIO - Mattia Ferraresi : "Un salto all’Onu "
Mattia Ferraresi
New York. Barack Obama è arrivato ieri pomeriggio a New York ma ha una gran fretta di tornarsene in Ohio e negli altri swing state dove si vincono le elezioni. Il presidente farà all’Assemblea generale dell’Onu la visita più breve nella storia recente della Casa Bianca, saltando in blocco tutta la parte degli incontri bilaterali, delle strette di mano e delle infinite commissioni burocratiche che si radunano nella settimana del gran consesso onusiano. Mentre ieri Mahmoud Ahmadinejad spiegava che l’Iran è “neutrale” nei confronti della Siria e non sostiene il regime di Bashar el Assad, dopo essere stato il migliore alleato dell’area per anni, Obama registrava interviste e si preparava alla tradizionale chiacchierata con Ban Ki-moon, e all’intervento di oggi nella caverna di marmo dove si radunano i delegati. Poi raggiungerà Bill Clinton allo Sheraton e lì farà un discorso dallo stesso ambone occupato qualche ora prima da Mitt Romney. Il presidente se ne tornerà speditamente alla campagna elettorale, avendo schivato un incontro con Benjamin Netanyahu richiesto con insistenza da Gerusalemme e il fatale incrocio dei dossier (Iran, Siria, Egitto) che precipita al Palazzo di vetro. E’ a New York che si parlerà di “red line” sull’Iran e di veti alle risoluzioni contro Assad, e il presidente ha una gran fretta di andarsene. Nel discorso davanti all’Assemblea generale il presidente rassicurerà Israele, riaffermando la solidità dell’alleanza e la condanna del programma nucleare iraniano, e alcune fonti dicono che tornerà, tanto per rincarare la dose, sull’opposizione di Washington alla richiesta della Palestina di riconoscimento da parte dell’Onu. E non c’è contesto più consono per bacchettare Russia e Cina per avere bloccato le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu sulla Siria. Basta questo per colmare l’imbarazzo di Obama sulle violenze in medio oriente, segno della debolezza della sua dottrina? Il portavoce della Casa Bianca ha detto che Obama non tralascerà gli episodi delle ultime settimane, ma sul loro significato politico sarà cauto. L’anchorman Steve Kroft ha chiesto al presidente se non sente pressione da parte di Netanyahu, che sta facendo di tutto per convincere Washington ad aderire alle linee rosse di Israele sullo strike alle installazioni nucleari iraniane. Obama ha minimizzato: “Quando si tratta delle decisioni sulla sicurezza nazionale, l’unica pressione che sento è quella di fare la cosa giusta per il popolo americano. E fermerò ogni rumore là fuori”. “Noise”, rumore, è incidentalmente la stessa parola usata da Mahmoud Ahmadinejad in una delle solite, minacciose interviste autunnali con i media occidentali, dove ha spiegato che “non prendiamo sul serio queste minacce”, ma nel caso “siamo pronti a difenderci”, e Romney ha aprofittato immediatamente per ribadire la distanza fra Obama e Israele, che il presidente definisce come “uno dei migliori alleati dell’area”. Michèle Flournoy, ex sottosegretario del Pentagono e consigliere di Obama, al Foglio dice che “Israele percepisce i limiti della propria capacità militare” e per questo fa pressione su Washington. Come Obama, anche lei parla di “bumps in the road”, di ostacoli lungo la strada, e insiste sulla necessità di guardare al di là dell’opzione militare: “Quando si intraprende un’azione militare? Quando è necessario. E bisogna domandarsi se questo distrugge o consolida il consenso internazionale, se ti permette di poterti muovere nel day after”. Ufficialmente l’approccio della Casa Bianca alla questione iraniana consiste in un misto di diplomazia e sanzioni che non ha dato effetti significativi, ma, spiega al Foglio Brian Katulis, analista del Center for American Progress, le “sanzioni non hanno ancora mostrato tutti i loro effetti, e la diplomazia non ha effettivamente portato da nessuna parte. C’è ancora spazio per temporeggiare, e l’Amministrazione vuole decidere senza pressioni”. Obama sta cercando di disinnescare i potenziali pericoli diplomatici di questa settimana newyorchese giocando in anticipo rispetto ad alleati spazientiti e avversari sornioni, e il mancato incontro con Netanyhau – Obama non ha voluto riceverlo nemmeno alla Casa Bianca – è il perno di un equilibrio delicato. Il rapporto con Israele coinvolge non soltanto il dossier iraniano, ma quello palestinese (Abu Mazen parlerà appena prima del primo ministro israeliano) e più in generale l’assetto dei rapporti con il medio oriente in subbuglio. E le implicazioni sul fronte interno non sfuggono affatto a Obama, con lo sfidante repubblicano che si sta prodigando per infondere negli amici di Israele la massima sfiducia possibile verso un presidente che non accetta di incontrare l’amico Bibi adducendo le scuse più incredibili. Obama è a New York, ma vorrebbe essere altrove, in posti dove può fare campagna elettorale senza l’assillo di tutti i capi di stato e di governo del mondo che hanno qualche buona ragione per avanzare richieste e fare pressioni su di lui. Lascerà le incombenze minori, se così si possono chiamare, a Hillary Clinton e Susan Rice, ma l’odore di fuga è nell’aria.
L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : " «Organismo che va difeso. Resta il luogo della legittimità internazionale» "
Stefano Silvestri
L'Onu è un baraccone inattendibile che crea situazioni paradossali. La maggior parte degli Stati è del Terzo Mondo, tutti su posizioni anti occidentali, anti Usa e anti Israele. Sbagliate le domande di Udg, ugualmente sbagliate le risposte di SIlvestri. Il problema non è solo 'riformare' l'Onu, ma cambiarlo del tutto. In quando al diritto di veto, che avrebbe poco senso in un'assemblea di Paesi democratici, per fortuna che c'è nell'Onu attuale. Ecco l'intervista:
«Con tutti i suoi limiti, l’Onu resta comunque la garanzia che sui grandi temi di interesse globale, incluse la sicurezza e la pace, bisogna continuare a trattare». A sostenerlo è Stefano Silvestri, presidente dell’Istituto Affari Internazionali (Iai). «La riforma del Consiglio di Sicurezza - annota Silvestri- deve andare di pari possa con la definizione condivisa di una nuova “governance mondiale”». Riflettori accesi sul Palazzo di Vetro dove si è aperta la 67ma Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Cosa rappresenta oggi l’Onu, professor Silvestri? «Oltre al principio di legittimità, che comunque rimane importante, l’Onu rappresenta il luogo dove il problemadel governo della situazione internazionale deve essere discusso con la presenza di tutti gli interlocutori e non come avviene nei gruppi più ristretti tipo G8, G20...In ultima analisi, mentre è chiaro che molte decisioni possono essere preparate in gruppi più ristretti, queste, però, dovranno poi con la loro capacità di coagulare un consenso sufficiente alle Nazioni Unite. Questo è particolarmente importante quando si ha a che fare con temi di interesse generale che riguardano la regolamentazione degli spazi e degli interessi globali: dal mare allo spazio, dall’ambiente allo sviluppo, oltre, naturalmente a questioni inerenti alla sicurezza e alla pace». Tematichedistraordinariaportatache rispondono alle finalità dell’Onu così come sono definite negli articoli della sua Carta fondativa. Ma da più parti si mettel’accentosulladiscrasiatrafinalità e strumenti,e poteri per dare attuazione a quelle finalità. «Questa discrasia è insita nel fatto che all’Onu non sono stati concessi i necessari poteri, e questo perché non c’è ancora un consenso abbastanza ampio tra gli Stati membri. Ma questa discrasia, reale, non può portare ad una conclusione ingiusta e pericolosa ». Vale a dire? «Liquidare l’Onu. Ciò sarebbe sbagliato, e dannoso, perché anche solo l’esistenza delle Nazioni Unite significa che permane una tensione istituzionale legata al dover essere del governo globale». Tra i temi più caldi al centro di questa sessione dell’Assemblea generale, c’è il dossier siriano, cosìcome quello iraniano. Cosasi attende in merito? «Poco, perché queste sono materie su cui deve decidere il Consiglio di Sicurezza, e in questo ambito non c’è accordo perché, in particolare sulla Siria, le posizioni di Russia e Cina sono diverse da quella della maggioranza dei Paesi occidentali». E sull’Iran? «Sul nucleare iraniano la cosa è un po’ diversa, nel senso che se c’è una condivisione dell’obiettivo da raggiungere resta una diversa veduta su come realizzarlo». Lei ha fatto riferimento al Consiglio di Sicurezza,il massimo organismo decisionale delle Nazioni Unite. Ma non è venuto finalmente il tempo di riformarlo? «Riformare il Consiglio di Sicurezza va di pari passo con la volontà di delineare un governo della situazione internazionale. In altre parole, non basta allargare il Consiglio di Sicurezza, bisogna anche trovare un accordo per una nuova “governance mondiale”; un accordo strategico che mi pare lontano dal manifestarsi».
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