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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera-Il Giornale Rassegna Stampa
23.09.2012 André Glucksmann, Alain Finkielkraut
Due intellò politicamente scorretti, quindi coraggiosi

Testata:Corriere della Sera-Il Giornale
Autore: André Glucksmann-Alain Finkielkraut- Bruno Giurato
Titolo: «L'internazionale della nocività che restringe gli spazi del diritto- Trovo rivoltanti le rivolte per un'opera antislamica»

André Glucksmann e Alain Finkielkraut, due intellò francese fuori dal politicamente corretto, quindi coraggiosi, senza il timore di schierarsi contro la maggioranza degli intellò di corte. Il primo sul CORRIERE della SERA di oggi, 23/09/2012, a pag. 40, con un articolo dal titolo " L'internazionale della nocività che restringe gli spazi del diritto", il secondo sul GIORNALE, a pag. 23, con una intervista di Bruno Giurato dal titolo "Trovo rivoltanti le rivolte per un'opera antislamica".

Corriere della Sera-André Glucksmann: " L'internazionale della nocività che restringe gli spazi del diritto "

André Glucksmann

Informare è dare forma al tumultuoso abbozzo degli avvenimenti discriminando l'importante dall'anodino. In periodi di calma, è evidente: da un lato la cronaca, dall'altro il commento politico. Oggi, regna la confusione. La seconda potenza economica del pianeta lancia delinquenti ancora relativamente sotto controllo all'assalto di consolati e aziende della terza economia. Le isole Senkaku! Il conflitto della Cina contro il Giappone ha davvero come origine una bandiera piantata su un isolotto disabitato, nodo del contendere secolare di una lite assopita?
Quando decine di migliaia di estremisti islamici colti da isteria scherniscono l'America, di cui un ambasciatore viene freddamente assassinato, è forse colpa di un film di pochi minuti caricato su YouTube? Oppure questa «blasfemia» non è che un pretesto dopo tanti altri? Un giornale satirico — Charlie Hebdo — diventerebbe «responsabile» della sicurezza dei francesi e degli interessi mondiali della Francia? Dove finisce la fantasticheria? Dove comincia l'informazione? Chi è causa di che cosa? Gli assassini si attribuiscono degli alibi. «Morte all'America! Morte alla Francia». Non è da noi che si deve cercare il segreto di tale odio, ma presso coloro che lo anima e l'infiamma.
Dopo la caduta del Muro di Berlino, molti esperti e diplomatici avevano pronosticato che saremmo entrati in un'era di ragione dove la «fine della storia» avrebbe abolito i dibattiti intolleranti e le lotte fanatiche. Così non è stato. Oggi ci dibattiamo nell'esatto contrario. La Guerra Fredda è terminata, ma i guerrieri e i criminali esistono sempre. Le loro pulsioni totalitarie e manichee non sono scomparse come per incanto. Le relazioni fra popoli e nazioni appaiono spesso più ostili che consensuali e i rapporti di forza, che fissavano equilibri già precari, contano sempre di meno. Poco importa l'estrema superiorità industriale e militare dell'Occidente: l'Iran teocratico, i jihadisti e le loro infinità di cloni, i narco-marxisti dell'America Latina paralizzano Washington, non per la loro potenza materiale, ma per la loro capacità di nuocere. Putin fu integrato nel G7, diventato G8, non per le sue inesistenti prodezze economiche, ma perché gli era bastato agitare, come un tempo i suoi maestri cechisti, un ventaglio di intimidazioni e di pressioni: il suo arsenale nucleare, la sua posizione di secondo mercante d'armi planetario, le sue risorse energetiche con il ricatto del gas e petrolio che egli manipola. Il mondo contemporaneo si organizza meno in funzione dei rapporti di forza che dei rapporti di nocività.
La dissuasione si esercita dal debole al forte, appoggiandosi sulla facoltà di nuocere. Quando il governo francese, il Dipartimento di Stato americano, le autorità religiose e tutti i commentatori «responsabili» rimproverano un giornale satirico accusandolo di «gettare olio sul fuoco», fingono di dimenticare che questo fuoco esisteva già e brucia da lungo tempo: ogni cittadino è potenzialmente ostaggio di coloro che aborrono la libertà d'espressione e pretendono di imporre con tutti i mezzi la loro concezione del rispetto e del sacro; concezione che non solo Charlie Hebdo, ma la Costituzione repubblicana rifiuta. Quando Putin, con il suo veto, proibisce al Consiglio di sicurezza di proteggere i civili siriani bombardati dal loro governo e quando simultaneamente arma quello stesso governo, aggiunge nocività alla nocività. E rincara la dose, minacciando di rafforzare l'Iran dei mollah o di invadere per la seconda volta la piccola Georgia (ad ogni buon conto, l'esercito russo sta schierando in questi giorni truppe, carri armati e missili sul territorio caucasico occupato). In meno di vent'anni, si è cosi ricostituita una Internazionale della nocività e dell'odio con i suoi «Grandi» — i padrini russi e cinesi — le sue comparse regionali e la sua base mondiale di fanatismi interconnessi. (Consentitemi di stupirmi: 13 minuti di un film su YouTube scatenano manifestazioni gigantesche contro gli Stati Uniti, mentre duecentomila morti musulmani uccisi dall'esercito russo in Cecenia non hanno mai fatto rivoltare lo stomaco a nessuno né fatto scendere in piazza i devoti nostrani del Corano).
Sulle due rive dell'Atlantico la tentazione di chiudersi a riccio aumenta come se, in mancanza di provocazione, il fuoco senza l'olio si spegnesse da solo. Significa dimenticare troppo rapidamente che il fanatismo religioso, politico, etnico o ideologico non ha aspettato Salman Rushdie, i disegnatori danesi, quelli di Charlie Hebdo o le immagini su YouTube per terrorizzare e uccidere. Ogni ricatto riuscito moltiplica gli illuminati sanguinari.

Il Giornale- Alain Finkielkraut: " Trovo rivoltanti le rivolte per un'opera antislamica"

Alain Finkielkraut

Se c’è in giro un esemplare di intellettuale che pren­de posizione, quello è Alain Finkielkraut. Il filo­sofo francese, figlio di un artigia­no ebreo polacco deportato ad Au­schwitz, studioso di Emanuel Le­vinas e Hannah Arendt, è uno che non la manda a dire. Molte sue po­sizioni contro la risacca del politi­cally correct , contro l’ideologia del multiculturalismo, contro la faccia ambigua di un postmoder­no che si presenta carico tanto di lustrini pop quanto di sensi di col­pa, hanno fatto discutere. Il Gior­nal­e lo ha incontrato al festival let­terario Pordenonelegge, dove og­gi alle 12 presenterà il suo ultimo libro, Un cuore intelligente (Adel­phi, 2011),sorta di biografia d’Oc­cid­ente attraverso gli scrittori pre­diletti, da Milan Kundera a Vasilij Grossman. «Il nostro mondo è sa­turo di semplicismo, e di schemi binari, sempre più refrattario alla sfumatura. Penso che il ruolo del­la letteratura, sia reintrodurre le nuances nel mondo». Il che non impedisce a Finkelkraut di pro­nunciarsi in modo deciso su alcu­ni temi d’attualità stretta e dura.
Che ne pensa delle rivolte nel mondo islamico contro il film L’innocenza dei musulmani ?
«Penso che queste rivolte sia­no, in quanto tali, rivoltanti. È un film nullo, grottesco, diffuso solo su internet, e visto da relativamen­te poche persone. Realizzato pro­babilmente da un egiziano copto. Non si capisce quale legittimità abbiano le rivolte in Tunisia, Li­bia, Pakistan».
C’è anche lo stato di tensione, in Francia, per le vignette del settimanale Charlie Hebdo ...
«Quel giornale satirico prende in giro tutte le religioni, è il suo trat­to distintivo. Tipico della tradizio­ne francese, da Voltaire in poi. Non sta certo ad afghani, tunisini, egiziani, determinare in che mo­do devono vivere i francesi. Mani­festino contro Assad e il massacro siriano, piuttosto».
Ma intanto qualche giorno fa si è parlato di misure anti-blasfe­mia nella carta dei diritti uma­ni
dell’Onu...
«Sarebbe una disposizione inaccettabile nei Paesi occidenta­li. La secolarizzazione è avvenuta precisamente contro la crimina­lizzazione della blasfemia».
Pensiamo a ciò che succede con la religione cristiana, pe­rò. Tra film (uno per tutti, il re­centissimo Paradise Faith di Ulrich Seidl, dove una donna ha rapporti sessuali con un cro­cifisso), l’arte contempora­nea, le pop culture, la dissacra­zione sembra diventata una pa­rodia della libertà, fatta di no­ia.
«Vero, è un atteggiamento in­fantile, puerile. Non c’è nessun merito oggi nell’attaccare valori stanchi, moribondi. Le chiese non hanno il vento in poppa, non esercitano il vero potere. Ma non per questo dobbiamo riesumare il peccato di blasfemia. Rischia­mo di sottometterci a una forza più preoccupante della chiesa: l’islam».
In passato ha scritto che a 40 anni dal ’68,ormai è il caso non più di contestare, ma di ristabi­lire l’autorità.
«Ci sono esperienze acquisite dal ’68 che sono ormai dei punti fermi e su cui non bisogna più tor­nare. A esempio la rivoluzione de­mocratica di cui parlava Tocque­ville, il progresso nell’uguaglian­za. Ma oggi siamo portati a chie­derci se non occorra porre dei limi­ti alla rivoluzione democratica».
Per esempio in che campo?
«In quello della famiglia, o anco­ra di più in quello della scuola. La scuola ha il dovere di essere anti­democratica, dissimmetrica:l’au­torità dell’insegnante non deve es­sere in discussione. C’è bisogno di ripristinarla. Nel ’68 abbiamo puntato molto sulla spontaneità. Ma a volte la spontaneità diventa
brutale».
La sua posizione rispetto al ca­so di Richard Millet, l’editor che è stato escluso dal comita­to di lettura di Gallimard per­ché ha pubblicato un «elogio letterario» di Anders Breivik, il massacratore di Utoya?
«Guardi, il titolo di quel saggio è terrificante. Davvero uno scanda­lo non necessario. Breivik è un per­sonaggio abominevole a cui non bisogna associare il alcun modo il termine “elogio”. Non sono d’ac­cordo con Millet. Ma non avrei mai firmato una petizione contro di lui, come hanno fatto altri intel­lettuali ».
Perché?
«Nella petizione c’è scritto: “nel­la banlieue si legge il Corano, ep­pure lì l’integrazione funziona”. Non è vero.In Francia l’integrazio­ne è in crisi, le violenze sono quoti­diane. Di fronte a questa situazio­ne gli intellettuali si coprono gli oc­chi. Reagiscono alla provocazio­ne di Millet con una bugia».
E perché non riusciamo ad af­frontare il problema dei rap­porti con altri popoli e altre cul­ture?
«Colpa del politicamente cor­retto. Nato dall’antifascismo e dal­l’anticolonialismo, ci ha insegna­to a diffidare di noi stessi. Ad attua­re una sorta di vigilanza nei con­fronti dei nostri demoni privati. Ora però l’Europa scopre di avere non solo dei demoni, ma anche dei nemici».

 


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