André Glucksmann e Alain Finkielkraut, due intellò francese fuori dal politicamente corretto, quindi coraggiosi, senza il timore di schierarsi contro la maggioranza degli intellò di corte. Il primo sul CORRIERE della SERA di oggi, 23/09/2012, a pag. 40, con un articolo dal titolo " L'internazionale della nocività che restringe gli spazi del diritto", il secondo sul GIORNALE, a pag. 23, con una intervista di Bruno Giurato dal titolo "Trovo rivoltanti le rivolte per un'opera antislamica".
Corriere della Sera-André Glucksmann: " L'internazionale della nocività che restringe gli spazi del diritto "

André Glucksmann
Informare è dare forma al tumultuoso abbozzo degli avvenimenti discriminando l'importante dall'anodino. In periodi di calma, è evidente: da un lato la cronaca, dall'altro il commento politico. Oggi, regna la confusione. La seconda potenza economica del pianeta lancia delinquenti ancora relativamente sotto controllo all'assalto di consolati e aziende della terza economia. Le isole Senkaku! Il conflitto della Cina contro il Giappone ha davvero come origine una bandiera piantata su un isolotto disabitato, nodo del contendere secolare di una lite assopita?
Quando decine di migliaia di estremisti islamici colti da isteria scherniscono l'America, di cui un ambasciatore viene freddamente assassinato, è forse colpa di un film di pochi minuti caricato su YouTube? Oppure questa «blasfemia» non è che un pretesto dopo tanti altri? Un giornale satirico — Charlie Hebdo — diventerebbe «responsabile» della sicurezza dei francesi e degli interessi mondiali della Francia? Dove finisce la fantasticheria? Dove comincia l'informazione? Chi è causa di che cosa? Gli assassini si attribuiscono degli alibi. «Morte all'America! Morte alla Francia». Non è da noi che si deve cercare il segreto di tale odio, ma presso coloro che lo anima e l'infiamma.
Dopo la caduta del Muro di Berlino, molti esperti e diplomatici avevano pronosticato che saremmo entrati in un'era di ragione dove la «fine della storia» avrebbe abolito i dibattiti intolleranti e le lotte fanatiche. Così non è stato. Oggi ci dibattiamo nell'esatto contrario. La Guerra Fredda è terminata, ma i guerrieri e i criminali esistono sempre. Le loro pulsioni totalitarie e manichee non sono scomparse come per incanto. Le relazioni fra popoli e nazioni appaiono spesso più ostili che consensuali e i rapporti di forza, che fissavano equilibri già precari, contano sempre di meno. Poco importa l'estrema superiorità industriale e militare dell'Occidente: l'Iran teocratico, i jihadisti e le loro infinità di cloni, i narco-marxisti dell'America Latina paralizzano Washington, non per la loro potenza materiale, ma per la loro capacità di nuocere. Putin fu integrato nel G7, diventato G8, non per le sue inesistenti prodezze economiche, ma perché gli era bastato agitare, come un tempo i suoi maestri cechisti, un ventaglio di intimidazioni e di pressioni: il suo arsenale nucleare, la sua posizione di secondo mercante d'armi planetario, le sue risorse energetiche con il ricatto del gas e petrolio che egli manipola. Il mondo contemporaneo si organizza meno in funzione dei rapporti di forza che dei rapporti di nocività.
La dissuasione si esercita dal debole al forte, appoggiandosi sulla facoltà di nuocere. Quando il governo francese, il Dipartimento di Stato americano, le autorità religiose e tutti i commentatori «responsabili» rimproverano un giornale satirico accusandolo di «gettare olio sul fuoco», fingono di dimenticare che questo fuoco esisteva già e brucia da lungo tempo: ogni cittadino è potenzialmente ostaggio di coloro che aborrono la libertà d'espressione e pretendono di imporre con tutti i mezzi la loro concezione del rispetto e del sacro; concezione che non solo Charlie Hebdo, ma la Costituzione repubblicana rifiuta. Quando Putin, con il suo veto, proibisce al Consiglio di sicurezza di proteggere i civili siriani bombardati dal loro governo e quando simultaneamente arma quello stesso governo, aggiunge nocività alla nocività. E rincara la dose, minacciando di rafforzare l'Iran dei mollah o di invadere per la seconda volta la piccola Georgia (ad ogni buon conto, l'esercito russo sta schierando in questi giorni truppe, carri armati e missili sul territorio caucasico occupato). In meno di vent'anni, si è cosi ricostituita una Internazionale della nocività e dell'odio con i suoi «Grandi» — i padrini russi e cinesi — le sue comparse regionali e la sua base mondiale di fanatismi interconnessi. (Consentitemi di stupirmi: 13 minuti di un film su YouTube scatenano manifestazioni gigantesche contro gli Stati Uniti, mentre duecentomila morti musulmani uccisi dall'esercito russo in Cecenia non hanno mai fatto rivoltare lo stomaco a nessuno né fatto scendere in piazza i devoti nostrani del Corano).
Sulle due rive dell'Atlantico la tentazione di chiudersi a riccio aumenta come se, in mancanza di provocazione, il fuoco senza l'olio si spegnesse da solo. Significa dimenticare troppo rapidamente che il fanatismo religioso, politico, etnico o ideologico non ha aspettato Salman Rushdie, i disegnatori danesi, quelli di Charlie Hebdo o le immagini su YouTube per terrorizzare e uccidere. Ogni ricatto riuscito moltiplica gli illuminati sanguinari.
Il Giornale- Alain Finkielkraut: " Trovo rivoltanti le rivolte per un'opera antislamica"

Alain Finkielkraut
Se c’è in giro un esemplare di intellettuale che prende posizione, quello è Alain Finkielkraut. Il filosofo francese, figlio di un artigiano ebreo polacco deportato ad Auschwitz, studioso di Emanuel Levinas e Hannah Arendt, è uno che non la manda a dire. Molte sue posizioni contro la risacca del politically correct , contro l’ideologia del multiculturalismo, contro la faccia ambigua di un postmoderno che si presenta carico tanto di lustrini pop quanto di sensi di colpa, hanno fatto discutere. Il Giornale lo ha incontrato al festival letterario Pordenonelegge, dove oggi alle 12 presenterà il suo ultimo libro, Un cuore intelligente (Adelphi, 2011),sorta di biografia d’Occidente attraverso gli scrittori prediletti, da Milan Kundera a Vasilij Grossman. «Il nostro mondo è saturo di semplicismo, e di schemi binari, sempre più refrattario alla sfumatura. Penso che il ruolo della letteratura, sia reintrodurre le nuances nel mondo». Il che non impedisce a Finkelkraut di pronunciarsi in modo deciso su alcuni temi d’attualità stretta e dura.
Che ne pensa delle rivolte nel mondo islamico contro il film L’innocenza dei musulmani ?
«Penso che queste rivolte siano, in quanto tali, rivoltanti. È un film nullo, grottesco, diffuso solo su internet, e visto da relativamente poche persone. Realizzato probabilmente da un egiziano copto. Non si capisce quale legittimità abbiano le rivolte in Tunisia, Libia, Pakistan».
C’è anche lo stato di tensione, in Francia, per le vignette del settimanale Charlie Hebdo ...
«Quel giornale satirico prende in giro tutte le religioni, è il suo tratto distintivo. Tipico della tradizione francese, da Voltaire in poi. Non sta certo ad afghani, tunisini, egiziani, determinare in che modo devono vivere i francesi. Manifestino contro Assad e il massacro siriano, piuttosto».
Ma intanto qualche giorno fa si è parlato di misure anti-blasfemia nella carta dei diritti umani dell’Onu...
«Sarebbe una disposizione inaccettabile nei Paesi occidentali. La secolarizzazione è avvenuta precisamente contro la criminalizzazione della blasfemia».
Pensiamo a ciò che succede con la religione cristiana, però. Tra film (uno per tutti, il recentissimo Paradise Faith di Ulrich Seidl, dove una donna ha rapporti sessuali con un crocifisso), l’arte contemporanea, le pop culture, la dissacrazione sembra diventata una parodia della libertà, fatta di noia.
«Vero, è un atteggiamento infantile, puerile. Non c’è nessun merito oggi nell’attaccare valori stanchi, moribondi. Le chiese non hanno il vento in poppa, non esercitano il vero potere. Ma non per questo dobbiamo riesumare il peccato di blasfemia. Rischiamo di sottometterci a una forza più preoccupante della chiesa: l’islam».
In passato ha scritto che a 40 anni dal ’68,ormai è il caso non più di contestare, ma di ristabilire l’autorità.
«Ci sono esperienze acquisite dal ’68 che sono ormai dei punti fermi e su cui non bisogna più tornare. A esempio la rivoluzione democratica di cui parlava Tocqueville, il progresso nell’uguaglianza. Ma oggi siamo portati a chiederci se non occorra porre dei limiti alla rivoluzione democratica».
Per esempio in che campo?
«In quello della famiglia, o ancora di più in quello della scuola. La scuola ha il dovere di essere antidemocratica, dissimmetrica:l’autorità dell’insegnante non deve essere in discussione. C’è bisogno di ripristinarla. Nel ’68 abbiamo puntato molto sulla spontaneità. Ma a volte la spontaneità diventa brutale».
La sua posizione rispetto al caso di Richard Millet, l’editor che è stato escluso dal comitato di lettura di Gallimard perché ha pubblicato un «elogio letterario» di Anders Breivik, il massacratore di Utoya?
«Guardi, il titolo di quel saggio è terrificante. Davvero uno scandalo non necessario. Breivik è un personaggio abominevole a cui non bisogna associare il alcun modo il termine “elogio”. Non sono d’accordo con Millet. Ma non avrei mai firmato una petizione contro di lui, come hanno fatto altri intellettuali ».
Perché?
«Nella petizione c’è scritto: “nella banlieue si legge il Corano, eppure lì l’integrazione funziona”. Non è vero.In Francia l’integrazione è in crisi, le violenze sono quotidiane. Di fronte a questa situazione gli intellettuali si coprono gli occhi. Reagiscono alla provocazione di Millet con una bugia».
E perché non riusciamo ad affrontare il problema dei rapporti con altri popoli e altre culture?
«Colpa del politicamente corretto. Nato dall’antifascismo e dall’anticolonialismo, ci ha insegnato a diffidare di noi stessi. Ad attuare una sorta di vigilanza nei confronti dei nostri demoni privati. Ora però l’Europa scopre di avere non solo dei demoni, ma anche dei nemici».