Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Salman Rushdie, esce oggi il suo libro di memorie dal titolo 'Joseph Anton' Intanto l'Iran è ospite d'onore alla Fiera del Libro di Francoforte. Intervista a Salman Rushdie di Andrea Malaguti. Commento di Giulio Meotti
Testata:La Stampa - Il Foglio Autore: Andrea Malaguti - Giulio Meotti Titolo: «Tappeto d’onore per l’Iran alla Fiera del libro di Francoforte»
Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 18/09/2012, a pag. 12, l'intervista di Andrea Malaguti a Salman Rushdie dal titolo " Dopo la fatwa ho sbagliato a fuggire ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " Tappeto d’onore per l’Iran alla Fiera del libro di Francoforte ". Ecco i pezzi:
La STAMPA - Andrea Malaguti : "Dopo la fatwa ho sbagliato a fuggire "
Salman Rushdie, Joseph Anton, ed. Mondadori
Mercoledì 12 settembre, Bloomsbury, il quartiere degli intellettuali londinesi. L’uomo che esce dal portoncino di The Wylie Agency, in Bedford Square, è stato condannato a morte da una fatwa dell’ayatollah Khomeini il giorno di San Valentino del 1989 per avere scritto un romanzo dal titolo: I versi satanici. Si chiama Salman Rushdie, il Grande Blasfemo, ed è un signore indiano naturalizzato inglese cresciuto in una famiglia musulmana di Bombay. Oggi, a 65 anni, vive prevalentemente a New York ed è convintamente ateo. Forse lo è sempre stato. «Ma nei luoghi da cui provengo è difficile persino immaginare di non credere Dio». È stato lui a decidere il luogo e il giorno dell’intervista. Una settimana prima della pubblicazione del suo nuovo libro che esce oggi in tutto il mondo. Si chiama Joseph Anton (in Italia lo pubblicaMondadori) ed è la sua storia. Il padre, la famiglia, la religione, gli studi, ma soprattutto una lotta e una fuga che durano da oltre vent’anni. Fissando l’incontro non poteva ovviamente sapere che l’appuntamento sarebbe arrivato poche ore dopo l’assalto all’ambasciata americana di Bengasi. Scontri apparentemente innescati da un film sacrilego girato negli Stati Uniti. La pellicola, che ridicolizza il Profeta, non ha nulla a che vedere con i Versi satanici, ma impicca i suoi autori alla stessa accusa di empietà. «La mia vicenda personale non è stato l’innesco, ma soltanto il prologo del grande disastro che sarebbe arrivato l’11 settembre ». Anche la violenza di questi giorni rientra nel quadro. Rushdie, in grande forma, non ha nessuna scorta. E tanto meno armi. In questi anni non ha mai indossato una parrucca per nascondersi o un giubbotto antiproiettile per difendersi. Ha un viso tondo, un vestito blu, il pizzetto, occhi che scavano. Sembra in pace con se stesso, ma reagisce alla notizia arrivata dalla Libia come se gli piombasse addosso, al centro della fronte, con la forza di una sassata. Signor Rushdie, dopo l’attacco di Bengasi il Segretario di Stato americano, Hillary Clinton, ha detto: «Deploriamo ogni tentativo intenzionale di denigrare il credo religioso di altri, ma voglio essere chiara: non esiste nessuna giustificazione per atti violenti di questo tipo». Che ne pensa? «Penso che la seconda parte della dichiarazione sia giusta». Elaprima? «Dettata da motivi di equilibrio. Ma è ovvio che le provocazioni deliberate - penso al reverendo Terry Jones che vuole bruciare il Corano - sono sbagliate. Ciò detto che cosa c’entra l’assassinio dell’ambasciatore Stevens con il film? Di certo non l’aveva fatto o prodotto lui. Scivolando su questa china bisognerebbe cancellare metà delle opere intellettuali». Si èmai pentito di avere scritto i Versi satanici? «Sono 23 anni che rispondo allo stesso modo: no. Credo anzi che sia uno dei libri migliori che ho fatto. La gente lo apprezza». Conilclimadioggi riuscirebbeancora afarloaccettaredalmercato? «Probabilmente no, il lato negativo della primavera araba è stato che molti liberali occidentali si sono inchinati di fronte alla sensibilità dei musulmani più estremisti». Chi eraper leiKhomeini? «Nessuno in verità.Un anziano signore. Certo, conoscevo la sua storia e lui era anche uno dei personaggi deiVersi satanici, maioeroindiano,venivodaunaltro modo, non avreimai immaginato che le nostre strade si sarebbero incrociate». Lasuafamigliaeramusulmana. «È vero. Però ha sempre avuto un senso religioso molto blando, anche se mio padre era un grande studioso dell’Islam. Nel libro parlo molto di lui. Mi ha influenzato profondamente». Perché abbiamo bisogno della religione? «All’inizio dei tempi l’uomo non conosceva le risposte a quasi nulla e perciò si affidava a entità eterne. Con il passare dei secoli la scienza ci ha dato parte di quelle risposte. E l’esigenza di Dio tende a diminuire». Come ha scelto il titolo Joseph Anton? «Era il mio pseudonimo nei giorni della fuga». Joseph come Conrad e Anton come Cechov. «Conrad fa dire a un marinaio de IlNegro del Narciso: devo vivere finché non morirò. È diventato il mio motto». ECechov? «Cechov è la malinconia. Di certo quelli non sono stati momenti felici per me». 14 febbraio 1989, San Valentino. Che cosasuccede? «Ricevo una telefonata da una giornalista della Bbc. È una splendida giornata di sole. La donna mi dice: come commenta la fatwa di Khomeini? Io cado dalle nuvole. La notizia è del tutto inaspettata. Mi hanno condannato. Fino a quel momento avevo ricevuto due o tre minacce, niente di più. Resto choccato». Quantocihamessolochocadiventarepaura? «Poco. Però il mio ricordo non è quello di un corpo che trema, ma di una testa che pensa: presto sarò morto. Una cosa piuttosto curiosa su cui riflettere». Come reagì? «Cercando di rispettare i miei appuntamenti. Andai prima alla Cbs per un’intervista. Poi al funerale del mio amico Bruce Chatwin». Perché? «Glielo dovevo. Fu una cerimonia lunga, noiosa, per giunta in greco. Ero di fianco a Martin Amis. Un collega mi disse: la prossima settimana saremo qui per te». Fuleiarivolgersiallapoliziaolacercaronoloro? «Loro. Alle nove di sera andai a trovare mio figlio Zafar a casa della madre. Lì c’era un agente che mi disse: signor Rushdie, la stiamo cercando da ore. Mi offrirono protezione». Come si comportòconsuofiglio? «Aveva nove anni, ma decisi di dirgli tutto quello che era possibile. Non mi andava che ricevesse notizie da altri, magari a scuola. È diventato un uomo incredibilmente equilibrato. Allora non c’erano sms o Skype. Mi misi d’accordo con la madre: chiamo ogni sera alle sette». Funzionò? «Quasi sempre». Quasi? «Una sera telefono e non trovo nessuno. Insisto. Niente. Mi agito e le mie guardie del corpo mi chiedono che succede. Glielo spiego e loro decidono di mandare un’auto a Londra a controllare. Io ero nascosto in Galles. Dopo quaranta minuti la pattuglia ci chiama: siamo davanti alla casa, le luci sono accese e la porta aperta». Che cosapensò? «Che li avessero ammazzati. Immaginavo il sangue e i cadaveri sulle scale. Scoltand Yard tardava a intervenire. Servivano rinforzi. Mi dissero che prima di un’ora non sarebbero entrati. Credevo di impazzire. Rifacevo il numero di casa automaticamente». Poi? «Dopo un’ora mio figlio risponde. Mi dice: papà c’è qui un poliziotto. E fuori ce ne sono altri quaranta. Gli chiedo dove fossero stati e lui mi risponde: alla recita scolastica, la mamma si è dimenticata di avvisare, abbiamo fatto tardi. Sento un sollievo pazzesco. Ancora non capisco perché la porta fosse aperta e le luci accese. Zafar mi dice: veramente era tutto chiuso. La polizia aveva sbagliato casa. Le due ore peggiori della mia vita». Come agiva la paura? Riusciva a dor- miredinotte? «Vuole sapere una cosa ridicola? Ho sempre dormito perfettamente. Profondamente. Senza incubi. E non so perché. Forse perché avevo troppi problemi da risolvere. Cambiavo alloggio in continuazione. E dovevo essere io a scegliere il posto. La polizia chiarì che non potevo tornare a casa: troppi rischi per i vicini e troppe spese per noi. Sbagliai ad accettare». Cosaavrebbepotutofare? «Avrei dovuto dire: io non mi muovo. Mi proteggete qui. Sono l’unico cittadino inglese ad avere ricevuto questo trattamento». Lasuaeraunasituazione speciale. «No. Era solo un problema economico. Tanto che un giorno glielo dissi: ma se, invece di essere un romanziere con un po’ di soldi, fossi un poeta squattrinato, come farei a trovare rifugio?». Che cosale risposero? «Che non ero un poeta squattrinato e dunque il problema non si poneva. Per altro all’inizio erano tutti convinti che la cosa si sarebbe risolta in un paio di giorni». Com’eralasuagiornatatipo? «Non c’era. Mi spostavo sempre. E quando potevo incontravo gli amici. O magari andavo al cinema quando veniva buio». Ha sentito l’appoggio della Gran Bre- tagna? «Della gente comune sì. Della politica molto meno». Checosasignificavaper lei laparolali- bertà? «Era un obiettivo da conquistare gradualmente. Anche la polizia ha capito a un certo punto che non mi poteva tenere in una scatola. Cercavo dei piccoli spazi. La libertà vera ho cominciata a riassaporarla negli Stati Uniti, dopo che arrivò l’accordo tra Iran e Gran Bretagna». Lafatwanonèmai stataritirata. «È vero, ma non importa. Quello che importa è che l’Iran disse che non ero più un obiettivo». Che c’entranogliUsa? «Le cose si sbloccarono dopo un intervento di Clinton. A quel punto anche altri Paesi trovarono più facile sostenermi». ChecosacambiòquandoandòaNew York? «La prima volta che camminai solo per Central Park mi sentii inebriato. Dopo dieci anni potevo decidere per me stesso. Scegliere. Guidare la macchina. Fu come uscire da una bolla». Si ricordadov’eral’11settembre? «A Houston, in Texas, in tour con il mio ultimo libro». Che cosaprovò? «Rabbia. Come se avessero attaccato casa mia. Gli amici mi dicevano: stai lontano da New York, io pensavo solo a tornarci». In India hanno appena arrestato un vignettistasatiricoperaveredisegna- toilParlamentocomeunacloaca. «In India è in atto un vero attacco alla libertà d’espressione. Occuparsi di arte, cinema e letteratura negli ultimi anni è diventato pericoloso». Perché? «La leadership è debole, autoritaria e corrotta. Il problema della corruzione è gigantesco. Uno Stato debole pensa sempre che ogni forma di critica o di satira sia terribilmente pericolosa». Chi èoggi SalmanRushdie? «Una persona che sta bene al mondo». Quantosonoimportanti ledonnenel- lasuavita? «Molto. Come per chiunque. Su di me è stata fatta molta letteratura. Ogni amica viene trasformata in una fidanzata». Oggi è single? «Assolutamente single». Perchéigiornali inglesial tempodella fatwa la descrivevano come un odio- soegomaniaco? «Non lo so. L’ho sempre trovato assurdo. I tabloid di destra possono fare cose di questo tipo solo in Inghilterra. Non ho mai capito perché si accanissero contro un uomo che stava combattendo una battaglia per la vita. È per questo che nel mio libro c’è un giornale che si chiama Daily Insult». Unavoltadissecheavevadentrodi sé unbucoaformadiDio. «Adesso Dio è una necessità che non sento più». Dunquenonc’ènientedopolavita? «Niente». Ealloraperché siamoqui? «Per vivere finché moriamo». Quarantotto ore fa una fondazione iraniana ha nuovamente aumentato la taglia sulla sua testadiSalmanRushdie di 500miladollari,portando a 3,3milioni la ricompensa per chi gli farà la pelle.
Il FOGLIO - Giulio Meotti : " Tappeto d’onore per l’Iran alla Fiera del libro di Francoforte "
Giulio Meotti
Roma. Non soltanto l’Iran non ha rimosso la fatwa contro lo scrittore Salman Rushdie e i suoi “Versetti Satanici”. Ma domenica il regime degli ayatollah ha incrementato di 500 mila dollari, portandola a oltre tre milioni, la taglia per l’uccisione di Rushdie. La decisione proviene dalla Fondazione 15 khordad, che da vent’anni ha il compito di rinnovare, sanzionare e gestire la fatwa per conto dei vertici della Rivoluzione islamica. Il rinnovo della taglia sullo scrittore non ha inibito la Fiera di Francoforte, la più grande kermesse libraria in Europa, dal concedere all’Iran un posto d’onore fra gli espositori. Un articolo sul Wall Street Journal dettaglia la presenza dei funzionari del regime iraniano alla celebre Buchmesse. “L’Iran ha il più alto tasso di giornalisti in prigione, Teheran bandisce i quotidiani, chiude le gallerie, arresta i cristiani e gli artisti”, ha scritto Matthias Küntzel, storico tedesco fra i massimi esperti al mondo di antisemitismo iraniano, contro la decisione di ospitare ufficialmente il regime. Alla Fiera di Francoforte ci saranno anche le case editrici ufficiali della Rivoluzione iraniana, come il Pensatore Ariano e la Sacra Difesa, con pubblicazioni legate all’ala più ideologica e messianica della leadership iraniana. Intanto l’ambasciata iraniana di Berlino rivela che parteciperà alla fiera anche l’ex viceministro della Cultura, Mohammad Azimi, capo dell’Istituto culturale iraniano, che è riuscito a strappare alla direzione della fiera un padiglione ancora più grande di quello dell’anno scorso. Stavolta gli iraniani saranno “vicini ai paesi europei”, ci tiene a precisare un entusiasta Azimi. In passato, la Fiera di Francoforte aveva assunto una posizione molto dura contro l’Iran, specie dopo che nel 1989 l’ayatollah Khomeini condannò a morte Rushdie. La fiera rispose alla fatwa escludendo l’Iran dalla kermesse per alcuni anni. Ma non c’è soltanto Rushdie. Lo scorso maggio Teheran ha condannato a morte Shahin Najafi, rapper iraniano emigrato in Germania e sulla cui testa oggi incombe una taglia di centomila dollari decisa a Teheran e divulgata in rete dal sito religioso Shia-Online con una campagna che promuove l’omicidio del giovane, intitolata “Iniziativa per l’esecuzione”. Secondo il quotidiano Independent, su Shahin Najafi pendono oggi due editti di morte, uno emesso dopo la pubblicazione, la scorsa primavera, di un brano rap intitolato “Naqi” che ridicolizzerebbe la figura religiosa di Ali an Naqi, e l’altra, ben più grave, che, senza nominare il giovane artista, avverte che qualsiasi musicista insulti Ali an Naqi è colpevole di blasfemia e va quindi ucciso. “Ma finora l’Iran era presente come stato” “Sono ancora incredulo”, ha detto Najafi alla stampa tedesca, “ho soltanto trentuno anni e tutta la vita davanti da me. Ogni persona deve pagare il prezzo di ciò che vuole. Io non mi scuserò mai della mia arte o per aver detto la verità sul governo iraniano”. Il ministero degli Esteri israeliano lo scorso gennaio aveva messo in guardia gli organizzatori della Fiera di Francoforte sul fatto che l’Iran avrebbe cercato di portare al grande pubblico testi antisemiti come l’“Ebreo Internazionale” di Henry Ford e i “Protocolli dei savi anziani di Sion”. Nelle edizioni passate, la fiera fu accusata di aver permesso che editori arabi esponessero versioni di testi che negavano l’Olocausto, in aperta violazione della legge tedesca. Parlando al Foglio, il professor Matthias Küntzel dice che “per la prima volta quest’anno l’Iran sarà presente a Francoforte come uno stato. Lo scandalo della vicenda dimostra come la Germania, ma in generale l’Europa, non soltanto non voglia isolare l’Iran, ma lo accetti”.
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