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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Informazione Corretta - Libero - Il Foglio - La Stampa - L'Unità Rassegna Stampa
18.09.2012 Libia, la verità sugli attacchi antiamericani e sulla morte di Chris Stevens
cronache e commenti di Astrit Sukni, Andrea Morigi, Daniele Raineri, Michael Ledeen, Redazione della Stampa, Pasquale Ferrara

Testata:Informazione Corretta - Libero - Il Foglio - La Stampa - L'Unità
Autore: Andrea Morigi - Redazione di Libero - Michael Ledeen - Pio Pompa - Pasquale Ferrara
Titolo: «Le radici dell’odio stanno in Iran - Jihad in Libia - Nasrallah: si rischiano ripercussioni pericolose - Profeti di sventura contro l'Islam democratico»

Riportiamo da LIBERO di oggi, 18/09/2012, a pag. 18, l'articolo di Andrea Morigi dal titolo "  Obama in Libia tentenna. Teme passi falsi elettorali ", a pag. 19, l'articolo dal titolo " Vietato dire che Maometto era pedofilo. Ma in Egitto vogliono far sposare le bimbe ". Dal FOGLIO, in prima pagina, l'articolo di Michael Ledeen dal titolo " Le radici dell’odio stanno in Iran ", l'articolo di Daniele Raineri dal titolo " Se il film non va a Maometto ", a pag. 4, l'articolo di Pio Pompa dal titolo " Jihad in Libia ". Dalla STAMPA, a pag. 13, l'articolo dal titolo " Nasrallah: si rischiano ripercussioni pericolose ". Dall'UNITA', a pag. 10, l'articolo di Pasquale Ferrara dal titolo " Profeti di sventura contro l'Islam democratico ", preceduto dal nostro commento.
Ecco i pezzi, preceduti dal commento di Astrit Sukni dal titolo "A proposito di un omicidio ":

INFORMAZIONE CORRETTA - Astrit Sukni : "A proposito di un omicidio "


Astrit Sukni

La primavera araba non solo si è rivelata una grande illusione,  ma la cosa ancor peggiore è che si sta rivelando un'arma astuta contro l'Occidente. Un'arma di ricatto a tutti gli effetti. La paura dell'Occidente è palpabile al punto da "giustificare" gli attacchi islamici alle ambasciate USA e europee senza avere il coraggio di spendere parole di condanna nei confronti degli integralisti islamici. Stesso discorso vale anche per il Vaticano che non è in grado di difendere i cristiani in Medio Oriente, tanto meno quelli in Pakistan.
Sono molte vittime da ascrivere alla mancata primavera araba. Migliaia. Vittime innocenti che speravano in una democrazia, cancellata da Salafiti, Fratelli Musulmani e Ennhada.
La ciliegina sulla torta è stato il cortometraggio «Innocence of Muslims» di cui tutti scrivono senza averlo mai visto. Un cortometraggio che ha fatto ribollire il sangue ai fanatici, e a farne ingiustamente le spese è stato l'ambasciatore americano in Libia, Chris Stevens. I dettagli sulla sua uccisione non sono usciti sui media, solo su internet è stato possibile conoscere i dettagli.
Una uccisione barbara, violenta, macabra e umiliante da far accapponare la pelle a qualsiasi essere umano munito di coscienza.
 Chris Stevens, durante l' agonia prima di morire, è stato sodomizzato prima con bastone,  sostituito poi con un coltello.
Stessa morte barbara era  toccata  al Raìs Muammar Gheddafi.  Anche a lui fu riservato lo stesso trattamento: sodomizzato con bastone. Il filmato aveva fatto il giro del mondo. I rivoluzionari della CNT non consentirono l'autopsia per non far scoprire gli orrori compiuti sul corpo dell'ormai defunto Raìs.
Perché a queste persone è stato riservata la morte per sodomizzazione? Si tratta di una pratica che i fanatici islamici riservano solitamente agli omosessuali, una categoria disprezzata e umiliata anche dopo la morte.
La stampa internazionale, anche quella Italiana, non ha fornito particolari sull'uccisione di Chris Stevens. Il tutto è passato in sordina.
Le associazioni per i diritti degli omosessuali non hanno alzato la voce, vergognasamente tacciono davanti ad un atto macabro ed umiliante. Come le femministe tacciono di fronte alla Shari'a che sta riportando la condizione della donna musulmana ai tempi del Profeta. Le battaglie per i diritti è meglio farle nei paesi democratici, protetti dalle leggi liberali che ci governano. Zitti e mosca su quanto avviene nell'inferno islamico.

LIBERO - Andrea Morigi : " Obama in Libia tentenna. Teme passi falsi elettorali"


Andrea Morigi, Barack Obama

Agli Stati Uniti rimane soltanto la supremazia militare. Devono soltanto decidere se hanno inviato navi da guerra, truppe e forze speciali per proteggere i loro interessi strategici ed economici, oltre che i loro connazionali in Medio Oriente, oppure per ritirarsi dai teatri più pericolosi, definitivamente o a tempo determinato. Nel bilancio, sembrano più numerosi i cittadini statunitensi che se ne vanno dalle ambasciate e dai luoghi sotto assedio, dopo aver distrutto montagne di documenti classificati e riservati. Dal suo ufficio al Pentagono, Leon Panetta, segretario alla Difesa, in un’intervista concessa venerdì scorso e pubblicata ieri dal sito di Foreign Policy, indicava almeno diciotto luoghi a rischio nel mondo, dove i militari a stelle e strisce stanno posizionandosi. Non sufficienti, evidentemente, per ripensare alla strategia della Casa Bianca. A giudizio di Panetta, in realtà, le proteste riflettono l’opinione pubblica del Medio Oriente tanto quanto una «manifestazione del Ku Klux Klan» negli Stati Uniti. Evidentemente, di rispondere al fuoco, bombardando con i droni obiettivi terroristici in Libia, non se ne parla nemmeno. Almeno per evitare una reazione anti-americana da parte di coloro dai quali si vuole essere considerati liberatori. Si procede al ritiro, graduale ma obbligato, dall’area per l’impossibi - lità di un ripensamento della politica di Barack Obama. Almeno non nel bel mezzo della campagna elettorale. Si sconsiglia, fino alle presidenziali del prossimo 6 novembre, di tornare sui propri passi, a quel discorso di Obama all’università del Cairo, il 4 giugno 2009. Si cercava un «nuovo inizio», invece ci si è diretti a grandi passi verso la fine. Abbandonati, con il pretesto del disarmo, i progetti di cooperazione militare con gli Stati fino ad allora filo-occidentali, era stato lanciato un segnale inequivocabile alle piazze arabe: fate quel che volete, noi non sosterremo più gli uomini forti. Così avevano delegittimato i regimi tunisino ed egiziano. Per far cadere Muammar Gheddafi in Libia era stato necessario uno sforzo militare ulteriore.Ma il messaggio si era rivelato altrettanto chiaro: ora tocca a voi. Li hanno presi in parola. Alla lettera. È chiaro che aver considerato i fondamentalisti una minoranza «piccola, ma potente » fu un errore perché si tratta invece di almeno cento milioni di persone. Così come si è rivelata illusoria la pretesa e presunta vittoria su Al Qaeda. Dopo aver spiegato, alle commemorazioni dell’undicesimo anniversario degli attentati alle Torri Gemelle e al Pentagono, che l’orga - nizzazione terroristica islamica intanto si è espansa nello Yemen e in Somalia, Panetta non può spingersi oltre un’ammissione a metà, riconoscendo di aver sconfitto soltanto «l’Al Qaeda che aveva attaccato gli Stati Uniti d’America l’11 settembre ». Tuttavia ora, pur nell’imbaraz - zo di chi deve far da spettatore di un meccanismo sfuggito dalle mani, rimane l’imperativo di dare continuità alla politica estera. Per non smentirsi clamorosamente, fino all’eventuale rielezione dell’attuale presidente, Washington si limiterà a condannare il film L’innocenza dei musulmani, ma senza sapere come rispondere alle dichiarazioni di guerra santa che arrivano dal mondo islamico. E magari a sentirsi in colpa per non aver ancora deciso se completare il ritiro delle truppe dall’Afghanistan, per essersi schierata con troppa ambiguità sul programma nucleare iraniano, per non aver ancora deciso esattamente come muoversi nei confronti della Siria e per aver abbandonato Israele al proprio destino, ostacolando la creazione di nuove colonie ebraiche a Gerusalemme. Sarebbe un passo avanti, se solo nel frattempo ci si fosse interrogati sul significato dell’assenza dell’America sugli equilibri mondiali. In realtà, sono incertezze pericolose, forse addirittura fatali.

LIBERO - " Vietato dire che Maometto era pedofilo. Ma in Egitto vogliono far sposare le bimbe "


Com'è possibile sostenere che Maometto non era un pedofilo quando ancora oggi, per la sharia, una delle regole è quella di permettere a uomini adulti di sposare bambine di 9 anni ?
Ecco il pezzo:

Mentre un filmato di 13 minuti su YouTube in cui si dipinge Maometto come pedofilo scatena le manifestazioni violente in tutto l’islam, un deputato della Assemblea costituente egiziana va in tv e come se niente fosse butta là la proposta di consentire di nuovo imatrimoni alle bambine dai 9 anni di età. Con una scelta di tempi discutibile (per tacere dei contenuti), Muhammad Saad Al Azhari, membro islamista dell’As - semblea Costituente egiziana, ha fatto sapere che il limite per l’età del matrimonio dovrebbe essere abbassato, consentendo agli uomini di sposare anche le bambine. Il deputato dice di fare la proposta in questione pensando al bene delle bambine: «il matrimonio è un diritto delle ragazze», fin dal compimento del nono anno, ben inteso: se hanno già raggiunto la pubertà (le arabe sono precoci...). Al Azhari, intervenendo telefonicamente in un programma televisivo serale,ha sostenuto che la Costituzione egiziana dovrebbe prendere in considerazione le «specificità egiziane», per esempio il fatto che i beduini del Sinai sposano ragazze molto giovani. Ogni tentativo di cambiare abitudini radicate da migliaia di anni è, secondo il deputato, «un discorso illogico», votato al fallimento. Ogni civiltà insomma ha le sue proprie particolarità. Al Azhari ha aggiunto che, in Occidente, le relazioni sessuali complete sono consentite fin dall’età di quattordici anni e sono anche studiate nelle scuole. Solo che, nella versione musulmana, il sesso sarebbe consentito anche (se non solo) con uomini maturi. Una posizione aberrante che, per fortuna, ha suscitato qualche reazione indignata qua e là; come quella di Mustafa Al Najjar, attivista politico e parlamentare nella precedente legislatura, il quale ha replicato duramente, affermando che le proposte di «alcuni salafiti» è «un salto all’indietro, disumano, un insulto per le donne egiziane e una violazione di tutte le norme sui diritti umani». In Arabia Saudita però la possibilità è già reale. Grazie a una fatwa del MuftiSupremo dell’Arabia Saudita, emessa a maggio, è diventato perfettamente legale che bambine di almeno 10 anni si sposino con uomini. Secondo le Nazioni Unite nel mondo musulmano ci sono 60 milioni di “spose bambine”, la cui età è inferiore ai 13 anni. Ilmarito è sempre un uomo molto più anziano, mai incontrato prima, spesso un parente L’organizzazione americana International Center for Research on Women (Icrw) ha compilato una “classifica” dei venti paesi in cui i matrimoni di minorenni sono più diffusi: il Niger è al primo posto, seguito da Ciad, Bangladesh, Mali, Guinea, Repubblica centrafricana, Nepal, Mozambico, Uganda, Burkina Faso, India, Etiopia, Liberia, Yemen, Camerun, Eritrea, Malawi, Nicaragua, Nigeria, Zambia.

Il FOGLIO - Michael Ledeen : " Le radici dell’odio stanno in Iran  "


Michael Ledeen

Uccidere americani è utile a diversi scopi nella guerra che è stata dichiarata contro di noi (dobbiamo ancora entrare ufficialmente in conflitto con i nostri nemici conosciuti): primo, una guerra è fatta proprio di questo. Ci vogliono morti o sottomessi. Secondo, uccidere aiuta il reclutamento, che era calato dopo la sconfitta dell’Iran, della Siria e di al Qaida in Iraq. Anche il morale era crollato – e le storie che raccontano del diplomatico americano violentato prima di essere giustiziato in Libia nutrono la sete di sangue dei jihadisti, il cui linguaggio e le cui fantasie sono ricchi di tali immagini. Terzo, uccidere aumenta il potere di chi muove i fili dietro le quinte. Quarto, scoraggia i nostri alleati e i nostri amici, attuali e potenziali. Nessuna persona seria può credere che un film sconosciuto, mostrato a meno di una dozzina di persone mesi fa, possa essere la “causa” degli assalti al Cairo e a Bengasi. O che gli assalti non abbiano avuto alcun legame, che siano sorti in modo spontaneo. O che non ci sia alcuna nazione coinvolta in questa operazione. Questa situazione è incredibilmente simile alle “rivolte contro le vignette” in Danimarca. In entrambi i casi, non si trattava di una reazione all’“offesa” originale all’islam. Sono passati mesi prima che le vignette fossero mostrate per giustificare una campagna organizzata, come si scoprì successivamente, dal regime iraniano e dal suo alleato siriano. In questi giorni gli iraniani erano pronti con una folla di dimostranti contro l’ambasciata svizzera a Teheran (il nostro surrogato in Iran). Se la “crisi delle vignette” può essere presa a modello, ci vorrà un po’ di tempo prima di scoprire le identità dei veri attori di questo spettacolo. Ma mi sembra improbabile che quelli che intonavano “non sparate, Morsi mi ha obbligato a farlo” stessero dicendo la verità. I manipolatori non escono presto allo scoperto per farsi fare i complimenti. C’è voluto del tempo per organizzare le cose; e gli attacchi terroristici simultanei sono il marchio di fabbrica di Hezbollah (alias, l’Iran), che ha insegnato la tecnica a Bin Laden in Afghanistan (o forse in Sudan? ho un attimo di confusione, sarà l’età?). Chiunque sia la mente dietro questo progetto ha segnato un punto nella lotta contro gli Stati Uniti: uccidere americani non implica alcun costo. Tutto sarà ricordato della lunga e insanguinata catena che parte dal bombardamento della nostra ambasciata e della caserma dei marine in Libano, attraversa il bombardamento delle Khobar Towers, e arriva all’11 settembre, il cui anniversario è stato celebrato nel miglior stile jihadista in Libia e in Egitto. Tutti abbiamo assistito alle scuse dell’America nei confronti dei nostri assassini, mentre ci ritiriamo dall’Afghanistan e riduciamo drasticamente il nostro potere militare. Tutto sarà ricordato dell’umiliazione di Clinton in Somalia, di quella di Carter in Iran, di quella di Reagan in Libano. Se davvero credete che le sanzioni possano farci vincere questa guerra, allora dovreste valutarne l’effetto sulle nazioni e sulle imprese che decidono quanto cooperare con noi. Dovreste valutarne con attenzione anche l’effetto su quelle nazioni la cui sopravvivenza è minacciata dalla grande alleanza antiamericana, nazioni che includono Israele, Giordania, Brasile e Argentina. Se noi stessi non attacchiamo i nostri assassini – Iran in primis – come possiamo pensare di aiutarli a combattere contro i loro nemici giurati? L’affronto di Obama a Netanyahu trasmette questo messaggio a tutti i nostri nemici in modo drammatico. Romney aveva ragione nel sentirsi oltraggiato dall’inettitudine di Obama, e sospetto dal fatto la maggior parte degli americani avesse condiviso la sua risposta istintiva. La rabbia dei critici della stampa, che hanno cercato di renderlo il cattivo della storia, non farà altro che erodere il loro già basso livello di consenso. Solo il tempo potrà dirlo, ma la mia speranza è che Romney mantenga salde le sue posizioni. In uno di quei momenti di quiete che mostrano il raffinato umorismo dell’Onnipotente, il dipartimento di stato ci ha ricordato ancora una volta che l’Iran sostiene al Qaida, proprio mentre al Qaida si prende il merito di un’ennesima strage di americani. Ma a Foggy Bottom preferiscono l’altro metodo, quello di risalire alla fonte delle uccisioni. Per i diplomatici seri e leader militari è arrivato il momento, e in realtà è arrivato da parecchio tempo, di dimettersi in segno di protesta contro la patetica politica da noi tenuta nei riguardi dell’Iran, chiamando l’aiuto dei paesi occidentali per sostenere l’opposizione iraniana ormai assediata. Questo è ciò che i tiranni iraniani temono più di ogni altra cosa. Se non sosteniamo la rivoluzione interna iraniana, allora dovremo subire sempre più attacchi di questo genere, e moriranno sempre più americani. Alla fine, realizzeremmo la profezia fatta da Churchill a Chamberlain il giorno dopo Monaco: pensavi di dover scegliere fra il disonore e la guerra. Hai scelto il disonore, e avrai la guerra in ogni caso. Possiamo ancora essere in tempo per scegliere l’onore – sostenendo quelli che hanno già rischiato la loro vita per combattere i nostri nemici – ed evitare la guerra che ci sta inesorabilmente avvolgendo. Sbrigatevi. Per favore.

Il FOGLIO - Daniele Raineri : "Se il film non va a Maometto "


Daniele Raineri

L’ondata di violenze contro il film su Maometto (ma esiste?) è il primo grande test per l’islam al governo nei paesi delle rivoluzioni arabe. Com’è andata? Martedì i Fratelli musulmani al Cairo si sono fatti sorprendere dalla manifestazione degli estremisti salafiti. Per le prime trenta ore della crisi non hanno condannato l’assedio all’ambasciata americana nel centro della capitale e anzi hanno rilanciato con una protesta “davanti a tutte le moschee del paese dopo la preghiera del venerdì”. I Fratelli musulmani sono i più organizzati e temibili quando c’è da lanciare questo tipo di azioni. Poi il presidente Morsi ha ricevuto una telefonata furente dal presidente Obama, che tiene i cordoni di una borsa da 1,3 miliardi di dollari di aiuti da parte dei contribuenti americani ogni anno, ed è entrato in gioco il pragmatismo opaco dei Fratelli. Hanno annullato la protesta; il loro leader e finanziatore, Khaitar al Shater, che oggi dovrebbe essere al posto di Morsi se non fosse stato eliminato dalla gara elettorale, ha scritto una lettera di condoglianze al popolo americano pubblicata sul New York Times. Morsi, in visita a Roma per raccogliere altri soldi, ha condannato ufficialmente le violenze antiamericane. E’ lo stesso pragmatismo opaco che mette la questione del prestito da ottenere dal Fondo monetario internazionale in cima alla lista delle priorità dei Fratelli e tutto il resto molto dopo. Non possono permettere che un raptus di rabbia islamista metta a repentaglio il piano di aiuti all’economia nazionale. Per questo la prima nota del governo assicurava di essere perfettamente in grado di proteggere “interessi stranieri e turisti”. Nella strada che porta all’ambasciata si è tornati indietro di almeno un anno, se non ai tempi di Hosni Mubarak: i mezzi militari hanno eretto un muraglione di blocchi di pietra per impedire alle proteste di arrivare di nuovo sotto le mura americane. E’ identico a quello alzato lo scorso novembre vicino al ministero dell’Interno, quando al potere c’erano ancora i generali. La polizia egiziana ha usato senza pietà pallini da caccia, lacrimogeni e manganelli – insomma, il solito repertorio – contro i manifestanti. A proposito di manifestanti. Il primo giorno erano circa duemila estremisti salafiti – su una popolazione cairota che al massimo giornaliero (perché varia nel corso della giornata) supera i 15 milioni di persone. I salafiti sono spaventosi nella loro arretratezza e sono aggressivi, ma se c’è stato un risultato politico nel dopo Mubarak riguarda proprio loro. Fino all’anno scorso i salafiti consideravano la democrazia un’eresia, roba da politeisti. Ora hanno cambiato idea e accettano il sistema partitico e parlamentare perché sono convinti che i benefici di poter dire la loro nel nuovo governo egiziano contino più del tradimento dei loro princìpi e soprattutto perché non vogliono lasciare campo libero ai rivali, i Fratelli musulmani e i partiti laici. Dopo la prima sera, i salafiti sono svaniti dagli scontri e hanno fatto una comparsata venerdì a piazza Tahrir. A lanciare pietre è rimasta quella miscela di tifosi e giovani disoccupati a cui non pare vero di menare le mani. Secondo i corrispondenti stranieri, in certi momenti non erano più di venti a tirare avanti la sassaiola. Il primo ministro egiziano, Hisham Qandil, ora dice alla Bbc che alcuni dei settanta arrestati sono stati arruolati sul posto e pagati per partecipare agli scontri con 50 sterline egiziane a testa. (Piuttosto, è la politica lassista del governo in Sinai a rischiare di diventare la prossima emergenza). Anche in Tunisia l’islam al governo è in lotta schizofrenica con gli estremisti. Non è riuscito a proteggere l’ambasciata americana, anche se la polizia non è andata per il sottile e ha fatto tre morti. Non intende rinunciare all’identità islamica, ma dà la caccia ai predicatori che hanno scatenato le proteste – che però non si sono fatti prendere. E’ una grande battaglia politica. Rachid Ghannouchi, il leader del partito islamista di governo, Ennahda, sostiene che “con il tempo, questo estremismo svanirà”. Intanto il tema della blasfemia, se punibile o no, occupa quasi tutto il dibattito sulla nuova Costituzione, attesa per il mese prossimo. C’è una proposta per rendere fuorilegge ogni offesa all’islam. Il presidente, Moncef Marzouki, è schierato con nettezza contro. Ghannouchi e i suoi sono a favore. In questa transizione, gli scossoni arrivano fin dove era impensabile: alla Mecca la massima autorità religiosa saudita, il gran muftì Sheikh Abdulaziz bin Abdullah al Sheikh, dice che le proteste sono state “non islamiche”. Ecco, bene. Peccato lo abbia detto il giorno dopo.

Il FOGLIO - Pio Pompa : " Jihad in Libia "


Pio Pompa

L’attentato al consolato americano di Bengasi in cui sono rimasti uccisi l’ambasciatore Chris Stevens, un diplomatico e due addetti alla sicurezza, ha avuto una genesi del tutto autonoma da ciò che sta incendiando il mondo islamico. Si è trattato di un’operazione militare organizzata lo scorso luglio, quando a Manchester, in Gran Bretagna, alcuni ex funzionari dei servizi segreti libici perfezionarono il loro ingresso tra le file del movimento salafita. “Durante il vertice segreto svoltosi in un appartamento alla periferia della città – racconta al Foglio una fonte araba d’intelligence – gli ex funzionari dei servizi consegnarono ai loro interlocutori salafiti un elenco contenente i nominativi di 340 agenti operativi disposti ad abbracciare la causa islamista. Tra essi figuravano i capi delle cellule di jihadisti libici che (dall’inizio di giugno) stavano guidando dal Sinai e dalla Striscia di Gaza l’escalation di attacchi contro Israele”. Non è un caso che a Manchester sia stata anche stilata una road map del terrore per garantirsi – non solo in Libia – spazi operativi e di potere. “Una road map – continua il nostro interlocutore – in cui venivano già pianificati attentati nei confronti di cittadini statunitensi e, segnatamente, di diplomatici, con riferimento alla sede di Bengasi. Sono stati tre i dispacci da noi inviati, con priorità massima, a Washington. L’ultimo, inutilmente, 48 ore prima dell’attentato. Segnalavamo anche la possibilità che il gruppo di fuoco potesse essere composto da filoqaidisti e agenti dei servizi dell’ex regime”. Il paradosso è che alcune delle armi e dei veicoli usati dai terroristi provenivano dalle forniture che i paesi della coalizione avevano consegnato ai ribelli durante la crisi libica e, non meno importante, il fatto che per la protezione del consolato ci si sia affidati alle forze di sicurezza locali, pesantemente infiltrate da islamisti. “Ora la nostra speranza – conclude la fonte d’intelligence – è che i servizi americani ci aiutino a individuare gli autori dell’attentato, quasi tutti provenienti da Sirte. Almeno cinque di loro parteciparono alla parata militare organizzata qualche mese fa in quella città da una formazione jihadista”. Una indicazione, questa, che contrasta con le dichiarazioni rese alla Cbs dal presidente del parlamento libico, Mohammed al Megaryef, per il quale gli attentatori sarebbero tutti stranieri e, in parte, provenienti da Mali e Algeria. Lo stesso al Megaryef ha invitato l’Fbi “a restare fuori del paese. Penseremo noi a fare ciò che va fatto”. Il che significa che qualche presunto colpevole sarà sacrificato per coprire i rapporti organici venutisi a stabilire tra apparati di sicurezza e formazioni filoqaidiste.

La STAMPA - " Nasrallah: si rischiano ripercussioni pericolose "


Hassan Nasrallah

«Siamo qui per denunciare il film e per rendere noto che continueremo a protestare finché non sarà rimosso da Internet ». Lo ha dichiarato ieri il segretario generale diHezbollah, Hassan Nasrallah, in un intervento durante la manifestazione organizzata a Beirut per protestare contro il film «blasfemo » prodotto negli Usa. «Gli Usa devono capire che se trasmetteranno tutto il filmaffronteranno ripercussioni molto pericolose», ha ammonito Nasrallah. «Tutti dovrebbero fare pressioni sulla comunità internazionale affinché vengano approvate delle leggi che criminalizzino gli insulti nei confronti delle tre religioni delmondo». Nasrallah ha parlato per 15 minuti davanti a una folla in delirio. Era dal 2008 che non teneva un discorso in pubblico, per timore della rappresaglia israeliana dopo i 33 giorni di guerra fra Libano e Israele nel 2006.

L'UNITA'- Pasquale Ferrara : " Profeti di sventura contro l'Islam democratico"


Pasquale Ferrara

Ormai tutti i commentatori occidentali si sono resi conto della realtà sulla 'primavera araba'. Il colpo di grazia è arrivato con gli attacchi alle ambasciate americane e con l'assassinio dell'ambasciatore Stevens.
Purtroppo c'è ancora qualcuno affezionato all'idea della fantomatica e inesistente 'democrazia islamica'. Ferrara  appartiene a questo sempre più sparuto gruppo.
Secondo Ferrara, nella 'primavera araba' "
non sono mancati - e non mancano tuttora - i «sabotatori» locali. L'attentato all'Ambasciatore Stevens a Bengasi (...)va analizzato alla luce di questo tentativo di far saltare il consolidamento democratico ". Stevens assassinato da dei 'sabotatori' locali della democrazia. Quale democrazia?
Il pezzo di Ferrara è un elogio a Obama e alla sua risposta agli islamisti.
Ferrara sostiene che "
l'Islam, è spesso ostaggio di «islamisti» i cui obiettivi hanno a che fare più con la conquista e conservazione del potere che con la diffusione del credo del Profeta ". Come se un islam moderato esistesse nella realtà. Basta guardare i Paesi islamici per rendersi conto di qual è la situazione. Teocrazia, dittatura, repressione e censura, ecco la realtà dell'islam nel mondo.
Secondo Ferrara, poi, gli atei dell'Occidente 'cristiano' peccano nel voler strumentalizzare le violenze islamiche per convincere la gente delle loro teorie sull'islam. Le persone, insomma, non sono in grado di valutare da sole e farsi un'opinione basata sui fatti, sono preda di questi temibili e mistificatori atei, che non hanno nessun rispetto per l'islam.
La conclusione dell'articolo è : "
Se è stata possibile una «democrazia cristiana» (come ragione dell'impegno politico dei credenti) perché permettere a pochi islamisti violenti e reazionari di convincerci che non sarà mai possibile una «democrazia islamica»? Attenzione: è questo che vogliono. farci credere gli epigoni islamici dello scontro di civiltà ". Una frase che non necessita di ulteriori commenti.
Ecco il pezzo:

In tutti i processi politici complessi, e specialmente nelle transizioni, vi sono «attori» che non perseguono altro obiettivo che quello del «deragliamento». In altre parole, vi sono forze politiche, sociali ed economiche che scommettono sul fallimento piuttosto che sugli esiti positivi. Nella «primavera araba» i profeti di sventura non sono mancati in Occidente; ma non sono mancati - e non mancano tuttora - i «sabotatori» locali. L'attentato all'Ambasciatore Stevens a Bengasi - e occorre ricordare che il suo «curriculum» ce lo mostra soprattutto come un uomo del dialogo - va analizzato alla luce di questo tentativo di far saltare il consolidamento democratico. Ma bisogna essere vigilanti e non cadere nella trappola nella quale gli «spoilers», quelli che remano contro, ci vogliono attirare. Una prima lezione di questa prudenza ci viene proprio da Obama, che ha giustamente sottolineato, nella prima dichiarazione che ha fatto seguito all'attentato di Bengasi, come le religioni in quanto tali vadano tenute fuori da questo cinico gioco al massacro. E soprattutto ci mettono in guardia dal confondere il sentimento religioso di interi popoli con l'agenda politica di pochi. Ciò vale anzitutto per l'Islam, che è spesso ostaggio di «islamisti» i cui obiettivi hanno a che fare più con la conquista e conservazione del potere che con la diffusione del credo del Profeta. Ma vale anche per l'Occidente «cristiano», quando gli «atei devoti» utilizzano tragedie e lutti che colpiscono l'umanità intera come la conferma che nessun dialogo è possibile, che esistono culture e religioni «superiori» e che l'unica politica internazionale plausibile, in questi casi, è l'isolamento o l'esportazione armata della democrazia. Era questo probabilmente l'obiettivo anche degli autori del film che ha scatenato l'indignazione e la protesta nel mondo islamico: una provocazione, per generare una reazione a catena che porti a concludere che nessuna «primavera» è possibile nel mondo arabo. La strategia europea verso queste aree dovrebbe essere improntata a maggior realismo: al contrario di quanto si crede, infatti, non è affatto «realistico« concepire tali società come completamente plagiate dalla logica dell'islamismo militante aggressivo. Era inevitabile e scontato che gli eventi nella regione mediterranea e mediorientale avrebbero portato all'espansione della sfera di partecipazione politica, con l'ingresso sulla scena politico-elettorale di nuovi attori; ed era perfettamente prevedibile la comparsa o il consolidamento di movimenti politici di ispirazione religiosa, in taluni casi precedentemente banditi dalla vita politica nazionale. Lungi dal demonizzare tale processo, si sarebbe dovuto prendere atto che senza una piena integrazione dell'Islam politico nello scenario la stessa sostenibilità delle trasformazioni in corso avrebbe potuto essere messa a repentaglio. In Paesi come la Tunisia e l'Egitto, il dialogo politico di cui avremmo bisogno riguarda una vecchia idea europea. In molti Paesi del Vecchio Continente - ad esempio in Italia, Germania, Belgio, Spagna, e per alcuni versi anche in Francia- sono state sperimentate, negli anni, formule di impegno politico di cittadini portatori di visioni del mondo improntate a motivazioni religiose. L'esperienza storica dei movimenti politici europei di ispirazione religiosa è stata caratterizzata da una modalità di presenza nel sistema politico che ha tenuto conto dei principi di laicità e si è articolata nel contesto di istituzioni democratiche e rappresentative, con il pieno recepimento dei principi costituzionali e il rispetto del pluralismo politico e culturale. Se è stata possibile una «democrazia cristiana» (come ragione dell'impegno politico dei credenti) perché permettere a pochi islamisti violenti e reazionari di convincerci che non sarà mai possibile una «democrazia islamica»? Attenzione: è questo che vogliono. farci credere gli epigoni islamici dello scontro di civiltà.

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