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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - La Repubblica Rassegna Stampa
17.09.2012 Salman Rushdie, aumentata la taglia sulla sua testa
intanto l'Occidente pensa di rifugiarsi nella censura ? Commento di Pierluigi Battista, cronache di Redazione del Corriere della Sera, Antonello Guerrera

Testata:Corriere della Sera - La Repubblica
Autore: Pierluigi Battista - Redazione del Corriere della Sera - Antonello Guerrera
Titolo: «Aumentata la taglia su Rushdie - Quel che insegna il caso Rushdie - Non rinnego le mie vignette, l´arte è libertà»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 17/09/2012, a pag. 35, l'articolo di Pierluigi Battista dal titolo " Quel che insegna il caso Rushdie ", a pag. 10, l'articolo dal titolo " Aumentata la taglia su Rushdie ". Da REPUBBLICA, a pag. 13, l'intervista di Antonello Guerrera al vignettista danese Lars Vilks dal titolo "Non rinnego le mie vignette, l´arte è libertà ".
Ecco i pezzi:

CORRIERE della SERA - Pierluigi Battista : "Quel che insegna il caso Rushdie"


Pierluigi Battista

E allora, visto che serpeggia un'insofferenza verso i princìpi della libera espressione, visto che davvero un filmaccio viene considerato responsabile delle violenze che stanno incendiando l'islamismo radicale, visto che trapela qui e lì uno sconsiderato elogio della censura, sarà il caso di aspettare l'autobiografia di Salman Rushdie che uscirà a giorni, e di ricordare, anche grazie a una puntuale ricostruzione di Giulio Meotti sul Foglio, che cosa accadde attorno all'autore dei Versetti satanici, condannato a morte per blasfemia dall'ayatollah Khomeini e costretto a vivere blindato e terrorizzato il resto dei suoi giorni.
Attorno, non solo a Rushdie personalmente. E attorno accaddero molte cose su cui prudentemente si è fatto silenzio, ovviamente per non fomentare, non attizzare, eccetera eccetera. Venne pugnalato a Tokyo il traduttore giapponese dei Versetti, Hitoshi Igarashi (chi ricorda il suo nome? Nessuno). Vennero giustiziati in Belgio l'imam Abdullah al Ahdel e il suo assistente, rei di aver criticato la fatwa che condannava a morte Rushdie. La catena americana di librerie Waldenbooks ritirò dal commercio il romanzo di Rushdie. In Turchia, nel 1993, «trentasette ospiti di un albergo a Sivas vennero uccisi nei tentativi di linciaggio del traduttore turco di Rushdie, Aziz Nesin e nell'incendio muoiono il critico letterario Asim Bezirci e il poeta Nesimi Cimen» (chi ricorda il loro nome? Nessuno).
E' finita? No, non è finita. L'editore norvegese di Rushdie, William Nygaard, venne raggiunto da tre colpi di arma da fuoco alla periferia di Oslo. Ettore Capriolo, tra l'altro traduttore italiano di Le Carré e Hemingway, nel '91 «ricevette nella sua casa milanese di via Curtatone un sedicente iraniano» che lo colpì «a pugni e poi, estratto dalla giacca un coltello, lo trafisse al torace, al collo, agli avambracci e al volto». Nel 1994 il premio Nobel per la letteratura Naguib Mahfouz scampò a un attentato, colpevole di aver difeso Rushdie. Lo sceicco Omar Abdel Rahman, il cui nome venne fatto come quello di uno dei responsabili della prima strage del World Trade Center, commentò: «Ci fossimo comportati come dovevamo con Mahfouz, ora non avremmo problemi con Rushdie. Ucciso Mahfouz, non ci sarebbe mai stato Rushdie».
In tutti questi anni decine di giornalisti, scrittori (ricordiamo mai Taslima Nasreen?), intellettuali vivono nel terrore, colpiti da una fatwa o braccati come nemici della religione islamica. Questo si dimentica troppo spesso, come si dimenticano i nomi delle persone assassinate per il caso Rushdie. A giudicare da molti commenti che sembrano tanto insofferenti per le conseguenze negative di una società che non prevede la censura di Stato preventiva (in primis quello di Barbara Spinelli su Repubblica), oggi probabilmente qualcuno potrebbe giudicare inopportuna e provocatoria persino la pubblicazione dei Versetti satanici. Il terrore sa raggiungere i suoi bersagli.

CORRIERE della SERA - " Aumentata la taglia su Rushdie "


Salman Rushdie

Il nesso non è lampante ma una fondazione iraniana è convinta che per fermare le offese alla religione islamica, come quella del film blasfemo su Maometto, sia necessario uccidere Salman Rushdie. Per questo ha aumentato di 500mila dollari la taglia sull'autore dei Versetti satanici, portandola a 3,3 milioni di dollari.
«Finché la storica fatwa decretata nel 1988 dal grande ayatollah Khomeini non sarà eseguita — ha detto il capo della Fondazione 15 Khordad, l'ayatollah Hassan Saneii — non arriveremo mai all'ultimo insulto. Se la condanna a morte fosse già stata eseguita non avremmo assistito alla pubblicazione di caricature, articoli e film».
Salman Rushdie, nato a Bombay ma naturalizzato britannico, ha scritto i versi satanici nel 1988, una storia fantastica ritenuta blasfema per alcune descrizioni irriverenti di Maometto, tanto che nel 1989 la Guida della rivoluzione islamica iraniana, il defunto Ruhollah Khomeini, emise un pronunciamento di condanna a morte valida ancora oggi.
La fatwa costringe Rushdie a vivere sotto protezione. Lo scorso gennaio, per esempio, lo scrittore ha dovuto annullare la sua presenza al festival letterario più importante dell'India, quello di Jaipur, pensando di essere in pericolo di vita. In verità le minacce erano state inventate ad arte dalla polizia per non avere una presenza scomoda nel Paese.
Dal 2000 Rushdie vive a New York. Proprio in questi giorni è uscito il suo ultimo libro, Joseph Anton, a memoir in cui racconta la sua vita dalla fatwa in poi.

La REPUBBLICA - Antonello Guerrera : " Non rinnego le mie vignette, l´arte è libertà "


Lars Vilks, una delle sue vignette

«La libertà di espressione viene prima di tutto». A cinque anni dalla "fatwa" contro di lui, l´artista svedese Lars Vilks non ha cambiato idea. Nel 2007 Vilks, che oggi ha 66 anni, pubblicò sul quotidiano di Örebro Nerikes Allehanda una vignetta "esplosiva": protagonista un cane, con la testa di Maometto. L´opera, molto controversa, infiammò proteste e rivolte in Svezia, Iran, Pakistan, Egitto e Afghanistan. Vilks ha sempre detto che lo scopo di quella vignetta "maledetta" era dimostrare che l´arte deve essere libera di parodiare qualsiasi religione, Islam compreso. Ma non è bastato. Per quel disegno, il 12 settembre 2010 un uomo svedese-iracheno si è fatto esplodere a Stoccolma, mentre Vilks ha ricevuto numerose minacce di morte, è scampato a un attentato e oggi vive sotto scorta.
Signor Vilks, che cosa ne pensa delle ultime rivolte per il film "L´innocenza dei musulmani"?
«Certamente oggi la situazione è più complicata rispetto al 2006, quando finirono nel mirino le vignette danesi, o al 2007. Allora c´erano i governi stranieri dietro le rivolte. Oggi, invece, questi rimangono nell´ombra. Tuttavia, secondo me il film è solo un pretesto per gli estremisti. Quante persone lo avranno visto? Pochissime. Questi "manifestanti" vengono orchestrati da altre persone».
Secondo lei il film è offensivo?
«Difficile dirlo, ma certamente rientra nella libertà di espressione, che deve rimanere un principio inattaccabile della nostra società. Molto spesso, invece, viene limitata dai nostri governi, che non fanno capire agli altri Paesi l´importanza capitale di questo concetto. Tuttavia, mi rendo conto che, di fronte a proteste così violente, i Paesi occidentali a volte debbano adottare misure più "pragmatiche" e dunque biasimare gli autori delle opere "scomode"».
Qual è secondo lei il limite tra libertà di espressione e insulto?
«Un´opera dettata da odio o razzismo non è giustificabile. Ma se si tratta di una provocazione, non è un problema. Anzi, è qualcosa che dobbiamo difendere, in nome della libertà».
Com´è cambiata la sua vita dopo quella vignetta maledetta?
«Vivo sotto scorta 24 ore su 24, tre mesi fa ho ricevuto l´ultima minaccia di morte e soprattutto non posso più esporre le mie opere in molte gallerie o partecipare ad aste sul web. Sa perché? Molta gente teme che con il mio nome possa ricevere minacce di morte o, soprattutto, di venire bollata come razzista. Si rende conto?».
Invece la Svezia come è cambiata dopo quella vignetta?
«Nel mio Paese c´è molta più censura, anzi, autocensura. Per ogni mezzo di comunicazione. Le vignette e gli sketch minimamente controversi vengono cestinati, oramai non si mostrano più neanche le immagini medievali di Maometto. La satira ne è uscita a pezzi».
Se potesse tornare indietro nel tempo, ridisegnerebbe quella vignetta?
«Certo che sì. Avessi una famiglia e figli piccoli ci penserei su. Ma vivo da solo, quindi non è un problema. Un giorno, quando la libertà di espressione conquisterà il mondo, tutto questo sarà solo un piccolo e insignificante capitolo di storia».

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