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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa -Corriere della Sera Rassegna Stampa
16.09.2012 Continuano gli attacchi alle ambasciate americane nel mondo islamico
Cronache di Giovanni Cerruti, Giordano Stabile, Guido Olimpio, Massimo Gaggi

Testata:La Stampa -Corriere della Sera
Autore: Giovanni Cerruti - Giordano Stabile - Guido Olimpio - Massimo Gaggi
Titolo: «Al Qaeda incita a nuovi assalti Americani in fuga - Doppia lingua dei Fratelli Musulmani come i vecchi regimi (ma su Twitter) - Approfondimenti le geometrie variabili della censura. Vacilla l'utopia libertaria di internet»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 16/09/2012, a pag. 2, l'articolo di Giodano Stabile dal titolo "Al Qaeda incita a nuovi assalti. Americani in fuga " , a pag. 5, l'articolo di Giovanni Cerruti dal titolo " La borghesia di Bengasi: ci avete lasciati soli ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 11, l'articolo di Massimo Gaggi dal titolo " Approfondimenti le geometrie variabili della censura. Vacilla l'utopia libertaria di internet ", a pag. 36, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Doppia lingua dei Fratelli Musulmani come i vecchi regimi (ma su Twitter) ".

Invitiamo a leggere il commento di Ugo Volli, pubblicato in altra pagina della rassegna
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=280&id=46074
Ecco i pezzi:

La STAMPA - Giovanni Cerruti : " La borghesia di Bengasi: Ci avete lasciati soli"


Chris Stevens

Purtroppo», dice il dottor Fathi. Dalla sua poltrona indica le tapparelle abbassate, le tende tirate. Sono le due del pomeriggio e non ha voglia di vedere quel che succede fuori, nella sua Bengasi. «Purtroppo ci hanno messo di fronte alla realtà, è cambiato il senso della nostra sicurezza: l’assalto al consolato americano e la morte dell’ambasciatore Stevens sono un brutto colpo. Basta farsi un giro in città, il dispiacere e l’incertezza sono nello sguardo di tutti». Anche questa notte è passata con il lamento dei droniUsa, in caccia di terroristi dal cielo. Ancora un purtroppo: «Si aspetta la reazione degli americani, sperando che non colpiscano innocenti.Non sarebbe accettato...». La villetta del dottor Fathi Badi, 57 anni, cinque figli, ortopedico, direttore del Centro Riabilitazione per portatori di handicap di Bangasi, è nel quartiere diElGarbia, a Ovest della città. Attorno le altre villette di altrimedici, avvocati, magistrati, ingegneri, insomma professionisti, la borghesia che ha studiato all’estero, che ha dovuto sopportare Gheddafi, che ha appoggiato la Rivoluzione del 17 febbraio. Nella Libyan Disabled », con il dottor Fathi, si riuniscono in duecento. «Quel che dico io lodirebbero tuttigli altri, equasi tutti i bengasini. Stiamo facendo i conti con i troppi purtroppo». Nel salotto, alla parete, la laurea del dottor Fathi: facoltà diBologna, anno 1986. Baffetti, occhialini, i pochi capelli rasati, cammina appoggiato al bastone, non nasconde la poliomielite. E non nasconde una certa rabbia, adesso: «Dico che la colpa di quel che è successo è di chi ha lasciato troppa corda ai terroristi, a questi invasati che non rappresentano né l’Islam né le usanze libiche. Sono isolati,vengonodafuori.Enoi,dopo i 32 annidella tiranniadiGheddafi, non vogliamo neppure pensare di ritrovarci in un’altra. Ne abbiamo lepallepiene, comedireste in Italia.Ma da soli, e ripeto il purtroppo, non ce la facciamo». La tavola è pronta per il pranzo, spaghetti, lasagne, pollo speziato, peperoni scottati, succo d’uva. Ma non sono giorni da banchetto, il dottore e i suoi ospiti assaggiano appena. Il dottor Fathi anticipa la domanda: «Di chi è la colpa? Non è solo del nostro governo, è anche degliUsa, è anchedell’UnioneEuropea.MortoGheddafi finito tutto?No.Ci ha lasciato nel deserto, e noi soffriamo più degli altri Paesi della Primavera Araba. Non avevamo un’organizzazione dello Stato, i partiti non sappiamo cosa siano, ci sono funzionari Onu che stanno ancora spiegando ai nostri eletti cos’è una legge, o un’interrogazione parlamentare». La tv di Bengasi sta ripetendo le notizie dei quattro arresti, di almeno 50 terroristi già identificati, degli agenti dell’Fbi che non riescono a raggiungere Bengasi perché «il quadro è instabile», dei droni che volano sempre nella zona dell’aeroporto, dove regna la brigata «Ansar al Sharia». «Purtroppo, invece della polizia che ancora non c’era, il governo ha assegnato a loro quella zona - dice il dottore -. Poi li hanno dichiarati fuorilegge, ma la legge chi la applica?Etra loro ci possono essere quelli dell’Islam importato dall’Afghanistan o dal Pakistan, gente che si veste e simuove come stranieri. Ben diversi da noi mediterranei, che a volte ci piace peccare e soloDio giudicherà». Proprio oggi, anniversario della morte dell’eroe nazionale Omar al Mukhtar, il governo ha invitato i libici a riconsegnare le troppe armi ancora in circolazione, a Bengasi l’appuntamento è inPiazza delTribunale. Adesso il dottore sorride: «Hanno organizzato una lotteria, chi le riconsegna può vincere una macchina. Finirà che chi ne ha in casa dieci ne porta in piazza due. Finché si lasciano libere le brigate perché i bengasini dovrebbero riconsegnarle: per lasciare spazio alla nuova dittatura di quelli lì? Ilmio è un paradosso e lo dico per assurdo, ma in queste condizioni chi si tiene le armi fa bene». Anche ieri sera, nonostante il vento dal mare, nonostante le nuvole di pioggia in arrivo, nel parcheggio di macerie e macchine di Piazzadell’Albero si sono riuniti ragazzi e ragazze di Bengasi, ormai un appuntamento fisso, la protesta silenziosa contro gli assassini dell’ambasciatore Chris Stevens. Quando si salutano, ragazzi e ragazze si baciano, impensabile anche a Tripoli, possibile solo qui. «Perché Bengasi è città laica emoderata - spiega il dottore -. Alle elezioni comunali la più votata è stata una donna, Nayat el Khiha. E a quelleper ilParlamentounavvocato e un magistrato». E nemmeno un islamista. «Però - e qui il dottor Fathi lascia in sospeso la tazza del caffè - non possiamo nascondere che qui siamo riusciti a combinare quel che non hanno fatto gli altri: ammazzare un ambasciatore è una gravissima cosa. Io sonomusulmano, prego cinque volte al giorno, osservo il Ramadan e il Corano dice che devo rispettare l’ospite. La morte di Stevens ci sta pesando molto, quando Gheddafi voleva distruggere Bengasi era qui con noi, e come libicidobbiamo solo riconoscenza a questa persona. Noi siamo come ilmalato uscito dalla rianimazione, siamo ancora a rischio infezione. Lamorte di Stevens è la nostra polmonite». L’autista del dottore si avvicina alla finestra, ascolta il lamento che vienedal cielo, forseundrone involo. «In città c’è un clima strano - diceFathiBadi -, siamo tutti in attesa di qualcosa che deve accadere: un grande botto, gli americani che li vanno aprendere, che li rendano finalmente inoffensivi». Perché il dottor Fathi vorrebbe occuparsi delle cento protesi appena arrivate dalla Cooperazione italiana, o a cercare di dare un nome ai 10mila cadaveri senza nome della Rivoluzione. «Ma per favore non pensate che laLibiastiadallapartedegliassassini. Io resto ottimista. Conosco Bengasi, noi vogliamo vivere...».

La STAMPA - Giordano Stabile : " Al Qaeda incita a nuovi assalti. Americani in fuga "

Alla fine è arrivata la rivendicazione di Al Qaeda. Con la solita dose di ambiguità il ramo yemenita ha legato l’uccisione del numero due dell’organizzazione Abou Yahia al-Libi («il libico ») all’assalto al consolato americano diBengasi e all’uccisione dell’ambasciatore Christopher Stevens. E dai Paesi teatro di scontri è iniziata una vera e propria fuga dei cittadini americani verso gli Stati Uniti. Il Dipartimento di Stato di Washington ha evacuato tutto il personale «non di emergenza» delle ambasciate di Tunisi e Karthoum e ha esortato i concittadini a lasciare Tunisia e Sudan con voli commerciali, sconsigliando a tutti di recarsi in Tunisia e in Sudan. L’amministrazione Obama - secondo indiscrezioni di stampa - ritiene che «le proteste violente neiPaesi musulmani possano presagire a una crisi prolungata con conseguenze diplomatiche e politiche imprevedibili». L’uccisione del «figlio spirituale di Osama bin Laden», lo scorso 4 giugno in Pakistan, era stata il colpo più eclatante nella guerra dei droni contro l’organizzazione. Al Qaeda ha inoltre invitato a uccidere altri ambasciatori americani nel mondo musulmano e continuare le proteste fino alla chiusura delle sedi diplomatiche occidentali. «Possa l’espulsione di ambasciate e consolati portare alla liberazione delle terre arabe dall’egemonia e dall’arroganza americana». Un modo per massimizzare i profitti dell’ondata di indignazione anti-americana che scuote il mondomusulmano dopo la diffusione su YouTube del film «L’innocenza dei musulmani». Anche la citazione di Al Mukhtar, eroe della resistenza libica contro gli italiani e condottiero del fratellanza senussita che vedeva nel ritorno all’islam«puro» la via per il riscatto degli arabi di fronte al colonialismo, serve ai qadeisti ad accreditarsi come difensori delle massemusulmane e riguadagnare consensi dopo le batoste in Afghanistan e Pakistan. L’assedio alle ambasciate è continuato anche ieri,ma in tono minore dopo la dozzina di morti in tutto ilmondo venerdì. I governi islamicimoderati hanno alzato il livello di protezione e avviato le contromisure. In Tunisia, dove venerdì ci sono statiquattromorti e cinquanta feriti, è cominciata la caccia agli «sceicchi della rabbia », leader salafiti che hanno cercato di trasformare le proteste in una insurrezione contro i Fratelli musulmani al potere. Braccato dalla polizia nei quartieri poveri diTunisi èAbou Iyad, uno degli sceicchi più estremisti e attivi. Un comunicato del governo ha anche sottolineato che sono state «prese tutte le misure » per evitare altri incidenti e che «le relazioni con gli Usa saranno preservate». Stessa dinamica fra salafiti che spingono per le proteste e Fratelli musulmani al potere che frenano inEgitto. Il bilancio degli scontri di ierimattina davanti all’ambasciata americana è statodi 99 feriti. L’assedio è stato però più blando. Ma se il presidente MohammedMorsi cerca di disinnescare il malcontento, è il premier Hisham Qandil a chiedere agliUsa di «fermare gli insulti all’Islam »,mentre l’universitàdiAl Azhar, massima autorità nel mondo musulmano sunnita, ad alzare i toni, con la richiesta all’Onu di «criminalizzare» chi «denigra i simboli religiosi». Quasi una risposta allo stesso Consiglio di sicurezza di Palazzo di Vetro che ieri ha condannato «nella maniera più ferma» gli attacchi alle ambasciate. Al Azhar, dove nel 2009 Barack Obama pronunciò uno dei suoi discorsi più importanti di apertura all’islam, è retta dall’imam Ahmed Al Tayeb, favorevole a uno sviluppo moderato dell’Egitto post-Mubarak, ma al Cairo comincia a pesare l’impronta del wahabismo saudita, grandi finanziatori di moschee e attività culturali. La transizione è delicata, come anche nello Yemen retto dal nuovo presidente AbdRabbuhMansour al-Hadi. Il Parlamento ieri ha respinto l’ipotesi dell’invio di marines a protezione degli interessi statunitensi, come del resto ha fatto il Sudan. Le manifestazioni più massicce anti-Usa si sono tenute in Sudan, Somalia (dove gli Shabab hanno riecheggiato gli appelli di Al Qaeda), Indonesia, Territori palestinesi e Libano, dove l’esercito monta la guardia davanti a fast-food, simbolo culturale dell’America.

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : "Doppia lingua dei Fratelli Musulmani come i vecchi regimi (ma su Twitter) "


Fratelli Musulmani

Furbi. Tecnologici. E con un doppio linguaggio. Parliamo dei Fratelli musulmani egiziani. Che usando un vecchio trucco hanno pensato di vendere fumo dopo l'assalto alla sede diplomatica statunitense al Cairo. Giocando con la platea interna e quella internazionale. Così su Internet — attraverso i messaggi di Twitter — hanno versato lacrime in inglese felicitandosi che il personale dell'ambasciata americana fosse al sicuro. Sollievo accompagnato dall'augurio di buoni rapporti con Washington nonostante il momento difficile. Peccato che sempre su Twitter, questa volta in arabo, i Fratelli diffondessero messaggi di altro tenore. C'era poco spirito di fratellanza. Infatti invitano gli egiziani a esprimere la loro rabbia per l'offesa arrecata al Profeta con il famigerato film. Pensavano che nessuno se ne accorgesse e invece all'ambasciata qualcuno che conosceva l'arabo ha scoperto l'imbroglio. Segnalandolo ai Fratelli che hanno reagito in modo imbarazzato.
Il micro-episodio — se comparato a quanto sta avvenendo in queste ore nella regione — conferma che certe abitudini sono dure a morire. Per anni i media controllati dai regimi hanno usato il doppio «tono», arabo e inglese. A fini di propaganda, per ribadire posizioni o semplicemente per guadagnare tempo. Atteggiamenti che erano uno specchio di quello dei leader. Ai tempi dell'intifada durante i negoziati per arrivare alla tregua era stata avanzata la condizione che Yasser Arafat ordinasse pubblicamente lo stop della rivolta in arabo e in inglese. Una richiesta per nulla strana, visto che il presidente palestinese era un maestro di questo tipo d'operazioni. E nulla lo ha mai convinto a desistere.
Una volta, però, era tutto più facile. C'era un margine di manovra, interessava solo gli addetti ai lavori e la cosa rimaneva «chiusa». Oggi, visto l'uso esteso da parte di Internet, è più complicato giocare. La voglia e la necessità di comunicare in tempo reale rappresentano dei limiti a chi vuole barare. Internet non è un bollettino riservato, è una piazza aperta, dove ci si può mascherare. Ma solo per poco.

CORRIERE della SERA - Massimo Gaggi : " Approfondimenti le geometrie variabili della censura. Vacilla l'utopia libertaria di internet "

NEW YORK — Dall'utopia di Internet che con la sua comunicazione istantanea e onnipresente abbatte i muri illiberali eretti dai dittatori, alla cupa realtà di una libertà di parola a «geometria variabile», limitata selettivamente in alcuni Paesi con decisioni discrezionali. E i censori non sono i governi ma YouTube, Google, Twitter e Facebook: i signori della Silicon Valley.
Il caso del trailer di «Innocence of Muslims», il film che ha incendiato un pezzo del mondo islamico con la sua raffigurazione di un Maometto truffatore donnaiolo e pedofilo, è l'esempio estremo, ma anche l'ennesimo, di un problema noto da tempo: l'impossibilità di mantenere, nel mondo della comunicazione digitale e globalizzata, una visione della libertà d'espressione universale e assoluta, applicata ovunque nello stesso modo.
Quando, martedì scorso, la Casa Bianca ha chiesto a YouTube di ritirare un video ripugnante e offensivo per tutti i musulmani, la società ha risposto con rifiuto: l'azienda si è data un codice per cancellare i filmati diffamatori, quelli che incitano alla violenza, i video che descrivono con compiacimento atti efferati. Offendere sensibilità religiose, rischiare di alimentare sommosse non rientra in questi criteri. Google, la società che controlla YouTube, si è limitata a bloccare il video nei Paesi — come l'India e l'Indonesia — nel quale la diffusione di immagine offensive di quella natura è un reato.
Poi, però, col protrarsi dei disordini, Google è intervenuta di nuovo oscurando momentaneamente il video in Libia e in Egitto «in considerazione della delicatezza della situazione» che si è creata in quei Paesi. Anche Facebook ha adottato interventi restrittivi, cercando di non dare troppo nell'occhio, mentre Twitter ha già da tempo adottato la strategia della «geometria variabile»: i suoi addetti di volta in volta decidono in quali Paesi lasciar circolare e in quali bloccare i messaggini più controversi.
Secondo alcuni avvocati per la difesa dei diritti civili quella di Twitter è una scelta intelligente: un modo di rendere visibile e «trasparente» la censura, mettendola sotto gli occhi di tutti. Un atto censorio che sarebbe al tempo stesso anche una denuncia, insomma. Ma per Forbes Google e gli altri, quando fanno interventi discrezionali sicuramente giustificati dalla necessità di arginare le violenze, si mettono su un sentiero scivoloso: dal Pakistan alla Tunisia fino alla lontana Australia dove gli islamici sono pochissimi, mezzo mondo è in fiamme, col pretesto di quel video. Chi decide quali sono le situazioni di «particolare delicatezza» che giustificano un intervento censorio, sia pure temporaneo? Salar Kamangar, il biologo nato a Teheran e cresciuto in California, classe 1977, che è amministratore delegato di YouTube? Larry Page, il capo di Google che col suo algoritmo ha cambiato il mondo e che nelle sue scelte si affida più volentieri alle formule matematiche che all'intuizione? O il presidente della società di Mountain View, Eric Schmidt, il manager più anziano ed esperto che però, coi suoi stretti rapporti con l'Amministrazione Obama, può far pensare a una non piena indipendenza di Google?
E' proprio il caso di affidare a un pugno di ragazzi geniali, soprattutto ingegneri e matematici imbevuti della cultura libertaria californiana, la misurazione di quel «clear and present danger», un pericolo imminente e immediato, che può giustificare l'introduzione di un limite alla libertà d'espressione? La questione è stata fin qui sempre accantonata e ogni azienda è andata per la sua strada: in Cina Google ha deciso di non piegarsi alla censura del regime e ha trasferito uffici e server a Hong Kong, mentre altri siti hanno addirittura rivelato alle autorità l'identità di utenti autori di messaggi anti-regime.
Che sia impossibile difendere sempre e ovunque tutti i messaggi in un mondo pieno di facinorosi e provocatori oltre che di uomini di buona volontà, lo sappiamo da tempo. Ma, non avendo soluzioni a portata di mano, abbiamo sperato che le aziende digitali riuscissero a venirne fuori limitando gli interventi censori a pochi casi estremi. Ma i casi si moltiplicano e le decisioni da prendere sono sempre più complesse e discutibili. Come in Turchia dove, nel 2007, il governo chiese a YouTube di cancellare un filmato considerato offensivo nei confronti di Ataturk, il padre della Patria. La società rifiutò e allora intervenne la magistratura turca oscurando non solo il filmato ma tutto il sito. Un altro rifiuto di Google, nel 2010, spinse i giudici del Pakistan a mettere fuori legge e bloccare un cartone animato satirico su Maometto.
Quanto ai filmati di incitazione alla violenza ispirati da Al Qaeda, due anni fa le società di Internet ignorarono le pressioni dei governi occidentali: li bloccarono solo dopo un duro intervento del ministro dell'Interno inglese che li definì un'apologia degli omicidi a sangue freddo.
Non si tratta solo di religioni, culture differenti, conflitti di civiltà: Google può avere diverse regole di comportamento anche in Occidente e, addirittura, nel suo perimetro aziendale: la propaganda filonazista, notava ieri il Washington Post, è assente dal sito tedesco Google.de, ma fiorisce indisturbata in quello americano Google.com. E la violenza sugli animali, cancellata da tutti i filmati di YouTube, può, invece, essere vista sul sito della società capogruppo, Google, attraverso il suo motore di ricerca.

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