Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Libia, il film di Sam Bacile usato come pretesto da al Qaeda commenti di Giulio Meotti, Francesca Paci
Testata:Il Foglio - La Stampa Autore: Giulio Meotti - Francesca Paci Titolo: «DaWilders al Clarion, così i gruppi pro Israele finanziano i film della discordia - Quel video amatoriale che ha scatenato la rivolta»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 13/09/2012, a pag. 1-4, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " Da Wilders al Clarion, così i gruppi pro Israele finanziano i film della discordia ". Dalla STAMPA, a pag. 3, l'articolo di Francesca Paci dal titolo "Quel video amatoriale che ha scatenato la rivolta " .
Al di là di giudizi sul film, non comprendiamo per quale motivo questo sarebbe una 'provocazione'. Maometto è persino interpretato da un attore esteticamente gradevole. In ogni caso, fino a prova contraria, in una democrazia va garantita a tutti la libertà d'espressione, senza dover mettere in conto 'ripercussioni'. Quella del film di Bacile è stata solo una scusa per al Qaeda per attaccare. Se non fosse stato quello, sarebbe stato qualche altro pretesto. Ecco gli articoli:
Il FOGLIO - Giulio Meotti : " Da Wilders al Clarion, così i gruppi pro Israele finanziano i film della discordia"
Giulio Meotti
Roma. Di Sam Bacile, produttore e regista del film “Innocence of Muslims” preso a pretesto per le manifestazioni antiamericane in nord Africa, si sa poco o nulla. Jeffrey Goldberg sull’Atlantic scrive che Bacile è solo uno pseudonimo dietro cui si nasconde qualcun altro, e che non ha neppure il passaporto israeliano come emerso in un primo momento. Secondo quanto riferisce l’Associated Press, l’Fbi lo avrebbe portato in una “località sicura”. Un ex marine consulente del film, Steve Klein, aveva avvertito Bacile che avrebbe fatto “la fine di Theo van Gogh”, il regista olandese ucciso nel 2004 da un fondamentalista islamico. Parlando con il Wall Street Journal, Bacile ha detto di avere raccolto cinque milioni di dollari da “cento donatori ebrei”, senza farne il nome. “Il film non è stato fatto per attaccare i musulmani, ma per mostrare l’ideologia distruttiva dell’islam”, ha detto Bacile. “Il film mostra in versione satirica la vita di Maometto”. Della pellicola si conoscono soltanto i quattordici minuti di trailer postati su YouTube. L’altra figura chiave del film è il copto egiziano Morris Sadek, attivista dei diritti umani e presidente della National American Coptic Assembly. Due anni fa le autorità del Cairo avevano ritirato a Sadek la cittadinanza per “insulto all’islam” e “alleanza con il giudaismo”. Nell’ultima settimana la destra ebraica statunitense è finita sotto l’attenzione dei media dopo che si è scoperto che Geert Wilders, rutilante politico olandese noto per la critica all’islam e candidato al Parlamento dell’Aia, avrebbe ricevuto laute donazioni da gruppi filo israeliani negli Stati Uniti. Uno è il Middle East Forum, un think tank di Philadelphia diretto da Daniel Pipes, celebre islamologo chiamato alla Casa Bianca dopo l’11 settembre. Pipes avrebbe sostenuto Wilders nella difesa durante il suo processo all’Aia per la realizzazione del film “Fitna”, il controverso cortometraggio (che in arabo significa “divisione e discordia in seno all’islam”) nel quale si dipingono il Corano e la religione islamica come nemici della libertà. Wilders è stato poi giudicato innocente dalle accuse dalla giustizia olandese. L’altro finanziatore di Geert Wilders è David Horowitz, intellettuale fondatore della “New Left” passato al conservatorismo più duro, che dalla California dirige un magazine e un pensatoio responsabile delle “giornate contro l’islamo-fascismo” nei campus statunitensi. Horowitz avrebbe anche pagato il servizio di sicurezza attorno a Wilders quando il politico olandese ha tenuto un discorso a Philadelphia. Ieri su Frontpage, il magazine fondato da Horowitz, si commentavano così gli assalti alle sedi diplomatiche americane dopo la diffusione del film: “I barbari sono alle porte. Stanno creando un altro Iran”. Figura chiave nelle lotte contro l’islamismo è un avvocato israeliano, David Yerushalmi, ebreo ortodosso originario di Brooklyn e residente nella colonia israeliana di Maaleh Adumim. Yerushalmi, oltre ad aver portato le leggi della sharia nei tribunali americani, è il legale di Pamela Geller, una delle paladine della destra antislamista, animatrice di “Stop Islamization of America” e pasionaria della lotta contro la costruzione della moschea di Ground Zero. Geller è legata al Center for Security Policy, un pensatoio il cui motto è “promuovere la pace attraverso la forza” e diretto da Frank Gaffney, ex consulente di Ronald Reagan e falco neoconservatore. Fra i finanziatori del Center for Security Policy c’è il dottor Irwin Moskowitz, uno degli uomini più ricchi d’America, amico del premier israeliano, Benjamin Netanyahu, e finanziatore di insediamenti ebraici nel Golan, Giudea e Samaria. A produrre numerosi documentari di successo contro l’islamismo è il Clarion Fund, gruppo no profit accusato di “islamofobia” e nel cui board siedono Gaffney, Pipes e Walid Phares, già consulente del Congresso americano sul terrorismo. Tra i film prodotti ci sono “Obsession” e “Iranium”, contro il regime iraniano degli ayatollah. In particolare “La Terza Jihad”, uscito lo scorso gennaio e trasmesso al corpo di polizia di New York, ha attirato le attenzioni dei media per l’accusa contenuta nel film secondo cui l’islam sarebbe in procinto di conquistare l’America. Si vedono terroristi islamici che sparano ai cristiani, autobombe, bambini uccisi e una bandiera islamica che sventola sulla Casa Bianca e una voce narrante: “Questi sono i veri piani dell’islam in America. Una strategia per infiltrarsi e dominare l’America. Questa è la guerra che non conoscete”. Il Clarion Fund è legato all’Aish HaTorah, un gruppo di pressione contro il ritiro israeliano dai territori del 1967. Tra i finanziatori del Clarion c’è anche Sheldon Adelson. Ottavo uomo più ricco d’America, con una fortuna personale stimata in oltre venti miliardi di dollari, proprietario del Venetian, celebre casinò di Las Vegas, Adelson è diventato uno dei big player della politica americana e internazionale. Adelson detesta il presidente Obama, che “vuole distruggere Israele”. Costretto su una sedia a rotelle da una grave malattia, Adelson fonda la propria influenza politica sul fatto che è il principale finanziatore del premier israeliano Netanyahu.
La STAMPA - Francesca Paci : " Quel video amatoriale che ha scatenato la rivolta"
Un fotogramma del film di Sam Bacile
Di lui si sa pochissimo, ma di certo il misterioso 56enne israelo-americano Sam Bacile conosceva la portata dell’incendio che avrebbe acceso diffondendo le immagini di «Innocence of Muslims». Steve Klein, consulente del film girato in tre mesi nell’estate 2011, ha raccontato all’agenzia Ap di aver avvertito Bacile che rischiava di diventare «il prossimo Theo van Gogh». Lui però, pur confidando all’amico di essere in ansia per alcuni familiari residenti in Egitto, avrebbe fatto spallucce all’eventualità di finire ammazzato come il regista danese autore del discusso Submission, in virtù di un anti-islamismo più forte della paura. Prova ne sia la dichiarazione rilasciata al «Wall Street Journal» dalla sua casa californiana poco prima di nascondersi in un luogo segreto.
«L’Islam è un cancro e il mio non è un film religioso ma politico» rivendica Bacile al quotidiano americano. Altrettanto politica sembra essere la risposta giunta da Bengasi, dove, verosimilmente, gli aggressori non hanno neppure visto il trailer su YouTube.
Chi c’è dietro il film che è costato quattro vite, tra cui quella dell’ambasciatore statunitense Christopher Stevens, e che lista a lutto l’eredità della primavera araba? Al di là delle teorie dietrologiche all’arrembaggio del web (a chi conviene questo caos? Ai gheddafiani? L’internazionale anti-islamica? Israele? I nemici di Obama?) ci sono le scarne biografie dei protagonisti della pellicola, non tanto i 59 attori amatoriali emuli di Sacha Baron Cohen o i 45 tecnici del rudimentale set, quanto quelli che assai più abilmente li hanno diretti.
Il regista, in primo luogo. Un imprenditore immobiliare prestato al cinema nel cui passato è difficile scavare. La Rete non fornisce indizi e in Israele, sostiene lo studioso irano-americano Reza Aslan, non risulterebbe alcun cittadino di nome Sam Bacile. Anche il giornalista ebreo Jeffrey Goldberg avanza dubbi sull’identità dell’uomo che afferma di aver ricevuto i 5 milioni di dollari necessari a girare da oltre 100 donatori ebrei ma di cui, osserva Goldberg, «nessun ebreo di mia conoscenza ha mai sentito parlare». Altrettanto vago è il percorso del trailer che Bacile dice di aver postato su YouTube all’inizio di luglio e che si sarebbe diffuso nei giorni scorsi grazie all’invettiva di alcuni religiosi egiziani seguita alla traduzione in arabo di un qualcuno ignoto a Bacile ma, per sua ammissione, filologico nella resa del testo (solo martedì pomeriggio il video in arabo ha collezionato 40 mila visioni).
Ci sono poi i promotori del film, tra i quali la stampa americana identifica Terry Jones, il 61enne pastore protestante noto per i provocatori roghi del Corano che già negli anni scorsi avevano acceso l’iper-reattiva rabbia musulmana. Martedì sera, sul suo sito, aveva diffuso un comunicato affermando di voler trasmettere il trailer di 13 minuti nella sua chiesa a Gainesville, Florida.
«Si tratta di una produzione americana pensata non per attaccare i musulmani ma per mostrare l’ideologia distruttiva dell’islam» scriveva Jones, che ora è ricercato dalla procura egiziana per istigazione all’odio insieme ad altre otto persone tra cui alcuni copti. La sua idea era quella d’istituire l’«International Judge Mohammed Day», una giornata dedicata allo smascheramento del Profeta dell’Islam accusato di promuovere «omicidi, stupri, distruzione di persone e di cose attraverso i suoi scritti chiamati Corano». La stessa retorica che nel decimo anniversario dell’11 settembre aveva allarmato l’amministrazione Obama al punto da dare l’altolà al pastore intenzionato a bruciare pubblicamente il Corano.
Infine, dietro le quinte della pellicola, che per l’intera durata di due ore sarebbe stata proiettata una sola volta all’inizio dell’anno in uno studio di Hollywood (almeno così ripete Bacile), si cela Morris Sadek , un copto egiziano residente a Washington fuggito dal paese natale a causa della persecuzione dei cristiani. Nelle ultime ore Sadek, che guida un piccolo gruppo conservatore chiamato National American Coptic Assembly, ha ridimensionato la sua iniziale difesa del video spiegando telefonicamente ai giornalisti statunitensi di essere dispiaciuto per quanto accaduto in Libia e di aver partecipato solamente alla prima parte del film, «quella dedicata alla persecuzione dei copti».
Le domande sono assai di più delle risposte fornite dalle scene di scarsa qualità di «Innocence of Muslims». Specie mentre si ventila l’ipotesi d’una pista qaedista sovrapposta alla facilmente manovrabile disposizione all’ira devastatrice dei più oltranzisti tra gli islamici. Ma la dialettica è talmente sinistra che i copti della diaspora, allarmati dal coinvolgimento di Morris Sadek, si sono affrettati a condannare il film e il suo misterioso regista.
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