Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 11/09/2012, a pag. 3, l'editoriale dal titolo " L’afasia dei liberal sulla bomba iraniana ". Dalla STAMPA, a pag. 16, l'articolo di Paolo Mastrolilli dal titolo " Hillary sull’attacco all’Iran: non ci sono linee rosse ".
Ecco i pezzi:
Il FOGLIO - " L’afasia dei liberal sulla bomba iraniana "



Bill Keller Paul Berman Thomas Friedman
Dalle colonne del New York Times, che ha diretto per molti anni, Bill Keller ieri ha vergato un editoriale per sostenere che è meglio un Iran nuclearizzato a una guerra preventiva contro Teheran e che in ogni caso Teheran con la bomba all’uranio non sarà la fine del mondo. Dieci anni fa Keller si arruolò in quella nobile pattuglia di liberal che avrebbe sostenuto l’invasione dell’Iraq (assieme a Paul Berman, Christopher Hitchens, George Packer, Kenneth Pollack, Thomas Friedman, Kanan Makiya e altri).
Oggi però, sulla bomba atomica iraniana, la stessa intellighenzia vive in una pericolosa afasia. Si fa portavoce di una sorta di fatalismo in cui abbiamo tutto da perdere, quello secondo il quale l’Iran diventerà in ogni caso nucleare e che comunque si deve tenere ferma la mano dello stato ebraico, che potrebbe trascinarci tutti nell’abisso in nome dell’Olocausto. Oppure i liberal si fanno portavoci di bizzarre teorie. Una in particolare campeggiava nel numero di agosto di Foreign Affairs, titolo: “Perché l’Iran dovrebbe avere l’atomica”. L’autore è Kenneth Waltz, fondatore della scuola neorealista nella teoria delle relazioni internazionali. Waltz sostiene che il problema in medio oriente è l’arsenale nucleare di Israele, che deve essere bilanciato da un altro potere, in questo caso l’Iran. In secondo luogo, Waltz ritiene che tale equilibrio atomico possa intrinsecamente stabilizzare la situazione, in tal modo riducendo, non aumentando, il rischio di conflitti. Siamo al delirio. Circola questa strana sensazione, che è come un rumore di fondo, per cui l’occidente non se la senta di imbarcarsi in una nuova spedizione preventiva in medio oriente e che prima o poi Teheran si doterà della bomba nucleare. Se Saddam Hussein era una minaccia per Israele e per gli Stati Uniti, immaginiamoci cosa possa diventare una teocrazia famelica di egemonia e dotata di armi di distruzione di massa. Dan Margalit, giornalista moderato fra i più noti d’Israele, ha scritto ieri che i liberal, “fra la scelta se attaccare o accettare un Iran nucleare, preferiscono sedersi e non fare niente”. Un po’ troppo poco come deterrenza contro il messianismo degli ayatollah.
La STAMPA - Paolo Mastrolilli : " Hillary sull’attacco all’Iran: non ci sono linee rosse "

Hillary Clinton
Gli Stati Uniti non stabiliscono scadenze per il programma nucleare iraniano, e considerano i negoziati di gran lunga l’approccio migliore». Hillary Clinton ha risposto così alla richiesta del premier israeliano Netanyahu, affinché la comunità internazionale dia a Teheran «linee rosse invalicabili». Lo ha fatto mentre da una parte si moltiplicano le indiscrezioni di un imminente raid dello Stato ebraico, e dall’altra cominciano ad alzarsi voci favorevoli al contenimento di un Iran nucleare, come ha scritto ieri l’ex direttore del «New York Times» Bill Keller.
Il dibattito sul programma atomico della Repubblica islamica sta tornando in primo piano. Il 25 settembre a New York si aprirà la 77esima Assemblea generale dell’Onu, con l’intervento del presidente americano Obama; il giorno dopo, Yom Kippur, parlerà Ahmadinejad. Gli incontri al Palazzo di Vetro saranno l’occasione per discutere questa emergenza, e il terreno è stato preparato dal rapporto di fine agosto, in cui l’Aiea ha accusato Teheran di aver accelerato le sue operazioni: da maggio ad agosto le centrifughe installate sono raddoppiate, da 1.064 a 2.140, mentre i chili di uranio arricchito al 20% sono saliti a 189. Ieri il direttore dell’Agenzia atomica internazionale, Yukiya Amano, ha detto che l’Iran deve aprirsi a ispezioni serie, perché lui si è stancato di essere «preso in giro».
Domenica Netanyahu ha accusato la comunità internazionale di aiutare la Repubblica islamica, perché non stabilisce chiare «linee rosse» invalicabili, oltre cui scatterebbe l’intervento militare. Una critica che sembrava diretta all’amministrazione Obama, visto che pochi giorni fa il premier aveva avuto un’accesa discussione con l’ambasciatore americano Shapiro.
Il segretario di Stato Clinton ha risposto con un’intervista alla Bloomberg Radio, in cui ha detto di comprendere l’ansia di Israele perché si trova nell’occhio del ciclone, ma ha ribadito che Washington non intende dare ultimatum perché crede ancora nel negoziato favorito dalle sanzioni. Il problema è chiaro. Secondo lo Stato ebraico, la finestra per un intervento militare capace di bloccare la corsa di Teheran alla bomba si sta chiudendo. Secondo gli Usa c’è ancora tempo, e certamente Obama non vuole una crisi durante la campagna elettorale.
Sullo sfondo, però, si discutono anche le opzioni alternative più estreme. Da una parte, infatti, il candidato repubblicano Romney ha detto che non accetterebbe alcun livello di arricchimento dell’uranio in Iran, nemmeno quello consentito a scopi pacifici dal Trattato di non proliferazione. Dall’altra c’è chi sostiene che la bomba iraniana non sarebbe uno sviluppo così inaccettabile. Ha iniziato Foreign Affairs, la rivista del Council on Foreign Relations, con un articolo di Kenneth Waltz sul suo ultimo numero; ha proseguito ieri Keller sul New York Times. Si parte dal presupposto che le sanzioni non convinceranno gli ayatollah a fermarsi, e l’intervento militare riuscirebbe al massimo a ritardare la costruzione dell’arma nucleare, aprendo la porta a un conflitto mediorientale molto più vasto. L’atomica di Teheran, invece, potrebbe avere l’effetto paradossale di stabilizzare la regione. La Repubblica islamica non la userebbe, perché la deterrenza americana e israeliana la fermerebbe. Magari l’Arabia cercherebbe di costruire la propria bomba, però la proliferazione si fermerebbe là. Il Medio Oriente sarebbe più armato, ma forse proprio per questo più lontano da una guerra totale.
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