Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 10/09/2012, a pag. 17, l'articolo di Lorenzo Cremonesi dal titolo " Così i guerriglieri siriani danno la caccia ai qaedisti :«Sono solo dei fanatici» ". Dalla STAMPA, a pag. 12, l'articolo di Francesco Semprini dal titolo " La Clinton a Vladivostok ribatte ai russi sulla Siria: Serve risoluzione vera ".
Ecco i pezzi:
CORRIERE della SERA - Lorenzo Cremonesi : " Così i guerriglieri siriani danno la caccia ai qaedisti :«Sono solo dei fanatici» "

BAB EL AWA (Siria) — Laici contro religiosi: è il conflitto maggiore che lacera la rivoluzione in Siria, anche se presentato in questo modo appare molto riduttivo. E ciò perché i laici raramente lo sono e i religiosi a loro volta risultano divisi in mille fazioni. L'ultimo episodio di una lunga storia ancora tutta da raccontare è avvenuto poco più di una settimana fa, quando un gruppo scelto della brigata partigiana Al Faruq ha assassinato Abu Mohammad Al Absi, leader trentenne di oltre 180 volontari stranieri di Al Qaeda, che da circa due mesi si erano acquartierati nella zona collinosa in territorio siriano presso la linea di confine con la Turchia di fronte alla città di Antakia. Una vicenda di cui tutti parlano. Da allora i jihadisti sunniti stranieri si sono allontanati: molti si sono uniti alla guerriglia ad Aleppo, altri sarebbero scappati verso l'Iraq. Però una vicenda ancora confusa, che riassume in sé le forti tensioni cresciute tra brigate partigiane autoctone contrarie ad Al Qaeda e invece gruppi più fondamentalisti pronti a combattere al loro fianco.
A noi l'ha spiegata due giorni fa Taher Abu Ali, 33 anni, ex impiegato della compagnia elettrica statale nel villaggio di Sarmada, e da 14 mesi ufficiale della Al Faruq. Lo incontriamo mentre sta al comando di 200 uomini al vecchio terminale della dogana siriana posto a circa 6 chilometri dal passaggio di frontiera a Bab El Awa. La zona da inizio luglio è sotto controllo della rivoluzione per una profondità di circa 40 chilometri. A metà agosto le truppe corazzate di Bashar Assad hanno provato a riprenderla con l'appoggio dell'aviazione. Ma è stato un fallimento. I ribelli hanno distrutto una decina tra tank e mezzi blindati. Ora due carri armati catturati intatti sono nascosti sotto le pensiline del terminal pronti a fermare i contrattacchi lealisti.
«Sembra tutto tranquillo adesso. Ma solo 10 giorni fa non era così. Appena dietro quella collina sassosa erano accampati gli uomini di Al Qaeda. Quasi nessuno di loro parlava arabo. Penso fossero per lo più ceceni, afghani e pakistani. Proclamavano di voler fondare qui, in casa nostra, nelle terre liberate da noi, col nostro sangue, uno Stato Islamico Indipendente, lo chiamavano proprio così, dove dicevano avrebbero applicato integralmente la legge coranica contro gli sciiti. Non mi piacevano affatto. Io sono un musulmano credente, ma non concordo con gli eccessi, sunniti o sciiti che siano», racconta dunque indicando a poche decine di metri l'area dove stavano i qaedisti. Taher non nasconde il suo sollievo nello spiegare l'azione che ha messo fine alla presenza di Al Qaeda. «Al Absi era per loro ben più di un comandante. Parlava arabo, era originario di queste regioni. Siamo andati ad ucciderlo a casa sua, una decina di chilometri da qui, nel villaggio di Tall Qarameh. E per i volontari stranieri ai suoi ordini l'unica alternativa è stata unirsi a brigate più amichevoli che operano altrove».
A fianco delle sentinelle della Al Faruq, occupate per lo più a verificare che i camionisti di passaggio verso la Turchia non cerchino di contrabbandare il preziosissimo gasolio (in Siria costa la metà), resta un piccolo drappello di giovani locali che prima fiancheggiavano i qaedisti. Hanno le barbe molto più lunghe dei combattenti regolari, al posto delle mimetiche verdi vestono in scuro, la testa fasciata con bandane nere decorate in bianco con i versi del Corano. Perduti i camerati arrivati dall'estero, sembrano ora propendere per i ben più moderati Fratelli Musulmani. Un movimento che trova le simpatie di tanti tra i circa 15.000 uomini inquadrati nella Al Faruq, da Homs, Idlib, Aleppo e sino al confine. E ciò nonostante la loro sia considerata una delle brigate «laiche», o comunque meno religiose (certo meno della potente brigata Al Tawheed posizionata ad Aleppo), tra le più importanti in tutto il Paese. «Gloria ad Allah e al suo Profeta Maometto», è scritto sul loro vessillo.
Il conflitto tra le tante anime della rivoluzione si ingigantisce tra i quadri politici dell'opposizione nella diaspora. Ad Antakia venerdì Fatin Ajjan, ex presentatrice della tv di Stato a Damasco e adesso attivista per gli aiuti ai civili vittime dei lealisti, non nascondeva il risentimento verso i gruppi legati ai Fratelli musulmani che a suo dire si sarebbero impadroniti di oltre 450 tonnellate di cibo e medicinali inviati per nave dai leader della rivoluzione libica. «Non hanno detto nulla a nessuno. E segretamente si sono presi tutto. Ma questi aiuti dovevano essere divisi in modo equo. È il loro modo per conquistare simpatie e potere tra i poveri siriani», sostiene Fatin.
Una parola di sostegno per i Fratelli musulmani, e persino Al Qaeda, arriva invece da un laico inveterato come Hamze Gadban. «Sono fanatici. Ma bravissimi combattenti pronti a morire. Non è un segreto che le brigate partigiane sono riuscite a tenere le posizioni ad Aleppo grazie anche al sacrificio dei combattenti stranieri che hanno l'esperienza dell'Afghanistan e dell'Iraq», dice lui che beve alcool a Ramadan ed è il volto più noto della televisione siriana pro rivoluzione Barada basata a Londra e il cui fratello Najib (professore universitario in Usa) è tra gli elementi più laici del Consiglio nazionale Siriano. Il timore però tra numerosi esponenti del massimo organo politico dell'opposizione è che l'insistenza sull'elemento sunnita, a scapito degli alauiti-sciiti pro Assad, da parte dei gruppi religiosi possa alla fine condurre alla divisione in due del Paese e alla fine della Siria.
La STAMPA - Francesco Semprini : " La Clinton a Vladivostok ribatte ai russi sulla Siria: Serve risoluzione vera "


Hillary Clinton
Con gli alleati russi Hillary Clinton è stata chiara. Per il segretario di Stato americano non ha senso continuare a perdere tempo approvando risoluzioni Onu «sdentate» sulla Siria perché «abbiamo visto tante volte, e tante altre ne vedremo, che Assad le ignora e continua a reprimere il proprio popolo». Il fatto è, secondo il capo della diplomazia Usa, che le uniche «risoluzioni efficaci sono quelle che in caso di mancato rispetto contemplano conseguenze severe».
I toni della Clinton sottintendono ancora una volta la mancata sintonia tra Washington e Mosca, nonostante i tentativi di convergenza avvenuti nel corso del vertice AsiaPacifico appena terminato a Vladivostok, in Russia. «Dobbiamo essere realistici - avverte il segretario di Stato dopo gli incontri con il presidente Vladimir Putin e il collega Sergey Lavrov - non la vediamo allo stesso modo sulla Siria. Ed è possibile che continui così».
Putin da parte sua si limita a dire che nonostante i colloqui con l’ex First Lady siano stati costruttivi e utili, non hanno portato a nessun accordo. La Russia ha respinto l’appello del segretario di Stato a varare sanzioni in ambito Onu da imporre alla Siria nel caso Bashar al Assad non smetta di combattere e lasci il potere. «I nostri partner americani hanno una spiccata tendenza a minacciare, rafforzare le pressioni sui governi e adottare maggiori sanzioni contro la Siria e l’Iran replica invece Lavrov -. La Russia è contro questo approccio, per risolvere i problemi è necessario dialogare con un Paese».
Una posizione dettata anche dalla tradizionale amicizia tra Mosca e Damasco e dagli interessi commerciali che legano i due Paesi. La Clinton invece definisce «realistico» il suo approccio e per questo, spiega, gli Stati Uniti tenteranno di convincere i loro interlocutori a rafforzare la pressione internazionale su Damasco. E lo faranno a partire dai lavori dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite in programma nella seconda metà di settembre: l'obiettivo è quello di mettere a punto una nuova risoluzione del Consiglio di sicurezza che includa misure severe a carico del regime di Assad.
La risoluzione rischia di infrangersi contro il veto di Russia e Cina che ne hanno già bloccate tre simili. Per questo, secondo la Clinton, i due Paesi si sono schierati «dalla parte sbagliata della storia». A risponderle, al vertice Apec, è stato il collega cinese Yang Jiechi, con un monito: sarà proprio la storia a dimostrare che la «Cina è nel giusto».
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