In primo piano la Convention democratica, riprendiamo Fiamma Nirenstein, dal GIORNALE di oggi, 07/09/2012, a pag.15, Piera Prister su Informazione Corretta, Daniel Pipes dal suo blog, l'editoriale del FOGLIO:
a destra, un distintivo distribuito durante la Convention repubblicana
" Obama, oy vey !" OY VEY ! espressione yiddish, che indica "oh che disgrazia!"
Il Giornale-Fiamma Nirenstein: " Fine dell'amnesia, resuscitati Dio e Gerusalemme"


Cappellino pro-Obama Fiamma Nirenstein
Quanto sia stata grave la malattia, quanto abbia fatto soffrire Obama l’amnesia che lo ha colpito quando si preparava la piattaforma del partito democratico, lo si vede, poveretto, dal fatto che gli erano passati di mente due fondamentali: Dio e Gerusalemme. O Santo Cielo, come ho fatto a scordarmene dottore? Sarà l’età? Presto, una medicina. E gli è passata, in verità. Non si sa se Dio gli abbia personalmente ricordato che negli Stati Uniti si fa un guaio grosso dimenticandosi che senza la Sua benedizione si va poco lontano. Comunque, è rientrato nella Carta: «Il governo deve aiutare la gente a utilizzare al meglio il potenziale donatole da Dio». Una formula sguincia,ma almeno c’è.E anche Gerusalemme è tornata ad essere la capitale dello Stato d’Israele. Ma non è una vittoria del buon senso quanto un gesto di opportunismo affannato. La micidiale volgarità della gaffe, la paura di pagarla troppo cara e certo le proteste degli ebrei di sinistra disperati, hanno costretto a riscrivere la piattaforma e ora, come nel 2008: «Gerusalemme è e resterà la capitale di Israele». I delegati hanno votato a voce (gridando «sì» o «no») per tre volte, e non si capiva se il partito fosse convinto. Alla fine il presidente Antonio Villaraigosa, sindaco di Los Angeles, ha detto che anche chi aveva assentito con la testa era favorevole. Alè, dentro. Ma è difficile che allora i democraticiche ci tengono a Gerusalemme capitale possano votare Obama a cuor leggero. La brutta figura del presidente è il compimento di una storia quadriennale di antipatia per Israele. Checchè ora ne dica lui.
Informazione Corretta-Piera Prister: " I delegati abbandonano Gerusalemme, è questo il Partito di Obama "


Piera Prister
National Democratic Convention 2012: serata di chiusura, candidatura di Obama per la sua riconferma. Mentre nella mattinata del 6 settembre, tutte le radio e stazioni televisive stanno commentando ampiamente gli interventi delle varie personalita’ politiche avvenuti nel secondo giorno nella sede della Convenzione Democratica di Charlotte North Carolina, aspettiamo per questa sera, che e’ la giornata di chiusura dei lavori durati tre giorni, il discorso del presidente Barack Obama. Avverra’ non piu’ nel grande stadio di football di 74.000 posti ma in un’ arena piu’ piccola di Time Warner Cable di 20.000 posti perche’ sembra che gli organizzatori temano che non riusciranno a riempirlo tutto. La scusa addotta per il cambiamento e’ che si aspetta maltempo su Charlotte, ma i cieli al momento sono sgombri e limpidi e non si prevedono cambiamenti meteorologici. Piuttosto i democratici mostrano insicurezza avendo paura di non riuscire a riempire tutto lo stadio come era stato previsto, what a huge embarrassment!
I commenti di stamane vertono sul vespaio di polemiche scatenate dal fatto che la Convenzione Democratica, al secondo giorno dei lavori sia ricorsa al sotterfugio di omettere dalla piattaforma qualsiasi riferimento a Gerusalemme capitale, azione che e’ stata emendata grazie all’intervento della Republic Jewish Coalition. Il chairman della Convenzione Democratica e sindaco di Los Angeles, Antonio Villaraigosa preso di contropiede, proprio quando i lavori erano in pieno svolgimento di fronte alle telecamere, e a milioni di telespettatori, ha cercato di salvare capra e cavoli, quando ha chiesto alle migliaia di delegati per ben due volte di votare YES or NO, sulla mozione del riconoscimento di Gerusalemme capitale da inserire di nuovo nella piattaforma. Poiche’ il coro dei No superava clamorosamente quello dei SI’ il chairman ha respinto il risultato della votazione e forzatamente ha reinserito l’omissione. Rimane gravissimo pero’che i delegati in coro abbiano senza mezze misure votato contro il riconoscimento di Gerusalemme capitale, segno che il Partito Democratico sta abbandonando vergognosamente la causa di Israele.
Cosi’ il discorso di stasera di Obama appare ormai scontato, tuttavia non vogliamo perdercelo, vogliamo ascoltarlo parola per parola per capire fino a che punto arrivi la sua sfacciataggine, vogliamo sapere se all’ultimo non avra’ aggiunto al suo discorso qualcosa di inaspettato circa Gerusalemme capitale. Poiche’ la speranza e’ ultima a morire, speriamo che il presidente rimedi a quella terribile gaffe che ha visto un importante argomento come quello di Gerusalemme -e noi aggiungiamo una ed indivisibile capitale di Israele- caduto appallottolato nel cestino delle omissioni e poi in modo maldestro riacciuffato e riammesso nella piattaforma del Partito Democratico.
Vediamo se il presidente Obama accennera’ nel suo atteso discorso, al contenzioso aperto su Gerusalemme capitale sin da quando lo stesso usci’ fuori dai gangheri quando intimo’ ad Israele di bloccare la costruzione di abitazioni a Gerusalemme est, durante la visita del vicepresidente Joe Biden in Israele, o quando ingiunse a Israele di ritornare ai confini del ’67.
La piattaforma del partito Democratico riguardo Gerusalemme, immutata dal 1992 e’ cambiata quest’anno per il rifiuto della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato di riconoscere Gerusalemme come capitale dello stato di Israele come ha fatto notare Elliot Abrams:
“Its initial removal this year follows refusals by the White House and State Department to acknowledge that Jerusalem is the Jewish state’s capital” nell’articolo molto interessante, pubblicato sul WSJ, “What Is Israel’s Capital? Democrats Have Trouble Saying”: qual e’ la capitale d’Israele? I democratici hanno difficolta’ a rispondere. E’ importante che questa sera Obama rimedi all’impasse creato da lui stesso, e che si schieri in difesa di Israele, soprattutto perche’ prossimamente nel Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite l’abile faccendiere Abu Mazen, sta per tornare alla carica, quando nei prossimi giorni chiedera’ ai suoi membri come ha gia’ fatto all’UNESCO, il riconoscimento della Palestina come stato con una sua capitale che sara’ ovviamente Gerusalemme perche’ Abu Mazen mira a Gerusalemme.
Gia’ perche’ Gerusalemme e non Ramallah? Meditino tutti e soprattutto gli ebrei americani a non svendere con un voto sbagliato Gerusalemme, che la difendano a spada tratta come una ed indivisibile capitale di Israele.
Purtroppo, come dovevasi dimostrare, dopo aver ascoltato con attenzione il discorso di Obama, constatiamo che il presidente non ha saputo dare una risposta alle tante questioni che affliggono il paese, ne’ sull’economia, ne’ sulla politica internazionale, ne’ su Gerusalemme capitale. E’ apparso per nulla preoccupato della minaccia atomica dei mullah, e su quello che accadra’ prossimamente all’ONU il 18 settembre, quando si apriranno i lavori delle Nazioni Unite. Sara’ un’ ennesima occasione per l’antisemita Abu Mazen che incita il suo popolo al terrorismo contro civili israeliani, e che ha gia’ conquistato l’Europa -essendo stato ricevuto da diversi capi di stato a livello istituzionale- per chiedere il riconoscimento internazionale di uno stato terrorista.. Per fermarlo sicuramente non bastera’ il voto contrario degli Stati Uniti.
Pipes Blog-Daniel Pipes: " Ma solo Romney può salvare Israele "


Romney con Bibi Daniel Pipes
«Il presidente Obama ha spinto sotto l'autobus alleati come Israele». Questo è ciò che Mitt Romney, il candidato repubblicano alla presidenza Usa, ha detto nel discorso di alto profilo pronunciato la settimana scorsa quando ha accettato la nomina del suo partito, ripetendo un'espressione gergale che sta per "sacrificare un amico per motivi egoistici" che lui aveva già sfruttato in passato, come ad esempio nel maggio 2011 e nel gennaio 2012.
Questo biasimo nei confronti di Obama rientra in una persistente critica repubblicana. In particolare, molti altri candidati presidenziali in tempi recenti hanno utilizzato o approvato l'uso della stessa espressione gergale del "bus" nei confronti di Obama e Israele, compresi Herman Cain nel maggio 2011, Rick Perry nel settembre 2011, Newt Gingrich nel gennaio 2012 e Rick Santorum nel febbraio 2012.
Nel 2008, Barack Obama ha puntato il dito contro Binyamin Netanyahu.
Questi attacchi repubblicani alle relazioni di Obama con Israele hanno molte implicazioni importanti per la politica estera Usa. Innanzitutto, fra le tante questioni legate al Medio Oriente, Israele, e solo Israele, mantiene un ruolo permanente nella politica elettorale americana, influenzando le scelte di voto alle presidenziali di importanti segmenti dell' elettorato: non solo ebrei, ma anche arabi, musulmani, cristiani evangelici, conservatori e progressisti.
In secondo luogo, l'atteggiamento verso Israele agisce per conto delle opinioni nutrite riguardo ad altre questioni mediorientali: se io so come un'altra persona la pensa su Israele, credo anche di sapere come essa la pensi su argomenti quali la politica energetica, l'islamismo, le guerre in Iraq e in Afghanistan, la Turchia guidata dall'Akp, la proliferazione nucleare iraniana, l'intervento in Libia, la presidenza di Mohamed Morsi in Egitto e la guerra civile in Siria.
Nel luglio 2012, grandi sorrisi fra Mitt Romney e Binyamin Netanyahu, amici dal 1976.
In terzo luogo, l'atteggiamento critico dei repubblicani nei confronti di Obama mostra un'inversione di rotta in ciò che determina le posizioni assunte verso Israele. La religione era un tempo fondamentale, con gli ebrei che erano dei sionisti ferventi e i cristiani meno impegnati.
Oggi, al contrario, il fattore determinante è la visione politica.
Per capire le opinioni di qualcuno su Israele, la migliore domanda da porre non è "Qual è la tua religione?" ma "Chi vorresti come presidente?"
Di norma, i conservatori hanno più entusiasmo nei confronti di Israele e i progressisti sono più distaccati. I sondaggi mostrano che i repubblicani conservatori sono i sionisti più ferventi, seguiti dai repubblicani in generale, e poi a ruota dagli indipendenti, dai democratici e alla fine dai liberaldemocratici. Sì, è vero, Ed Koch, l'ex sindaco di New York City, ha altresì detto nel settembre 2011, che Obama «ha spinto Israele sotto l'autobus», ma Koch, 87 anni, rappresenta la vecchia guardia decadente del Partito democratico.
Le divergenze fra le parti nel conflitto arabo-israeliano stanno diventando più profonde come le loro divergenze sull'economia o sulle questioni culturali. Obama che ascolta con deferenza Edward Said, a un evento della comunità araba a Chicago, nel maggio 1998.
In quarto luogo, mentre Israele diventa sempre più una questione che divide i democratici e i repubblicani, io prevedo che ci sarà una riduzione del sostegno bipartisan allo Stato ebraico che offre a Israele un ruolo singolare nella politica Usa e che sostiene organizzazioni come l'American Israel Public Affairs Committee.
Prevedo anche che Romney e Paul Ryan guideranno un'amministrazione che sarà più calorosa che mai verso Israele, superando di gran lunga le amministrazioni di Bill Clinton e di George W. Bush.
Al contrario, se Obama dovesse essere rieletto, ne seguirà il trattamento più distaccato che un presidente americano abbia mai riservato allo Stato ebraico. L'operato sterile di Obama degli ultimi tre anni e mezzo riguardo a Israele su argomenti come i palestinesi e l'Iran conduce a questa conclusione; ma porta anche ad essa quanto sappiamo della sua condotta e delle sue frequentazioni prima che fosse eletto senatore nel 2004, in particolare i suoi legami con gli antisionisti radicali. Ad esempio, nel maggio 1998, Obama ascoltava attentamente le parole di Edward Said e se ne stava tranquillamente seduto a una festa di addio organizzata nel 2003 per l'ex agente pubblicitario dell'Olp Rashid Khalidi mentre Israele era accusato di terrorismo contro i palestinesi. (Al contrario, Romney è amico di Binyamin Netanyahu dal 1976).
È alquanto eloquente anche ciò che ha scritto Ali Abunimah, un estremista contrario a Israele che risiede a Chicago, sulla sua ultima conversazione avuta con Obama all'inizio del 2004, quando quest'ultimo si trovava nel bel mezzo di una corsa alle primarie democratiche per il Senato Usa.
Abunimah ha scritto che Obama lo salutò calorosamente e poi aggiunse:
«Ehi, mi dispiace di non aver detto più nulla sulla Palestina in questo momento, ma siamo in una dura corsa elettorale. Quando le cose si calmeranno, spero di poter essere più esplicito».
E ancora, facendo riferimento agli attacchi sferrati da Abunimah contro Israele nelle pagine del Chicago Tribune e altrove, Obama lo ha incoraggiato dicendo: «Continua così!»
Se si colloca questo nel contesto di ciò che Obama ha detto a microfoni spenti al presidente russo Dmitry Medvedev ancora in carica nel marzo 2012 («Questa è la mia ultima elezione. E dopo la mia elezione avrò più flessibilità») e dell'antipatia mostrata pubblicamente da Obama per Netanyahu, sarebbe saggio presumere che, se Obama vincesse le presidenziali del prossimo 6 novembre, le cose "si calmeranno" per lui e finalmente potrà "essere più esplicito" sulla cosiddetta Palestina. E allora i guai per Israele avranno realmente inizio.
Il Foglio-Editoriale:" Gerusalemme capitale"

La mancata citazione di Gerusalemme come città indivisibile e capitale di Israele nella piattaforma del Partito democratico americano è stata “imbarazzante” per lo stratega democrat Paul Begala, un “errore tecnico” per il capo del partito, Debbie Wasserman Schultz, “infelice” per uno dei leader della commissione che redige il programma, Cory Booker e sostanzialmente ininfluente per il sindaco di Chicago, Rahm Emanuel, che tanto, dice, non ha mai letto una piattaforma in vita sua. Ma la linea del Partito democratico su Gerusalemme è chiara da tempo (nel 2008 il riferimento era esplicito) e il fatto che il Congresso in carica sia uno dei più filoisraeliani della storia americana ha reso ancora più imbarazzante la rettifica – con la quale è stato fatto rientrare anche Dio, già che c’era – ordinata, stando alle fonti, dallo stesso Obama, il quale ha fatto smentire di avere avuto un ruolo nell’operazione da una portavoce della campagna. Il presidente, ha detto lei, non aveva mai approvato la piattaforma, dunque non si tratta di un goffo emendamento in corsa, ma di una svista all’origine; così appare appena più verosimile la versione dell’ex governatore dell’Ohio Ted Strickland, che presiede la commissione che verga il documento: è stata una “chiarificazione”, non un errore. Il pasticcio combinato nei corridoi democratici è perfettamente rappresentato dalla faccia di Antonio Villaraigosa, master of ceremonies della convention di Charlotte, al quale è toccato il compito di proporre ai delegati un’improbabile votazione per acclamazione e di proclamare un’ancora più improbabile approvazione da parte dei due terzi degli astanti, fra i “buuu!” non solo degli scettici su Israele ma anche degli offesi per una così plateale presa in giro procedurale. Il siparietto tragicomico contiene una doppia assurdità. Innanzitutto, l’idea di eliminare surrettiziamente un punto assodato nella linea del partito, e ripetuto in ogni salsa, è almeno balzana, soprattutto se si considera il sostegno a Israele negli ambienti democratici. In seconda battuta, la riabilitazione tardiva di Gerusalemme confligge con la posizione dell’Amministrazione Obama, che lascia alle parti in causa il compito di decidere. Una cosa è la piattaforma del partito, un’altra è la politica sul campo, ma a Charlotte i piani si sono confusi, con esiti imbarazzanti per Obama.
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