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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - La Repubblica Rassegna Stampa
02.09.2012 Siria: Saad Hariri arma i ribelli
entro 72 ore attaccheranno agli aeroporti per bloccare le armi per Assad

Testata:Corriere della Sera - La Repubblica
Autore: Lorenzo Cremonesi - Pietro Del Re
Titolo: «Così Hariri Jr arma i ribelli siriani per vendicare suo padre - Siria, l’ultimatum dei ribelli: attaccheremo gli aeroporti civili»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 02/09/2012, a pag. 19, l'articolo di Lorenzo Cremonesi dal titolo " Così Hariri Jr arma i ribelli siriani per vendicare suo padre ". Da REPUBBLICA, a pag. 12, l'articolo di Pietro Del Re dal titolo " Siria, l’ultimatum dei ribelli: attaccheremo gli aeroporti civili ".

Invitiamo a leggere la dichiarazione di Fiamma Nirenstein, pubblicata in altra pagina della rassegna.
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=223&sez=120&id=45898
Ecco i pezzi:

CORRIERE della SERA - Lorenzo Cremonesi : " Così Hariri Jr arma i ribelli siriani per vendicare suo padre "


Lorenzo Cremonesi             Saad Hariri

OTHMAN (Siria settentrionale) — Il carico più recente di armi e munizioni per la guerriglia siriana firmato Saad Hariri è arrivato meno di dieci giorni fa nei pressi di questo piccolo villaggio posto a tre chilometri dal confine con la Turchia. Un paio di camioncini carichi di proiettili per Kalashnikov, bombe anti-carro e soprattutto di ricercatissimi missili terra-aria Stinger hanno attraversato nella notte la frontiera su tratturi tra gli ulivi ben noti ai contrabbandieri.
A nord i militari turchi chiudono un occhio. L'unica richiesta è che il materiale sia consegnato in territorio siriano. «I camion trasportavano armi destinate a diverse brigate operanti a nord-ovest di Aleppo. Soprattutto per Jamal Maruf, il comandante della brigata Shuhada Jebel Al Zawiah e per le nostre brigate della cittadina di Eriha. Per noi in particolare sono arrivati 25.000 proiettili di Kalashnikov e 30 ogive Rpg anti-tank. Alcune brigate scelte hanno però ricevuto i nuovi Stinger cosiddetti a due teste, molto efficienti perché tirano due missili, il primo viene deviato dalle cariche di calore sparate da aerei ed elicotteri, ma il secondo va diritto sull'obiettivo», spiega Nahel Ghadri, leader della resistenza a Eriha da pochi giorni espatriato nella cittadina turca di Antakia.
Possiamo chiamarla la vendetta del 42enne Saad Hariri contro gli assassini di suo padre Rafiq, a Beirut nel febbraio 2005. È da allora che la sua frustrazione non ha pace. Agli intimi non ha mai nascosto la profonda convinzione che i mandanti si trovino a Damasco. Rafiq Hariri è stato il ricchissimo uomo d'affari sunnita, legato all'Arabia Saudita, che sin dagli anni Novanta seppe creare il nuovo Libano indipendente dalle ceneri della guerra civile. Dopo la sua morte, Saad ha ereditato una fortuna di famiglia pari a 4,1 miliardi di dollari (è quotato come il 522esimo uomo più ricco al mondo) e soprattutto ha abbandonato la lussuosa residenza a Riad per venire catapultato nel cuore della complicata politica libanese.
Considerato troppo inesperto per contrastare efficacemente le aspirazioni egemoniche di Damasco e la milizia armata sciita dell'Hezbollah filo iraniano, nel giugno 2009 Saad ha infine vinto le elezioni diventando premier. Già cinque mesi dopo le pressioni minacciose siro-sciite lo costringevano però a varare una coalizione di unità nazionale. «Che posso farci se devo accettare di coesistere con gli assassini di mio padre? Per il momento i miei doveri politici di premier devono prevalere sui sentimenti privati», spiegava ufficiosamente a chi lo criticava per le sue intese con Hezbollah.
Il 12 gennaio 2011 però il suo governo cadeva proprio sulla questione della collaborazione con l'inchiesta internazionale volta a individuare i responsabili della morte di Rafiq Hariri. E dal giugno 2011 il Libano ha un nuovo primo ministro: Najib Mikat. Saad è dunque libero di rilanciare i propri obiettivi personali e di esponente sunnita libanese. Sempre a detta di diversi militanti della resistenza siriana incontrati nella zona di Aleppo, i suoi aiuti sono tra i più puntuali e meglio organizzati. Da alcune settimane è tra l'altro ancorata nel porto turco di Mersin una nave cargo con 4.500 tonnellate di materiali (cibo, medicine, ma «anche altro») pagati in contanti da Beirut e destinate ai ribelli. I capi delle varie brigate vedono regolarmente l'inviato di Hariri, sembra sia uno sciita libanese suo fedelissimo, nel grande e lussuoso hotel Ottoman Palace, una ventina di chilometri da Antakia. I suoi ultimi carichi di armi avrebbero aiutato a sostenere i combattimenti nel cuore di Aleppo. Sarebbe l'arrivo recente dei nuovi Stinger a spiegare anche l'abbattimento di alcuni elicotteri e almeno due Mig lealisti da parte dei ribelli nelle ultime settimane.
Questi aiuti si sommano a quelli considerevoli inviati soprattutto da Qatar, Arabia Saudita e Libia. Difficile stabilire i quantitativi e le qualità degli armamenti. Secondo i ribelli di Eriha (la città tra l'altro è stata nuovamente perduta dai lealisti cinque giorni fa), tra i più generosi sarebbero gli esponenti del nuovo governo libico che avrebbero donato quasi 300 milioni di dollari, ma recentemente si sarebbero fermati a causa delle divisioni interne alla resistenza siriana. Dall'Arabia Saudita in 18 mesi sarebbero inoltre giunti aiuti per 500 milioni di dollari. Negli ultimi tempi il Congresso Nazionale Siriano, il gruppo più noto dell'opposizione, ha cercato di istituzionalizzare i contatti con i donatori nel piccolo e discreto hotel e tre stelle Gonen, sulla via dell'aeroporto di Istanbul. Ma non mancano i problemi. «Se non riusciremo a coordinare al più presto la distribuzione di armi e aiuti di ogni genere alle varie brigate rischiamo di fomentare le gelosie e persino le guerre interne», ci confessa il 28enne Khaled Abu Salah, nuovo portavoce del Congresso.
Per i ribelli però i contatti con l'emissario di Hariri sono vitali. Commenta Ghadri: «Per noi le armi sono importantissime. Prima arrivano meglio è. Non importa chi e come le manda».

La REPUBBLICA - Pietro Del Re : " Siria, l’ultimatum dei ribelli: attaccheremo gli aeroporti civili "

I ribelli dell’Esercito siriano libero (Esl) hanno lanciato un ultimatum alle poche compagnie aeree che ancora volano su Damasco e Aleppo, prima di dare l’assalto agli aeroporti civili delle due città. La notizie proviene da un network russo, e precisa che l’ultimatum di 72 ore è scattato ieri sera. «Il regime criminale siriano usa gli aeroporti civili per il decollo e l’atterraggio degli aerei da combattimento », afferma un portavoce dell’Esl citato da Russia Today. Secondo l’emittente russa, che è vicina al regime del presidente Bashar Al Assad, e per questo è stata criticata dalla Commissione Onu sulle stragi di civili nel Paese per alcuni suoi resoconti orientati a incolpare i ribelli dei massacri, «i ribelli sono convinti che il regime sia stato costretto a usare gli scali civili dopo gli attacchi agli aeroporti militari di Abu Dhuhur, nella provincia di Idlib, e quello di Rasmi al-Aboud nei pressi di Aleppo ». Al momento, a Damasco risultano ancora attive la Syrian Air, la Air Arabia, la Egyptair, la Ethiopian Airlines, la Sudan Airlines e la Emirates. L’ultima compagnia internazionale a ritirarsi è stata la Etihad Airways, degli Emirati Arabi Uniti, che ha sospeso i voli due giorni fa. I siti di monitoraggio sugli armamenti mondiali stimano che il regime di Damasco disponga di almeno 441 Mig di vario genere, alcuni di ultima generazione, 4.707 missili terra-aria e circa 200 elicotteri da combattimento. A questi bisogna aggiungere un numero imprecisato di bombardieri e intercettori. E’ dunque poca cosa il magro bottino di guerra — due o tre caccia distrutti, qualche mitragliatore sequestrato ai lealisti — che gli insorti hanno mostrato in questi giorni. Intanto, secondo Patrick Mc-Cormick dell’Unicef, la settimana passata è la «più sanguinosa dall’inizio della rivolta in Siria, 18 mesi fa, con 1.600 morti tra i quali molti bambini». Nel Paese, gli sfollati hanno raggiunto quota 1,2 milioni di persone, 150.000 dei quali a Damasco e nei suoi sobborghi. La metà di questi è sotto ai 18 anni. Secondo l’Unicef, in Siria e nella regione si sta verificando «una delle emergenze umanitarie più gravi degli ultimi decenni» a livello mondiale. E mentre alcuni quartieri di Damasco della capitale sono dalla serata nuovamente sotto pesanti bombardamenti dell’artiglieria e dell’aviazione governativa, ieri sono stati 89 i siriani uccisi in diverse località del Paese.

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