Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 01/09/2012, a pag. 19, l'articolo di Francesco Semprini dal titolo "Siria, dall’Onu allarme-sfollati: “Niente fondi, bimbi a rischio” " . Dal CORRIERE della SERA, a pag. 56, l'articolo di Lorenzo Cremonesi dal titolo " Se mancano le parole per raccontare la tragedia quotidiana della Siria ".
Ecco i pezzi:
La STAMPA - Francesco Semprini : " Siria, dall’Onu allarme-sfollati: “Niente fondi, bimbi a rischio” "

Bashar al Assad guarda un ritratto del padre e, mentre un ribelle lo minaccia con un bastone, gli dice : "Papà, a te l'hanno fatta più semplice"
L’ emorragia umana dalla Siria, la saturazione dei Paesi confinanti, l’inferno di Za’atari, il paradosso sirio-iracheno. E lo strutturale immobilismo della comunità internazionale. I numeri vengono aggiornati di minuto in minuto sul sito Internet dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, a conferma della drammaticità in divenire della situazione siriana. E negli ultimi giorni l’esodo si è intensificato in seguito all’inasprirsi dei combattimenti tra le forze di Bashar al-Assad e gli insorti. I rifugiati siriani giunti nei Paesi confinanti - secondo l’Unhcr - sono circa 230 mila, ma in realtà il bilancio è più pesante visto che non tutti si sottopongono alle procedure di registrazione. A questi si aggiungono oltre un milione e mezzo di sfollati che si trovano entro i confini siriani. «Circa il 75% dei rifugiati sono donne e bambini. Per la maggior parte di loro la sopravvivenza dipende dagli aiuti umanitari - spiega il Coordinatore regionale dell’Unhcr per i rifugiati siriani, Panos Moutmtzis -. Molti sono già stati sfollati cinque o sei volte all’interno della Siria prima di fuggire e spesso giungono estremamente provati».
Un dossier drammatico presentato giovedì dall'Alto commissario per i rifugiati, Antonio Guterres, alla riunione a livello ministeriale del Consiglio di Sicurezza che si è tenuta all'Onu proprio per affrontare il nodo dell'emergenza umanitaria. E a cui non si riesce a dare una risposta adeguata. Le Nazioni Unite hanno rivolto un appello ai Paesi donatori per far fronte ai 193 milioni di dollari necessari a gestire la situazione dei Paesi confinanti ma per adesso ne sono stati raccolti appena la metà. Per questo Unhcr ha lanciato ieri la campagna «Ishtar ha bisogno di te», dal nome di un piccolo rifugiato siriano.
«Con 12 euro si può acquistare il cibo terapeutico di cui migliaia di bambini come Ishtar hanno bisogno per sopravvivere», è il principio seguito da Unhcr. Una forma di micro-finanziamento per impedire che l’onere degli aiuti ricada tutto sulle Nazioni direttamente coinvolte nella regione. Per garantire un accoglienza dignitosa a persone che versano in condizioni di disperazione e che, con pochi soldi e senza prospettive, potrebbero in alternativa abbandonare la regione e intraprendere improbabili viaggi della speranza mettendosi alla mercé di uomini senza scrupoli. E questo perché all'intensificarsi dell’emorragia umana si moltiplicano i problemi. In Turchia e Libano per esempio, dove in tutto ci sono oltre 134 mila rifugiati, la riapertura delle scuole trasformate in centri di accoglienza, impone un trasferimento forzato, nei campi già saturi o in nuovi edifici, ma per costruirli servono fondi.
C’è poi il dramma del campo di Za'atari, un delirio di precarietà. Vi alloggiano 23.400 persone, delle 72.400 arrivate dall’inizio della guerra, e l’Unhcr e le altre organizzazioni lottano contro il tempo per ampliare il campo e rispondere ai bisogni più urgenti. Infine c’è il paradosso sirio-iracheno: circa 31 mila iracheni che si erano rifugiati in Siria, Paese tradizionalmente dai confini aperti, ripercorrono a ritroso il loro cammino di fuga. Assieme a 18.500 siriani. Infine c’è il milione e mezzo di sfollati che rischiano lo sgombero dagli edifici pubblici delle grandi città e per i quali l’Onu chiede altri aiuti. Anche di loro si è parlato alla ministeriale Onu, in particolare sull’ipotesi di creare «zone cuscinetto» all’interno della Siria.
Ma tra i membri permanenti c’è il solito dissenso. Il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, e il collega britannico, William Hague, non escludono un’azione militare per proteggere le «buffer zone», e «per questo si tratta - dicono - di un’ipotesi da valutare con attenzione». L’ambasciatore russo all'Onu, Vitaly Churkin, ne parla invece come di «strada giusta per giungere a un conflitto internazionale». Per alcuni osservatori l'alternativa è agire senza il cappello Onu come accadde in Kosovo nel 1999. Ma l’ipotesi delle zone cuscinetto sembra lasciar perplesso anche Guterres secondo cui «deve essere tutelato il diritto di cercare asilo così come prevede il diritto internazionale».
CORRIERE della SERA - Lorenzo Cremonesi : " Se mancano le parole per raccontare la tragedia quotidiana della Siria "

Arriva un momento in cui anche il massacro più efferato non fa più notizia. La ripetitività dell'orrore rende difficile continuare a raccontarlo, lo banalizza. Mancano le parole. Gli eccidi, le torture, le fosse comuni, le devastazioni diventano una lunga serie di incubi apparentemente sempre eguali. Così sta succedendo per la guerra civile siriana. Qui la spirale delle violenze negli ultimi 18 mesi ricorda per molti aspetti tragedie relativamente recenti: i 15 anni della guerra civile libanese (1975-1990); le continue vampate di guerra in Afghanistan e Pakistan; il periodo sanguinoso del terrorismo tra sciiti e sunniti nell'Iraq 2005-2008 (e in realtà ancora attivo a tratti). Due giorni fa i colleghi di Al Jazeera incontrati in Siria mentre stavano uscendo dalla Aleppo devastata dai combattimenti ripetevano un motto ben noto ai giornalisti di guerra: «Siamo qui a rischiare la vita da settimane. Ma in verità le nostre storie non sono più interessanti per nessuno. Meglio uscire e attendere una nuova fase nei combattimenti». Un po' come racconta Thomas Friedman, celebre giornalista del New York Times, nelle sue memorie di quando decise di abbandonare la Beirut devastata: «La mia casa era stata appena colpita. Ma al giornale mi dissero che non se ne faceva una riga. Era solo l'ennesima bomba». Persino le vittime diventano più indifferenti. Arrivi nei villaggi della guerriglia siriana e anche i ragazzini ti mostrano sui loro telefonini i video dei cadaveri di fratelli, amici, genitori orribilmente mutilati. Tre giorni fa nella città di Azaz un quindicenne aveva sul suo portatile le immagini del padre sgozzato. Una donna quelle dei pezzi del corpo della figlia ventenne apparentemente tagliata a metà con una sega elettrica dopo essere stata violentata dai soldati di Bashar Assad. Un disertore passato con i ribelli mostrava invece a chiunque due compagni decapitati sempre con la sega elettrica. È la banalità del male, il grigiore nauseante delle stragi a ripetizione. Tanto grave quanto impossibile da rendere sempre attuale e con parole sempre nuove.
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