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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio Rassegna Stampa
31.08.2012 Robert Fisk si beve e diffonde la propaganda di Bashar al Assad
tramite Indipendent e Repubblica. Cronaca di Daniele Raineri

Testata: Il Foglio
Data: 31 agosto 2012
Pagina: 1
Autore: Daniele Raineri
Titolo: «La bufala di Robert Fisk sul massacro di Daraya è un altro trucco di Assad»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 31/08/2012, a pag. 1-4, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo "La bufala di Robert Fisk sul massacro di Daraya è un altro trucco di Assad".


Robert Fisk                          Bashar al Assad


Daniele Raineri

Ecco come Robert Fisk, una delle star della stampa di sinistra inglese, sempre pronto a scrivere contro Israele, s'è bevuto la propaganda di Assad e l'ha diffusa nei suoi pezzi, ripresi da Repubblica.
Ci ricorda un po' la storia di Alix Van Buren, con i suoi articoli che uscivano direttamente dall'ufficio stampa del satrapo siriano (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=9&sez=120&id=43400).
C'è qualcosa che non va al quotidiano di proprietà di Carlo De Benedetti e diretto da Ezio Mauro ? Pare che si beva un po' troppo le fonti ufficiali del regime siriano...
Ecco il pezzo:

Roma. Sei giorni fa gli abitanti di Daraya, un sobborgo di Damasco, sono stati massacrati e i loro corpi sono stati abbandonati nelle strade, dentro le case e all’interno di una moschea. Il numero dei morti trovati non è ancora definitivo ma è superiore a 300, e per ora Daraya è l’episodio più atroce della guerra civile in Siria. Due giorni fa il reporter inglese Robert Fisk ha pubblicato sull’Independent un reportage – tradotto e ripubblicato ieri da Repubblica – in cui attribuisce la colpa della strage ai ribelli siriani. In questo momento il giornalista è embedded con le truppe siriane, quindi in una posizione unica come testimone . “Le donne e gli uomini a cui ho potuto parlare, due dei quali avevano perduto dei congiunti nel giorno dell’infamia a Daraya, cinque giorni fa, hanno raccontato una storia diversa da quella che si sente in tutto il mondo”, scrive Fisk. Il massacro sarebbe seguito a negoziati finiti male per lo scambio di prigionieri tra esercito e ribelli. Un uomo dice al giornalista che le vittime sono persone legate al regime, “anche se ammette di non avere visto di persona i morti”.
Due racconti di Fisk in particolare sono toccanti. Khaled Yahia Zukari scappa dalla città a bordo di un minibus con la moglie, Masreen, e la figlioletta di sette mesi, ma finiscono tutti sotto il fuoco delle armi. Moglie e figlia muoiono colpite dalle pallottole. Hamdi Khreitem riceve la telefonata impietrita della madre: “Era stata ferita al braccio e al petto. Mio papà era morto, ma non so dove sia stato colpito o chi lo abbia ucciso”. I ribelli locali riuniti nel Comitato di coordinamento di Daraya smentiscono punto per punto l’articolo del giornalista inglese. “In apparenza la forza del reportage di Fisk è che cita persone reali con nomi veri. Noi li abbiamo contattati. Un nostro testimone era sul minibus assieme con Khaled Yahia Zukari, l’esercito regolare ha sparato contro di loro, e la moglie e la figlia (Leen: aggiungono il nome) sono state colpite. La testa della figlia era quasi divisa a metà e il proiettile è entrato nel petto della madre, che è diventata isterica per lo choc. E’ morta più tardi, all’ospedale da campo, da cui siamo tutti fuggiti prima del rastrellamento”.
I genitori di Hamdi Khreitem sono stati colpiti dal fuoco mirato di un cecchino e portati anche loro a un ospedale da campo dei ribelli. “Il cecchino era ovviamente dei soldati di Assad. Khreitem dev’essere troppo spaventato per accusare i soldati della morte del padre”. Fisk sostiene di avere parlato “fuori dalla portata delle orecchie degli ufficiali siriani” che lo accompagnano nel suo reportage. Ma il compito specifico della scorta del governo, come sa ogni giornalista che ha ottenuto un visto d’accesso al paese, è esattamente quello di controllare chi parla e cosa dice agli inviati stranieri. Fisk è il decano del giornalismo in medio oriente (ha 66 anni) e gode sui media – anche italiani – di uno prestigio che trascende il suo lavoro: è diventato una fonte alternativa di verità. Ma troppe inesattezze contenute negli articoli e gli scoop fortissimi ottenuti grazie a fonti inverificabili che parlano soltanto con lui gli attirano addosso plotoni di critici. Vale la pena di aprire una parentesi egiziana: il suo ultimo pezzo dal Cairo sosteneva che in realtà i Fratelli musulmani hanno perso le elezioni, ma sono in combutta con i generali: “Una volpe con una coda folta e fulva mi ha detto che…”.
E’ stato anche creato il termine “fisking”, che è la disamina critica punto per punto degli articoli, come ha fatto ieri il Comitato locale di Daraya. L’attacco al sobborgo ribelle di Damasco ha seguito lo stesso schema di stragi precedenti in altre località siriane, come Houla e Tremseh. Prima i soldati circondano la zona, tagliano le comunicazioni (telefono e Internet) e l’elettricità, colpiscono con un bombardamento indiscriminato. Poi arrivano gli squadroni della morte, che passano di casa in casa e puniscono i civili con uccisioni sommarie per il loro appoggio ai ribelli. Damasco ha un interesse a punire i civili nelle aree fuori dal suo controllo, gli oppositori no. C’è anche una differenza sostanziale nel trattamento degli inviati: il governo nega l’accesso alla stragrande maggioranza dei giornalisti internazionali e ha scelto il solo Fisk perché racconti la guerra vista dalla parte dell’esercito (con molti angoli ciechi: il generale che comanda le operazioni ad Aleppo ha risposto alle domande di Fisk ma non gli ha voluto dire il suo nome).
I ribelli invece proteggono gli inviati stranieri. Il governo è impegnato in un’operazione di propaganda. Lunedì il sito di Amnesty International è stato violato con un falso report che accusava i ribelli di crimini di guerra, una cosa che è già successa al sito della Reuters nei mesi scorsi. La tv di regime, Addounia, ha trasmesso da Daraya un servizio toccante sulla strage compiuta “dai terroristi stranieri”, con interviste a siriani che ringraziavano i soldati per averli salvati dalla violenza. Dopo il massacro di Houla il corrispondente dell’autorevole quotidiano tedesco Faz fu convinto da fonti nella capitale siriana che le vittime erano state uccise perché legate al governo (quindi i carnefici erano i ribelli).
Ma la rivista Spiegel, con un controscoop, trovò l’ufficiale defezionista, il colonnello Mohammed Tayyib Baqur, a cui il 28 maggio il governo affidò l’incarico di scovare abitanti poveri della zona di Houla e di corromperli per sostenere la versione del governo.

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