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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - Il Foglio Rassegna Stampa
29.08.2012 Mahmoud Ahmadinejad parla di pace, ma poi fornisce armi al dittatore siriano
Cronaca di Cecilia Zecchinelli, commento di Pio Pompa

Testata:Corriere della Sera - Il Foglio
Autore: Cecilia Zecchinelli - Pio Pompa
Titolo: «L'Iran parla di pace mentre arma Damasco - Il destino di Assad sarà deciso dal patto tra sauditi e iraniani»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 29/08/2012, a pag. 17, l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo " L'Iran parla di pace mentre arma Damasco ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'articolo di Pio Pompa dal titolo " Il destino di Assad sarà deciso dal patto tra sauditi e iraniani ".
Ecco i pezzi:

CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : " L'Iran parla di pace mentre arma Damasco "

TEHERAN — Nell'immenso centro congressi a nord di Teheran, blindato da migliaia di soldati e agenti mentre la città è semideserta per la lunga «vacanza» decisa dal regime, i due bambini di Dariush Rezainejad ieri hanno offerto fiori ai delegati del 16° Summit del movimento dei non allineati. Lo scienziato nucleare e tre suoi colleghi sono stati uccisi negli ultimi anni da «attentati terroristici per mano di forze sioniste». Le loro auto semidistrutte sono esposte all'esterno: simbolo delle «persecuzioni inflitte dall'Occidente arrogante». Il logo dell'incontro è una colomba, lo slogan è «pace duratura con una governance globale condivisa». Condivisa, è la speranza di Teheran, tra i 120 Paesi dell'organismo creato negli anni 60 da Tito, Nasser e Nehru, poi dimenticato. Chi sa che negli ultimi tre anni ne era presidente l'Egitto? Ma ora è diverso. Nel nome della «pace» Teheran, che guiderà il gruppo fino al 2015, sfida l'isolamento voluto dall'Occidente per il nucleare e per il ruolo politico e militare ora in Siria, a fianco dell'amico Assad, già prima come sponsor di Hezbollah e di Hamas. Di «pace» si parla molto a questo summit, ieri e oggi dedicato ai ministri e domani e venerdì ai livelli massimi con una trentina di leader nonché il capo dell'Onu Ban Ki-moon, presente nonostante il dissenso degli Usa. Ci saranno Morsi, primo raìs egiziano in Iran dal 1979, il premier indiano Singh, gli emiri di Kuwait e Qatar, il sudanese «ricercato» Al Bashir, tantissimi altri. A loro la guida suprema Khamenei domani chiederà, si prevede, l'unione per un mondo non dominato dall'Occidente e da Israele, per il diritto al nucleare pacifico e la scomparsa di ogni ordigno atomico entro il 2025, per arrivare, appunto, alla pace. Ma la parola suona paradossale mentre i venti di guerra si rafforzano intorno. La guerra ventilata da Israele, quella già in atto in Siria dove l'Iran avrebbe migliaia di uomini. Morsi rilancerà un suo piano di pace che comprenda l'Iran ma le posizioni, anche solo tra quest'ultimo e il Cairo, sono troppo distanti. Sarà, anzi è già, un successo diplomatico per Teheran questo «incontro storico» che rompe di fatto l'embargo delle diplomazie. Ma la pace, purtroppo, sembra proprio un obiettivo lontano.

Il FOGLIO - Pio Pompa : " Il destino di Assad sarà deciso dal patto tra sauditi e iraniani "


Pio Pompa

Ormai – confida al Foglio una fonte d’intelligence araba – “sul dossier dell’atomica iraniana è inutile insistere. Dobbiamo rassegnarci all’idea di un Iran in versione di potenza nucleare. D’altro canto, l’ordine impartito ai servizi segreti sauditi dal nuovo direttore – il principe Bandar bin Sultan – di concentrare ogni sforzo nel contribuire alla risoluzione della crisi siriana evitando accuratamente di entrare in rotta di collisione con Teheran, non lascia alcun dubbio sul fatto che qualcosa di profondo stia mutando negli equilibri mediorientali”. Ciò non significa che il dossier iraniano non sia ancora quello più importante, anche se si dà per scontato il successo del programma atomico sostenuto e difeso a ogni costo dalla Repubblica islamica guidata dagli ayatollah. Il fatto grave è che un simile convincimento, drammatico per le sorti d’Israele, sia ormai condiviso dalla maggior parte dei servizi occidentali. “Tant’è – aggiunge il nostro interlocutore – che molti di essi hanno operato una scelta simile a quella adottata da Riad nei confronti di Teheran. Sostanzialmente, si tratta di porre al primo posto il cambio di regime in Siria mantenendo contestualmente aperti, sul versante iraniano, gli spazi per la diplomazia”. Ecco perché non ha destato scalpore la notizia secondo cui nelle ultime settimane il principe ereditario saudita, Salman bin Abdul Aziz, avrebbe avviato dei negoziati con l’Iran riguardanti, da un lato, il perfezionamento di un patto di non aggressione e dall’altro intese bilaterali di cooperazione in riferimento alla questione siriana e al destino di Bashar el Assad. Si profilerebbe, inoltre, un nuovo corso nelle relazioni tra Arabia Saudita, Egitto e Iran con la mediazione segretissima del Qatar che il nostro interlocutore definisce “un’appendice del dipartimento di stato americano”. Sul dossier iraniano, sia Riad sia il Cairo hanno rotto gli indugi correndo ai ripari attraverso scelte in grado di ridisegnare complessivamente alleanze tattiche e strategiche, come i rapporti con Mosca e Pechino, che non escludono la grave prospettiva di una progressiva nuclearizzazione dell’intero medio oriente. A quel punto nessuno sarà in grado di garantire la sicurezza e la sopravvivenza dello stato d’Israele che appare, ogni giorno di più, isolato. “Siamo convinti – continua la fonte d’intelligence araba – che l’incontro tra Barack Obama e il premier israeliano, Bibi Netanyahu, fissato a New York per il 27 settembre, si risolverà in un nulla di fatto con formule interlocutorie che rinvieranno il tutto a dopo le elezioni presidenziali del 6 novembre. Di contro, quando ancora ci fidavamo di loro, furono gli Stati Uniti a chiederci, nel giugno scorso, di eliminare Assad. Cosa che sarebbe puntualmente avvenuta il 18 del mese successivo, giorno dell’attentato di Damasco che colpì i suoi più stretti e fidati collaboratori, se qualcuno, volutamente, non l’avesse trattenuto al telefono salvandogli la vita”.

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