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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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La Stampa - Il Giornale - La Repubblica Rassegna Stampa
23.08.2012 Siria, il conflitto si estende al Libano
cronache di Maurizio Molinari, Gian Micalessin. Commento di Giulio Terzi

Testata:La Stampa - Il Giornale - La Repubblica
Autore: Maurizio Molinari - Gian Micalessin - Giulio Terzi
Titolo: «La guerra in Siria si combatte anche in Libano - La Casa Bianca aggressiva in Siria per frenare Israele - Aiuti umanitari e mediazione politica così stiamo costruendo il dopo-Assad»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 23/08/2012, a pag. 12, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " La guerra in Siria si combatte anche in Libano ". Dal GIORNALE, a pag. 13, l'articolo di Gian Micalessin dal titolo " La Casa Bianca aggressiva in Siria per frenare Israele ", preceduto dal nostro commento. Da REPUBBLICA, a pag. 13, l'articolo di Giulio Terzi, ministro degli Esteri italiano, dal titolo " Aiuti umanitari e mediazione politica così stiamo costruendo il dopo-Assad ", preceduto dal nostro commento.
Ecco i pezzi:

La STAMPA - Maurizio Molinari : " La guerra in Siria si combatte anche in Libano "


Maurizio Molinari

«Gli scontri in Libano fra i sostenitori di Bashar Assad e le forze ribelli evidenziano la necessità di un’azione internazionale»: l’allarme per il contagio delle violenze armate dalla Siria al Paese dei Cedri viene da Jeffrey Feldman, sottosegretario dell’Onu per gli Affari Politici, intervenendo ad una seduta del Consiglio di Sicurezza con una relazione sulle violenze in corso a Tripoli, dove ieri vi sono state altre dieci vittime nelle stesse ore in cui alla periferia di Damasco i tank andavano all’assalto dei rivoltosi causando almeno 40 morti.

La dinamica del contagio della guerra civile dalla Siria al Libano segue tre binari paralleli. Il primo è quello dei rapimenti: il 15 agosto una fazione sciita libanese, alleata di Damasco, ha sequestrato almeno venti sunniti siriani espatriati con un gesto di ritorsione contro l’azione dei ribelli che, pochi giorni prima, dentro i confini siriani avevano catturato una dozzina di «pellegrini sciiti libanesi» rivelatisi poi, in almeno cinque casi, miliziani dei pasdaran e di Hezbollah inviati da Teheran per sostenere la repressione del regime di Assad. Entrambi i sequestri di ostaggi sono ancora in corso, indicando un braccio di ferro in atto fra sciiti e sunniti nei due Paesi, così come resta aperta l’indagine senza precedenti della polizia di Beirut su un leader cristiano molto vicino a Damasco. Questo è il secondo fronte di contagio, la cui rilevanza è legata al personaggio in questione ovvero Michel Samaha, ex ministro del Lavoro appartenente al partito falangista cristiano rivelatosi dall’indomani della fine della guerra civile nel 1991 uno dei più importanti alleati politici di Damasco nei governi libanesi. Samaha è stato arrestato, all’inizio del mese, dalle forze di sicurezza libanesi mentre tornava dalla Siria in un’auto con a bordo ingenti quantitativi di esplosivi destinati, secondo le accuse formulate, a compiere attentati contro gli oppositori di Assad nell’area di Akkar, nel Nord del Paese. Gli ordigni erano simili ad altri usati in passato per colpire esponenti anti-siriani e l’arresto apre così un fronte di crisi fra i due governi, finora considerati stretti alleati. Non si può escludere che le forze libanesi siano intervenute contro Samaha nel

tentativo di fermare la spirale di violenze nel Nord, con epicentro a Tripoli, che vede gruppi di siriani sunniti sostenitori dei ribelli battersi contro tribù alawite, ovvero della stessa minoranza etnica a cui appartengono gli Assad. Lo scenario di un conflitto che oppone Hezbollah sciiti e tribù alawite ai sunniti minaccia di riaprire in Libano le ferite della guerra civile con l’aggravante del terzo binario del «contagio siriano» che ha a che vedere con il ruolo di Arabia Saudita e Qatar, i due Paesi della Lega Araba più esposti nel sostegno ai ribelli che si propongono di rovesciare il regime del Baath a Damasco. Tanto Riad che Doha, infatti, hanno deciso di far rientrare in gran fretta numerosi connazionali residenti in Libano nel timore di sequestri e violenze ai loro danni, dimostrando sfiducia nei confronti delle forze libanesi considerate infiltrate dagli agenti siriani. Per David Schenker, l’ex consigliere del Pentagono sul Medio Oriente oggi in forza al «Washington Institute» il Libano si trova al bivio fra una «guerra etnica» combattuta nelle strade e una «guerra fredda» fra le maggiori potenze arabe, con Teheran e Riad alla guida di opposte coalizioni ripetendo il duello strategico già in atto in Siria. È uno scenario confermato dalla decisione di Beirut di incriminare assieme a Samaha due alti militari siriani, con un inedito atto di aperta sfida al regime di Damasco.

Il GIORNALE - Gian Micalessin : " La Casa Bianca aggressiva in Siria per frenare Israele "


Gian Micalessin, Bashar al Assad

Sul Giornale di oggi, Micalessin riprende un'ipotesi già contenuta ieri in un pezzo di Udg (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=999920&sez=120&id=45750). Ipotesi che non ha nessun legame con qualsivoglia intenzione dell'amministrazione Usa. Obama non ha mai menzionato un probabile attacco alla Siria. Ha diffidato Assad dall'oltrepassare la 'linea rossa' con uso di armi chimiche. Come da queste dichiarazioni se ne possano trarre altre indicazioni ci sembra curioso.
Ecco comunque il pezzo di Micalessin, con un titolo che ne evidenzia solo una parte di contenuto, la prima e più fantasiosa:

Usar la politica estera e gli interventi militari come strumenti di campagna elettorale è una specialità di Barack Oba­ma. Nel 2008 promise una campagna af­ghana capace di riscattare le distrazioni dell'era Bush. Allora funzionò alla gran­de. Stavolta è molto più difficile. Tentar di cavalcare la guerra civile siriana o, peg­gio, la minaccia iraniana è come correr sul filo del rasoio. Temporeggiare nella speranza di arrivar al voto senza decide­re rischia però di esser ancor più perico­loso. Anche perché prima di Obama po­trebbe decidere Bibì Nethanyau. E allo­ra sarebbero dolori. Un blitz israeliano sui siti nucleari iraniani alla vigilia del vo­to di novembre ri­schierebbe di compro­mettere la rielezione del presidente. L'ul­timo discorso di Obama, quello in cui la Casa Bianca ricorda che «gli Stati Uniti vi­gilano costantemente sulle scorte di ar­mi chimiche in Siria e qualunque uso o tentativo di proliferazione sarebbe un grave errore», va letto in questa chiave.
Una minaccia indirizzata al regime di Bashar Assad, ma formulata per far capi­re a Gerusalemme che nei programmi del presidente rientra- in caso di rielezio­ne - un intervento americano capace di garantire il cambio regime di Damasco. Un cambio di regime studiato per spez­zar­e l'asse tra Iran ed Hezbollah e toglie­re definitivamente l'iniziativa strategica a Teheran. In cambio Israele deve solo te­ner fermi i suoi aerei fino a novembre, fi­no alla rielezione di Obama. Anche l'ac­cenno alle armi chimiche sembra una rassicurazione rivolta a Gerusalemme, sempre più preoccupata per la sorte de­gli arsenali chimici. Nelle settimane scorse, i portavoce di Damasco, aveva­no confermato la presenza negli arsena­li governativi di armi non convenziona­li, ma avevano garantito la sicurezza dei depositi, sottolineando che non verran­no usate contro gli insorti.
Le sortite di Obama non mancano ov­viamente di preoccupare Damasco e i suoi alleati. «Questa storia ci ricorda l'Iraq, l'Occidente cerca solo una scusa per un intervento armato in Siria. Se que­sta scusa non funzionerà, ne troveranno altre» - ricorda Qadri Jamil il vicepre­mier siriano volato a Mosca per definire con gli «alleati» russi gli spazi per una trattativa capace di risolvere la guerra ci­vile. In quella trattativa non rientrano co­munque le ipotesi di un possibile addio al potere del presidente Bashar Assad. «Pretendere le sue dimissioni come con­dizione per il dialogo equivale ad esclu­dere qualsiasi possibilità dialogo » - chia­risce Jamil. E anche la Russia si schiera su questa linea. «Non ci devono essere in­terferenze dall'esterno…l'unica cosa che i paesi stranieri possono fare è crea­re le condizioni del dialogo » - aggiunge il ministro degli esteri russo, Sergei La­vrov, con un chiaro riferimento alle posi­zioni di Parigi, Londra e Washington.Di­chiarazioni dunque ben lontane dall'ac­contentare gli americani. «Niente di nuovo- commenta da Washington il por­tavoce del Dipartimento di Stato Usa, Victoria Nuland-. Noi pensiamo ancora che prima se ne andrà Assad e prima sa­rà possibile voltare pagina in Siria».
Ma intanto sul terreno la guerra non si arresta. Soltanto ieri gli scontri tra ribelli e governativi avrebbero causato almeno 77 morti. A Damasco le forze governati­ve continuano l’offensiva nel quartiere sud occidentale di Muaddamiya dove annunciano l'eliminazione di numerosi insorti. E intanto la violenza si estende anche al Libano: nel Nord, nella zona di Tripoli, sono scoppiati scontri tra alaui­ti, sostenitori di Assad, e sunniti, vicini ai ribelli. «Fermate questa battaglia assur­da », ha implorato il premier libanese Najab Mikati. Il bilancio è pesante: dieci morti e oltre settanta feriti.

La REPUBBLICA - Giulio Terzi : " Aiuti umanitari e mediazione politica così stiamo costruendo il dopo-Assad "


Bashar al Assad              Giulio Terzi

Riprendiamo da Repubblica l'articolo del nostro ministro degli Esteri, Giulio Terzi, nel quale si descrive la costruzione di un ipotetico dopo-Assad.
Non sappiamo su quali basi Terzi preveda come imminente la caduta di Assad, sarebbe stato interessante che le avesse comunicate.
Ma c'è un altro aspetto che avremmo voluto chiarito: chi sono, in definitiva, i ribelli ? Finora non l'ha capito nessuno. C'è la mano della Turchia ? Sono infiltrati di al Qaeda? Se sì, quanto e come ?
Sarebbe interessante saperlo per avere tutti gli strumenti per conoscere che cosa avverrà dopo l'uscita di scena di Assad, sempre che questo accada.
Ecco il pezzo:

IL regime di Assad, infatti, dopo aver provato invano, per contenere l’opposizione, a giocare sul “divide et impera” interno e sullo spauracchio del fondamentalismo islamico (ma i siriani sono in maggioranza musulmani moderati) e del terrorismo (sponsorizzato di frequente dal regime stesso) è ricorso al tentativo di regionalizzare la crisi alimentando scontri al confine con Giordania, Libano e Turchia. Il Libano, proprio in quanto esempio di democrazia interconfessionale in Medio Oriente è esposto a costanti tentativi di destabilizzazione, come indicano la spirale di “rapimenti settari” sotto la regia Teheran-Damasco ed il caso di Samaha, l’ex ministro per l’informazione libanese, recentemente arrestato, che programmava attentati terroristici nel nord del suo Paese su istruzioni di Damasco. La liberazione del popolo siriano e una maggiore distensione regionale vanno, quindi, di pari passo. È sempre più evidente che solo una Siria unita e democratica può diventare un fattore di rassicurazione e stabilità per l’intero Medio Oriente; viceversa una transizione democratica incompiuta condannerebbe la Siria ad una instabilità prolungata che lascerebbe campo libero alle interferenze esterne da parte di forze interessate al caos permanente (è il caso dei gruppi terroristici) o alla modifica in chiave egemonica, degli equilibri regionali (Iran). Per non parlare del pericolo della proliferazione di armi di distruzione di massa (la Siria possiede il maggior arsenale di armi chimiche e biologiche in Medio Oriente). Con una posta in gioco così alta, che include la nostra “responsabilità di proteggere” e la stabilità regionale, è fortemente sentito, nella comunità internazionale e soprattutto tra i Paesi like minded (il Gruppo dei Paesi “Amici del popolo siriano” di cui l’Italia è parte) il senso di urgenza, la necessità di accelerare i tempi per fermare il conflitto e consentire alla Siria di voltare pagina. La strategia comune si sta sviluppando su due fronti tra loro sempre più interconnessi. Nell’immediato, l’assistenza, in tutte le maniere possibili, con la sola eccezione dell’intervento militare, al popolo e all’opposizione siriani per aiutarli a resistere al regime e a prepararsi alla transizione; l’avvio, allo stesso tempo, dei piani su come aiutare la Siria nel dopo — Assad, nel “day after”, per la sua piena stabilizzazione politica ed economica. La crisi dell’attuale regime è ormai un dato irreversibile. Lo indicano la crescente “fatigue” dell’esercito e il ricorso non più solo alle milizie interne, le shabiha, ma anche alle ‘legioni straniere’ (tra i quarantotto sciiti iraniani rapiti a Damasco il 4 agosto vi sarebbero, asseritamente, anche diversi pasdaran ed ex-militari), il numero crescente di defezioni “eccellenti”, la resistenza ad oltranza dell’opposizione armata, malgrado la sua inferiorità militare. I tempi quindi si avvicinano per una transizione ormai inevitabile, che dovrà essere guidata dal popolo siriano, ma che la comunità internazionale ha il dovere morale, oltre che l’interesse, a sostenere. L’Italia sta operando in maniera attiva su entrambi questi fronti. Stiamo offrendo concretamente, in varie forme, il nostro sostegno al popolo e all’opposizione siriani. Abbiamo mantenuto un rapporto stretto con il Syrian National Council, l’organizzazione “ombrello” dell’opposizione siriana, i cui responsabili abbiamo ospitato più volte a Roma. Stiamo allo stesso tempo impegnando nel dialogo anche le altre componenti della variegata opposizione siriana, rappresentative delle diverse realtà locali all’interno del Paese, con le quali abbiamo in programma una serie di incontri politici in settembre a Roma. Continuiamo, in raccordo con la Lega Araba ed i nostri principali partner, la nostra azione di persuasione sull’opposizione per mettere da parte le restanti rivalità e costituire un cartello politico che possa diventare la base di riferimento per avviare la transizione. Stiamo inoltre considerando, sulla scia di alcuni nostri principali alleati, la fornitura all’opposizione di strumenti di comunicazione utili per poter prevenire attacchi contro civili, soprattutto donne e bambini. Sul piano umanitario abbiamo realizzato e stiamo preparando numerose iniziative in favore dei rifugiati e feriti siriani nei paesi limitrofi, dal Libano, alla Giordania e alla Turchia e, da ultimo, in favore della popolazione di Aleppo. Stiamo inoltre impostando la nostra azione per il dopo-Assad. Abbiamo al riguardo proposto l’iniziativa di una riflessione informale a Roma nei prossimi giorni con un gruppo di alleati e Paesi partner per approfondire ruolo e responsabilità internazionali nella Siria del dopo- Assad. Una riflessione che toccherà gli aspetti della sicurezza, dell’institution building, la ricostruzione economica e gli aspetti umanitari. L’Unione europea dovrà a nostro avviso svolgere un ruolo di primo piano soprattutto sul fronte umanitario e del consolidamento delle istituzioni della Siria democratica. Ma dobbiamo essere pronti a partire subito anche sul piano bilaterale, con iniziative per il consolidamento delle istituzioni e la ricostruzione economica. Ho per questo motivo deciso l’istituzione di una Task Force sulla Siria all’interno del Ministero degli Esteri e proposto la creazione di un apposito Tavolo interministeriale. La crisi siriana è un’assoluta priorità della nostra politica estera e dobbiamo continuare ad essere all’altezza della sfida.

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