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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Giornale - La Stampa Rassegna Stampa
13.08.2012 Egitto: Mohamed Morsi licenzia il feldmaresciallo Hussein Tantawi
cronaca di Rolla Scolari, commento di Vittorio Emanuele Parsi, intervista a Lawrence Korb di Paolo Mastrolilli

Testata:Il Giornale - La Stampa
Autore: Rolla Scolari - Vittorio Emanuele Parsi - Paolo Mastrolilli
Titolo: «Svolta in Egitto, silurato il capo delle forze armate - Lo schiaffo di Morsi agli intoccabili - Svolta verso il modello Erdogan: l'esercito non può avere veti»

Egitto, Mohamed Morsi licenzia il generale Tantawi in seguito a quanto è successo nel Sinai. Ne hanno scritto tutti i quotidiani italiani di questa mattina.
Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 13/08/2012, a pag. 10, l'articolo di Rolla Scolari dal titolo " Svolta in Egitto, silurato il capo delle forze armate ". Dalla STAMPA, a pag. 1-26, l'articolo di Vittorio Emanuele Parsi dal titolo " Lo schiaffo di Morsi agli intoccabili ", a pag. 11, l'intervista di Paolo Mastrolilli a Lawrence Korb dal titolo " Svolta verso il modello Erdogan: l'esercito non può avere veti ", preceduta dal nostro commento.

a destra, Hussein Tantawi con Mohamed Morsi

Ecco i pezzi:

Il GIORNALE - Rolla Scolari : " Svolta in Egitto, silurato il capo delle forze armate"


Rolla Scolari

Il presidente egiziano Mohammed Morsi ha mandato in pensione ieri il feldmarescailo Hus­sein Tantawi, in una mossa inaspet­tata nelle prime settimane della sua presidenza. Il generale Tantawi- co­me capo della giunta militare - ha guidato l'Egitto dopo la caduta di Hosni Mubarak da febbraio 2011 al­le presidenziali di giugno. Nono­stante la vittoria dell'islamista Mor­si, i militari hanno mantenuto un for­te controllo del potere in Egitto an­che dopo il voto. Avevano promesso di lasciare la scena alla nuova ammi­nistrazione, ma la loro presenza po­litica è ancora pesante. Secondo fonti vicine alla presi­denza, la decisione di Morsi sareb­be stata presa di comune accordo con il generale Tantawi, al cui posto è stato nominato Abdel Fattah Al Si­si. In realtà, potrebbe trattarsi dell' inizio di un atteso confronto tra i ver­tici della Fratellanza musulmana, dalle cui fila ha origine il presidente, e l'esercito egiziano. Il raìs Morsi, in­fatti, ieri non ha soltanto messo fine all'era Tantawi, l'uomo che per de­cenni è stato a fianco di Mubarak. Ha anche annullato una controver­sa dichiarazione costituzionale, ap­provata dai militari prima del voto, che restringeva i poteri della presi­denza. Il feldmaresciallo non è l'uni­co militare pensionato ieri. Dalla scorsa settimana, da quan­do un gruppo di uomini armati in Si­nai ha attaccato un posto di polizia uccidendo 16 agenti, per poi sconfi­nare in Israele, nella regione fronta­liera è in corso un'operazione dell' esercito. L'attacco armato ha inne­scato la reazione del governo. Morsi ha licenziato pochi giorni fa il capo dell'intelligence Muraf Muafi. Ieri, ha mandato in pensione anche il ca­po di Stato maggiore, il generale Sa­mi Enan. «Viste le circostanze, que­sto è il miglior momento per fare cambi all'interno delle istituzioni militari», ha detto Mourad Ali, fun­zionario del partito Giustizia e Liber­tà, braccio politico dei Fratelli mu­sulmani. La decisione, ha fatto sape­re la presidenza, è stata presa per «immettere sangue nuovo tra le fila dell'esercito». Tra le altre inattese decisioni, quella di nominare un vi­ce presidente. È la seconda volta in 30 anni di storia egiziana che il Pae­se ha un numero due. Per decenni, infatti, Mubarak rifiutò di nominare un vice. In caso di malattia o morte del leader, la guida del Paese passe­rebbe secondo la Costituzione pre­rivoluzionaria al numero due. Mor­si ha nominato Mohammed Mekki, un giudice, fratello dell'attuale mini­stro della Giustizia, noto per le sue passate posizioni contro il regime.

La STAMPA - Vittorio Emanuele Parsi : " Lo schiaffo di Morsi agli intoccabili"


Vittorio Emanuele Parsi

Tutto si può dire del «collocamento in congedo» del feldmaresciallo Hussein Tantawi da parte del neopresidente egiziano Mohammed Morsi, tranne che fosse nell'aria. La decisione è giunta completamente inattesa e quello che resta da capire è se il primo presidente civile e liberamente eletto nella storia egiziana ha commesso un azzardo che potrebbe precipitare il Paese nel caos. O se invece Morsi ha agito forte di un consenso tra le file dell'esercito che nessuno sospettava potesse avere. Ovviamente il portavoce del presidente ha parlato di una decisione condivisa, ma è difficile credere che Tantawi, lo stesso uomo che aveva cercato fino in fondo di preservare il potere dei militari - una tradizione egiziana che rimonta addirittura alla fondazione dello Stato mammalucco - abbia accettato di farsi da parte volontariamente. Insieme al pensionamento di Tantawi - nominato «Consigliere del presidente» e insignito della massima onorificenza egiziana, il «Gran collare dell'Ordine del Nilo» - Morsi ha anche disposto l'abrogazione della «Dichiarazione costituzionale», adottata proprio poche ore prima del suo insediamento, che di fatto alterava l'equilibrio dei poteri a favore dei militari, privando il presidente di un discreto numero di importanti prerogative. E proprio questo il fatto che rende più difficile credere a un avvicendamento concordato ai vertici del Supremo consiglio militare, oltre che ai vertici della Difesa. Possibile che l'establishment militare, un vero e proprio Stato nello Stato, detentore di un potere corporativo che assicura ai suoi membri una vasta serie di privilegi e benefit economici e di status, abbia accettato di veder cadere non Tantawi, ma tutto il trinceramento che Tantawi aveva costruito a difesa della posizione delle Forze Armate? In cambio di che cosa o per paura di che cosa i generali avrebbero dovuto accettare un simile ridimensionamento, che comunque rappresenta uno smacco anche per il loro prestigio di «intoccabili»? Difficile quindi che si sia trattato di un ripiegamento tattico. Si direbbe che Mohammed Morsi sia deciso a seguire la strada mostrata da Recep Erdogan, il premier turco che ha privato le forze armate di quel ruolo di «guardiani della laicità delle istituzioni» assegnato loro dallo stesso Mustapha Kemal Atatúrk e confermato da tutte le Costituzioni tranne l'ultima, emendata per volontà del premier e approvata da un referendum popolare. Ma Erdogan ha impiegato anni per fare molto meno di ciò che Morsi sta provando a fare in pochi mesi. E però vero che Erdogan aveva dalla sua un assetto istituzionale comunque formalmente liberale consolidato in decenni, che la Turchia è un Paese membro della Nato e ancora formalmente in attesa di essere riconosciuto come «candidato alla membership» da parte della Ue e che un aperto pronunciamento da parte dell'esercito avrebbe incontrato una fortissima reazione interna e internazionale. Insomma Erdogan poteva permettersi di giocare una partita a scacchi, Morsi sta giocando una partita di poker, in cui il bluff è parte della strategia. Il presidente probabilmente ha colto al balzo l'occasione della pessima figura rimediata dall'esercito con l'incursione in Sinai da parte dei quaedisti a inizio settimana. E qualcuno, a questo punto, potrebbe sollevare qualche dubbio sulla sua matrice proprio a partire dalla «natura provvidenziale» che essa potrebbe avere per le fortune della Fratellanza, che fino a qualche mese fa aveva ottimi rapporti con chi governa la Striscia e concorre a sorvegliarne i confini. Certo anche i militari hanno qualche carta in mano: potrebbero smettere di collaborare attivamente al mantenimento dell'ordine in un Paese che è ancora ben lontano dall'essere tornato alla normalità. Potrebbero ritirarsi platealmente nelle caserme in attesa di essere «costretti» a tornare per il bene della Repubblica. Tutto è possibile. Ma forse è un altro l'asso nella manica di Morsi, la famosa minaccia di cui parlavamo prima. Nessuno infatti sa quanto profonda e diffusa sia la penetrazione della Fratellanza nelle forze armate, nei suoi ranghi intermedi. Nessuno tranne Morsi e Tantawi. Al quale il presidente potrebbe aver fatto balenare la prospettiva di un nuovo pronunciamento degli «ufficiali liberi»: anche questa volta, come nel 1953, contro i vertici del potere militare, ma diversamente da allora non per insediare al potere un nuovo colonnello Nasser, ma per difendere il primo presidente civile (ed eletto) d'Egitto...

La STAMPA - Paolo Mastrolilli : " Svolta verso il modello Erdogan: l'esercito non può avere veti "

La politica estera di Obama non è certo la migliore che ci si possa augurare.
Va comunque detto che le forze armate egiziane hanno dimostratto la loro totale capacità di sottovalutare il pericolo, come dimostrato da ciò che è successo in Sinai.


Lawrence Korb
è stato vicesegretario al Pentagono dal 1981 al 1985, durante il primo mandato di Ronald Reagan. Ora lavora per il Center for American Progress think tank democratico 

L' Egitto è arrivato ad un punto di svolta: deve decidere se  vuole essere la Turchia, o il Pakistan. Quindi la mossa del presidente Morsi va bene, anche agli Stati Uniti, perché noi vogliamo un governo democratico guidato dai civili». Lawrence Korb conosce bene i militari egiziani, da quando faceva il vicesegretario al Pentagono, e conosce bene anche il pensiero dell'amministrazione Obama, perché oggi lavora per il think tank democratico Center for American Progress. Che cosa significa che il Cairo deve decidere tra il modello turco e quello pakistano? «In Turchia i militari sono forti, ma c'è un governo civile democraticamente eletto, che guida il Paese e dà le indicazioni anche sui temi della difesa. Il risultato è un alleato stabile, anche se il partito al governo ha le sue radici nel movimento islamico. In Pakistan è vero l'esatto contrario: il governo civile è debole, e i militari sono i padroni del Paese. Il risultato lo vedete: contrasti continui, e il sospetto che invece di aiutare noi, Islamabad sostenga i terroristi». Gli Stati Uniti hanno un lungo rapporto di collaborazione con i militari egiziani, che in passato hanno garantito la stabilità e il rispetto degli accordi di pace con Israele. La loro emarginazione non mette a rischio la stabilità dell'intera regione? «Washington difende la democrazia e preferisce avere a che fare con governi civili eletti dal popolo. La mossa del presidente Morsi va in questa direzione. Se vogliamo la democrazia, non possiamo accettare che resti sempre sotto la tutela delle forze armate». Non teme la possibilità di un colpo di Stato dei militari, in reazione al licenziamento di Tantawi? «E un rischio possibile, ma il punto è proprio questo. Se le forze armate non accettano le decisioni del presidente democraticamente eletto, e usano la forza per rovesciarlo, vuol dire che non sono in linea con i valori fondamentali degli Stati Uniti e non possono essere nostri alleati affidabili». Il capo del Pentagono Panetta, e il segretario di Stato Hillary Clinton, hanno avuto molti contatti con i leader egiziani nelle ultime settimane, per sollecitarli a riprendere il controllo del Sinai ed evitare che Al Qaeda e gli estremisti si impossessino di intere regioni dell'Egitto. Per impedire che questo avvenga non è necessaria la piena collaborazione dei militari? «Prima di tutto serve la piena collaborazione del governo in carica, e quindi serve un esecutivo che possa prendere liberamente le sue decisioni e applicarle. Morsi deve liberarsi dalla tutela dei militari, se vuole essere efficace nello stabilire il suo controllo su tutto il paese, e quindi evitare che Al Qaeda e gli altri estremisti approfittino del vuoto di potere creato proprio dal braccio di ferro con le forze armate. Una volta risolto questo problema, sarà più efficace dei militari nella lotta ad Al Qaeda e agli altri gruppi estremisti nel Sinai».

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