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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa-Corriere della Sera Rassegna Stampa
25.07.2012 SIRIA: la Cia senza informatori, reportage sui ribelli
Articoli di Maurizio Molinari, Lorenzo Cremonesi

Testata:La Stampa-Corriere della Sera
Autore: Maurizio Molinari-Lorenzo Cremonesi
Titolo: «Siria, l'allarme della Cia 'non conosciamo i ribelli'-Assad fa alzare i suoi caccia su Aleppo»

Maurizio Molinari sulla STAMPA, a pag. 17, Lorenzo Cremonesi sul CORRIERE della SERA, a pag.14, analizzano la situazione siriana.
Ecco gli articoli:

La Stampa-Maurizio Molinari: " Siria, l'allarme della Cia 'non conosciamo i ribelli' "

                                                      Maurizio Molinari

L’ opposizione siriana prima annuncia e poi smentisce la possibilità di un governo di transizione guidato da un esponente del regime di Assad, mettendo in luce differenze tali da spiegare perché la Cia ammette di «non conoscere abbastanza» i ribelli. Le contraddizioni in seno al Consiglio nazionale siriano, che riunisce gran parte dei gruppi di opposizione, sono emerse quando George Sabra, portavoce a Beirut, si è detto «a favore delle dimissioni di Bashar Assad con il trasferimento dei poteri ad una figura del regime che guidi la transizione sul modello di quanto avvenuto in Yemen» per essere poche ore dopo smentito da Bassma Kodmani dell’ufficio centrale dell’organizzazione: «Non abbiamo mai considerato un governo di unità nazionale con appartenenti al regime».

Il contrasto di posizioni suggerisce la presenza di disaccordi politici nell’opposizione in un momento in cui le unità dei ribelli, a Damasco come Aleppo, dimostrano di riuscire a portare lo scontro armato dentro le maggiori città. In particolare ad Aleppo i ribelli sono avanzati fino al punto da obbligare il regime a ricorrere agli elicotteri per tentare di fermarli: più testimoni hanno descritto ripetuti attacchi dal cielo.

É un quadro di forte incertezza che spiega perché fonti dell’intelligence americana affermano al «Washington Post» che la Cia «trova difficoltà a comprendere in maniera chiara quali sono le forze di opposizione». Il motivo è che a fronte di una situazione sul terreno «assai diversa da quella libica dove il governo di transizione era più coeso del Consiglio nazionale siriano» la Cia non ha propri uomini in Siria, come invece in Egitto e Libia, in ragione di uno specifico ordine del presidente Barack Obama che limita le attività di intelligence ad «osservare il conflitto a distanza» facendo arrivare agli insorti non armi ma solo «strumenti di comunicazione» capaci di sfuggire alla sorveglianza delle forze del regime. La conseguenza è che l’intelligence Usa, posizionata lungo i confini fra Turchia e Siria, deve rimettersi alle informazioni raccolte da agenti giordani, turchi e «di altre nazioni alleate».

Tali indiscrezioni trapelate dalla Cia lasciano supporre pressioni sulla Casa Bianca per togliere il divieto a inviare agenti dentro i confini anche perché c’è una diffusa preoccupazione sul rafforzamento degli islamisti fra i ribelli, il cui intento sarebbe di creare un governo dei Fratelli musulmani dopo Assad. Ad avere maggiore influenza sui ribelli sarebbero Arabia Saudita e Qatar, che inviano armi mentre Giordania ed Emirati si limiterebbero a garantire aiuti finanziari. Fra le informazioni che più mancano alla Cia vi sono quelle sulla presenza di Al Qaeda come di fronde interne al regime che, secondo alcune fonti, sarebbero state confermate dall’attentato della scorsa settimana in cui è stato ucciso il ministro della Difesa, in quanto a metterlo a segno sarebbe stato «un interno». A pesare sulla frammentazione dei ribelli c’è la struttura dell’Esercito di liberazione del generale Riad al-Asaad, assimilato dal capo del Pentagono Leon Panetta «più a un’organizzazione-ombrello che a una catena di comando» con almeno tre battaglioni - «Bin Walid» a Homs, «Harmous» al Nord e «Omari» nel Sud - protagonisti di campagne militari separate.

A fronte dell’incertezza americana, l’Arabia Saudita sembra invece determinata nell’accelerazione del sostegno ai ribelli: la nomina ai vertici dell’intelligence di Bandar bin Sultan, ex ambasciatore a Washington per 22 anni e nipote del re, preannuncia maggiore impegno per contrastare non solo Assad ma il suo più importante alleato, l’Iran degli ayatollah sciiti.

Corriere della Sera-Lorenzo Cremonesi: " Assad fa alzare i suoi caccia su Aleppo "

Lorenzo Cremonesi   Ribelli alla periferia di Aleppo

DAL NOSTRO INVIATO
ORAM AL SUGHRA (periferia di Aleppo) — L'elicottero di fabbricazione russa è un puntino verde quasi immobile su in alto, nel cielo terso puntellato di nuvolette candide. Lo guardiamo a lungo, sdraiati nel cassone del camion della brigata della rivoluzione siriana incaricata di portarci nel dedalo di tratturi sterrati alla periferia occidentale della seconda città del Paese. «Tranquilli. Non sparano ai camion nelle campagne in questo modo. Hanno altro a cui pensare in centro città», dice Alì, il capo della brigata (oltre 1.000 uomini) che vorrebbe raggiungere in serata la zona libera accanto ai resti antichi di Ebla. Più preoccupanti sono le decine di carri armati in azione un po' dovunque. I responsabili delle brigate partigiane appaiono davvero allarmati. Da oltre due mesi consideravano questa regione come liberata e sotto il loro controllo. E da 3 settimane erano riusciti ad aprire corridoi per il passaggio di uomini e armi dal confine turco fino ad Aleppo.
Ma da ieri mattina non è più così. «L'esercito di Assad vuole riconquistare Aleppo. Sta muovendo tutte le truppe verso la città», ripete Alì osservando con il cannocchiale una decina di tank in marcia a circa 200 metri dal nostro camion. Ci dividono da loro un paio di muri e un campo di ulivi. Il fumo bluastro dei motori marca nell'aria immobile del primo pomeriggio il loro passaggio. Le staffette dei ribelli in moto segnalano posti di blocco militari dove non se ne vedevano da mesi. La gente è spaventata. Il Ramadan offre un pretesto per non uscire.
Osserviamo così, da lontano, le grandi manovre per la battaglia di Aleppo. Ci dicono che fino a tre giorni fa i ribelli controllavano almeno nove quartieri e stavano cercando di liberare quello racchiuso nei bastioni della città vecchia. Ma ora la situazione è mutata. L'esercito lealista ha impiegato anche l'aviazione. Anche se può fare poco contro la guerriglia che combatte casa per casa. Fonti della rivolta all'interno parlano di «molti morti». Probabilmente una ventina, sui circa ottanta caduti nelle ultime 24 ore in tutto il Paese. Si combatte attorno alla cittadella, per le vie del centro storico, nei pressi dell'università. Solo a febbraio i portavoce del regime a Damasco giuravano che la «città dei commercianti» non avrebbe mai abbandonato Assad. I fatti provano il contrario. Per quello che possiamo capire, una miriade di villaggi e villaggetti nei dintorni sono con l'opposizione. In quelli di Sarmin, Qinnisrin, Oram Al Sughra e agli incroci principiali sventolano le bandiere con tre stelle della rivoluzione. I soldati sanno di muoversi in territorio ostile. E i loro comandanti temono le diserzioni di massa. «Spesso i nostri vecchi commilitoni ci chiedono di essere attaccati per approfittare della confusione e cercare di fuggire», ci racconta un ex capitano lealista passato ai ribelli. I generali evitano le pattuglie a piedi. La fanteria resta spesso nelle caserme. Da qui l'utilizzo dei tank con equipaggi alauiti fedeli agli Assad e degli elicotteri: richiedono pochi soldati, sono micidiali, controllano larghi tratti di territorio e fanno paura.
L'offensiva è comunque massiccia. I comandanti in capo che hanno sostituito il ministro della Difesa, il genero del presidente e gli altri responsabili militari uccisi o feriti nell'attentato a Damasco, ora vogliono farsi sentire. Sanno di avere poco tempo. Sono segnalate azioni anche al confine con l'Iraq, dove pare gli elicotteri abbiano sparato contro i profughi in fuga causando diverse vittime. Nella capitale stanno eliminando gli ultimi nidi di resistenza nel quartiere di Meidan e le altre zone interessate alle rivolte degli ultimi giorni. Qui gli elicotteri hanno lanciato migliaia di volantini invitando i guerriglieri alla resa e minacciando repressioni ancora più dure, mentre in senso opposto sono giunte le parole di Manaf Tlass, l'ex fedelissimo di Assad fuggito a Parigi e riapparso ieri su Al Arabiya: il generale ha rivolto un appello ai militari perché rifiutino di compiere «crimini di guerra». «Permettetemi di servire la Siria dopo l'era Assad — ha detto Tlass — dobbiamo restare uniti per ricostruire un Paese libero e democratico».
Superata Ebla incontriamo una nuova sacca di Siria liberata. Di zone come questa ha parlato ieri Hillary Clinton: gli Usa intendono «sostenere» l'opposizione affinché estenda il controllo sul territorio «per lanciare ulteriori azioni» contro le forze di Assad che comunque — ha detto il segretario di Stato — «è ancora in tempo per avviare una transizione» che qui sembra già superata: «Benvenuti nella repubblica indipendente della rivolta», urla una famiglia contadina al nostro passaggio. Fine incubo tank, con la sera spariscono anche gli elicotteri. È una lunga striscia di terra fertile che inizia presso l'autostrada Aleppo-Hama, sfiora Idlib, si allunga nel deserto a est e confina con le regioni alauite a ovest. La controlla una miriade di milizie indipendenti, ma in qualche modo coordinate tra loro via radioline o telefonini. Non hanno comandi centrali. Si passano armi a seconda delle necessità. Ieri sera, dopo la cena di Ramadan, due capi beduini barattavano cassette di munizioni per mitragliatrici smontate dai tank bruciati in cambio di esplosivo da mine per la costruzione di bombe artigianali.

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