Sulla situazione siriana, riprendiamo oggi, 19/07/2012, l'analisi di maurizio Molinari dalla STAMPA, a pag.3. Da LIBERO, a pag,18, quella di Carlo Panella:
La Stampa-Maurizio Molinari: " Washington teme le infiltrazioni di Al Qaeda o un colpo di stato. Potrebbero vincere gli oltranzisti"

Leon Panetta
C’ è un rischio di escalation, la situazione può finire rapidamente fuori controllo». È il Segretario alla Difesa, Leon Panetta, a commentare dal Pentagono l’attentato di Damasco con una evidente preoccupazione, accentuata da voce bassa e volto scuro. Vicino a lui il collega britannico Philp Hammond, annuisce: «Probabilmente il regime di Bashar Assad si sta sgretolando ai suoi estremi». Dietro tali espressioni c’è la convergenza di analisi fra Stati Uniti e alleati europei sul fatto che la rivolta popolare anti-Assad potrebbe prendere una strada inattesa e pericolosa. Per comprendere di cosa si tratta bisogna ascoltare il re giordano Abdallah che dagli schermi della «Cnn» reagisce all’esplosione che ha eliminato il ministro della Difesa siriano, affermando: «Sappiamo che in alcune regioni della Siria sono presenti cellule di Al Qaeda». Quasi contemporaneamente, a Gerusalemme, il generale dell’esercito israeliano Aviv Kochavi, capo dell’intelligence militare, testimonia davanti alla Knesset affermando che «abbiamo potuto osservare un continuo flusso di militanti di Al Qaeda e più in generale di jihadisti verso la Siria».
Le informazioni di cui dispongono Giordania e Israele riguardano un rafforzamento di unità di volontari jihadisti sunniti, giunti da più Paesi arabi in numero crescente dall’inizio dell’anno, che avrebbero rafforzato le proprie capacità militari, riuscendo a imporsi come uno dei fronti più aggressivi nell’attacco al regime di Assad. Bandiere di guerra di Al Qaeda sarebbero state viste sventolare ad Aleppo e Idlib mentre il gruppo jihadista «Al Nusra» in più occasione ha rivendicato attacchi con esplosivo contro le forze siriane. Se la Turchia è la porta di accesso dei rifornimenti occidentali ed arabi alle unità ribelli dell’Esercito di liberazione siriano del generale Riad alAsaad, il Libano invece è la retrovia da dove si infiltrano i miliziani jihadisti.
Difficile trovare a Washington degli interlocutori, nella comunità militare e di intelligence, pronti ad assicurare che tali infiltrazioni abbiano una regia ai vertici di Al Qaeda. Resta però il fatto che quando Panetta dice «fuori controllo» fa riferimento a forze anti-Assad estranee alla coalizione dei ribelli che si riconosce nel Consiglio nazionale siriano. La forza di questi gruppi jihadisti è negli attacchi kamikaze, o messi a segno con potenti esplosivi, che sin da metà del 2011 hanno bersagliato basi e ufficiali delle strutture di intelligence.
Ma non è tutto perché c’è anche un altro scenario che spiega le parole di Hammond sullo «sgretolamento del regime» e riguarda la possibilità che alcuni alti gerarchi del Baath siano tentando di sfruttare la situazione per rovesciare Assad dall’interno e sostituirsi a lui con un golpe, al fine di guidare una repressione ancor più spietata contro la rivolta popolare. Tale ipotesi si lega anche all’incertezza sulla gestione dei depositi di armi chimiche delle forze armate: i satelliti americani hanno osservato da giorni lo spostamento di ingenti quantità ma non è chiaro se a ordinarlo sia stato Assad o altri al suo posto.
Se infatti la disposizione non fosse partita da lui, potrebbe trattarsi della mossa di un gruppo di alti militari, intenzionati ad assumere il controllo degli armamenti che comportano maggiore potere politico nel regime. È la presenza di tali variabili che spinge Washington e Londra a rinnovare le pressioni su Mosca - dove ieri era in visita il premier turco Erdogan - al fine di vincere le resistenze del Cremlino per far autorizzare all’Onu una missione di più alto profilo in Siria in tempi molto stretti.
La soluzione preferibile, come Panetta e Hammond hanno confermato, sarebbe se «Assad lasciasse il potere», accettando le offerte di asilo giunte in segreto da Svizzera e Russia. Ma al momento il presidente appare determinato a resistere.
Libero-Carlo Panella: "È una guerra fatta di orrori ma più onesta della farsa libica "

Free Sirian Armi, incominciamo bene !
La prima – e unica – rivoluzione del 2000 sta vincendo. L’attentato che ha colpito il cognato di Assad e lo stillicidio di defezioni dei più alti gerarchi del regime, si accompagnano infatti non solo ad azioni sempre più massicce della Free Syrian Army, ma soprattutto a mobilitazioni popolari sempre più estese, persino nel centro di Damasco e Aleppo, sino a un mese fa roccaforti del consenso al regime. Una rivoluzione isolata come non mai: non un corteo pacifista nel mondo, men che meno nel mondo arabo, mentre Usa, Francia, Europa e Onu hanno dato uno spettacolo vergognoso di ignavia, impotenza e disinteresse, con Russia e Cina pienamente complici e schierate col regime. Una rivoluzione vera, molto diversa dal conflitto in Libia dove l’arbitro, la Nato che doveva garantire l’incolu - mità dei civili, poi bombardava contro una sola delle parti. C’è una ragione per tutto questo: quella siriana è una rivoluzione di poveri. Una rivoluzione vera, con tutte le contraddizioni, anche brutte e spiacevoli delle rivoluzioni. Da 16 mesi è la povera gente a scendere nelle piazze, maciullata dalle truppe del regime, a partire dalla capitale morale di questa rivoluzione, Deraa. Deraa vive di agricoltura e ha iniziato a rivoltarsi quando le decine di migliaia di contadini della provincia vi si sono riversati, stremati dalla fame e dalla disperazione per una siccitàcheha distrutto i raccolti, nel totale abbandono da parte dello Stato. Quella siriana è una rivoluzione di gente qualunque, di un popolo ridotto alla fame e deciso a non sopportare più l’ol - traggio di un regime che è sempre stato l’erede del nazismo in terra araba. Non è un’esagera - zione retorica ma semplicemente il riferimento dovuto all’essenza dell’ideologia Baath che il suo fondatore Michel Aflaq, ha scientemente collocato proprio nel solco della tradizione nazionalsocialista hitleriana (scrisse: «Ci esaltavamo a leggere il Mein Kampf!»). Nulla – o ben poco – a che fare quindi come quelle che sono chiamate impropriamente rivoluzioni arabe e che invece furono solo fiammate – pur enormi – di rivolta popolare, seguite da golpe dei generali che erano stati la colonna portante dei regimi e che si sbarazzarono dei loro raìs (Ben Ali, Mubarak, Saleh, Gheddafi) a cui pure dovevano tutto. «Tutti i figli dei miei amici milionari sono in piazza Tharir», disse nel febbraio 2011 il tycoon egiziano Neguib Sawiris, per spiegare l’eterogeneità del movimento di protesta egiziano. Da qui le involuzioni che oggi registriamo - a Damasco e ad Aleppo negli ultimi 16 mesi, i figli dei ricchi (non solo alawiti, ma anche sunniti e cristiani), si son guardati bene dal scendere in piazza perché ben coglievano la valenza rivoluzionaria reale di quel movimento. Tutto benedunque? Lacaduta di Assad aprirà alla Siria una fase di democrazia? Non è detto. Anzi. Probabilmente saranno i Fratelli Musulmani e gli islamisti a egemonizzare anche la nuova Siria e a vincere le elezioni. Anche in Siria si constaterà che in ambito islamico il cammino verso democrazia e rispetto dei diritti umani –i diritti delle donne e la libertà di pensiero, quindi di religione - è contraddittorio, appesantito da un enorme ritardo culturale dovuto al rifiuto di una Fede coniugata con la ragione, che l’islam scelse malauguratamente 9 secoli fa. Ma un altro regime sanguinario sta crollando; e sarà una ferita enorme per la politica di potenza di Ahmadinejad.
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