Sulla strage del bus con i turisti israeliani, dedichiamo questa pagina con i commenti più rilevanti, di nostro aggiungiamo qualche riflessione all'analisi di Renzo Guolo, a fondo pagina.
Ecco gli articoli:
Da Gerusalemme, Fiamma Nirenstein:

Riccardo Muti con Fiamma Nirenstein
Si e' svolta ieri all'Istituto Italiano di Cultura di Tel Aviv la presentazione di "A Gerusalemme", l'ultimo libro di Fiamma Nirenstein, autrice e giornalista, vicepresidente della Commissione Esteri della Camera. Alla presentazione e' intervenuto un relatore di eccellenza, il Maestro Riccardo Muti, in Israele per dirigere il Requiem di Verdi all'Orchestra Filarmonica di Tel Aviv. La serata e' stata scossa dalla notizia dell'attentato terroristico contro turisti israeliani in Bulgaria, in cui hanno perso la vita almeno 8 persone. "Nonostante il dolore per l'attentato - ha dichiarato Nirenstein - la presentazione del libro doveva essere portata avanti proprio in nome dell'essenza di quello che e' il mio libro, che racconta fra l'altro degli anni in cui Gerusalemme e' stata duramente colpita dal terrorismo suicida: l'affermazione della vita sopra la morta". All'apertura del suo intervento, il Maestro ha annunciato che questa sera dedicherà la prima del Requiem di Verdi alle vittime dell'attentato. Gerusalemme, 19 luglio 2012
www.fiammanirenstein.com
La Stampa-Giordano Stabile: " La rappresaglia ci sarà, ma solo il dossier nucleare può scatenare la guerra "

Daniel Pipes
La reazione di Israele ci sarà, sarà molto dolorosa per l’Iran, ma soltanto il dossier nucleare potrebbe innescare una guerra su larga scala fra i due grandi rivali del Medio Oriente». Daniel Pipes, figlio di ebreo-polacco fuggito negli Stati Uniti all’inizio della seconda guerra mondiale, direttore del Middle East Forum e uno dei consiglieri più ascoltati dal presidente George W Bush sulla politica mediorientale fra il 2001 e il 2005, è uno degli analisti statunitensi che più conosce le dinamiche di Israele.
Pensa che sia realistica la pista iraniana, subito additata dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu?
«È del tutto ragionevole. L’Iran ha colpito più volte Israele fuori dai suoi confini. Per la semplice ragione che è molto difficile colpire lo Stato ebraico all’interno. I bersagli all’estero quindi diventano immediatamente privilegiati».
Crede che, se davvero fossero stati gli iraniani, questo attentato possa segnare l’inizio del conto alla rovescia per una guerra all’Iran?
«Una guerra su larga scala all’Iran è legata esclusivamente al dossier nucleare. Ma è sicuro, che se sarà dimostrata la matrice iraniana nell’attacco in Bulgaria, la reazione di Israele sarà molto dolorosa per l’Iran».
Ma di che tipo, attacco militare o rappresaglia mirata su possibili mandanti, tipo ufficiali dei Pasdaran?
«È troppo presto per dirlo. Non abbiamo sufficienti elementi. Non sappiamo ancora se siano stati gli iraniani, a che livello, eventualmente, è stata presa la decisione. L’Intelligence israeliana di sicuro è al lavoro per stabilirlo. L’entità della rappresaglia, se ci sarà, dipende da questi elementi. Ma ripeto, un attacco militare, con l’aviazione, potrà solo essere legato al pericolo che Teheran acquisisca l’arma atomica. È la priorità nella politica estera israeliana in questo momento».
Ma perché Netanyahu si è mostrato tanto sicuro nell’accusare l’Iran, se questi elementi devono essere ancora vagliati?
«Ci possono essere componenti politiche o psicologiche. È certo nell’interesse di Israele tenere alta la tensione nei confronti dell’Iran».
Può aver contribuito anche l’accelerazione della crisi siriana?
«Non abbiamo elementi per dirlo. Credo che in questo momento le due vicende siano da tenere separate»
Ma, in questo momento, gli Stati Uniti sono pronti a sostenere l’eventuale rappresaglia israeliana?
«In linea generale sì. Sull’eventualità di un attacco in larga scala pesa invece la percezione di quanto siano davvero vicini all’atomica gli ayatollah».
Corriere della Sera-Pierluigi Battista: " E torna a far paura il duello con Teheran "

L’ «Intifada» delle bombe e dei kamikaze, con il suo carico di massacri di civili, sembrava che avesse circoscritto le azioni terroristiche dentro i confini dello Stato di Israele, o nei territori occupati da Israele.
La strage in Bulgaria, concepita e ideata con il massimo di preparazione per ottenere il massimo della devastazione di vite, REUTERS dimostra invece che si è aperto un nuovo capitolo della guerra totale contro Israele.
È un nuovo fronte di una guerra infinita che allontanerà sempre più ogni prospettiva di pace, o almeno di tregua, nel martoriato Medio Oriente.
La colpa delle vittime dell'attentato di ieri è semplicemente quella di essere ebrei e cittadini dello Stato di Israele. La logica terroristica ha una sua inesorabilità. Identifica i civili israeliani come dei nemici e non fa nessuna distinzione tra militari e cittadini, tra soldati armati e turisti pacifici che rappresentano un comodo bersaglio lontano dallo Stato di Israele, dalle ambasciate, dalle linee aeree, dagli uffici israeliani che si presume siano controllati e blindati.
Il terrorismo colpisce Israele quando nel mondo arabo le tempeste che hanno scosso regimi autoritari e corrotti hanno anche allentato ogni controllo sulle cellule estremiste che agiscono sempre più indisturbate nel magma caotico di una transizione verso approdi sconosciuti e forse pericolosi.
Si aggiunga inoltre il senso di impunità che l'Iran di Ahmadinejad percepisce mentre vengono messi a punto gli ultimi dettagli di un programma nucleare che ha Israele come bersaglio privilegiato, e si coglierà l'atmosfera favorevole all'incendio terroristico che potrebbe propagarsi in Medio Oriente fino alla resa dei conti finale.
Perché questa è la prospettiva apocalittica che si profila a partire dall'attentato di ieri: l'accelerazione di uno scontro che potrebbe sfociare in un conflitto armato tra Israele e Iran dalle conseguenze imprevedibili e impreviste.
Il lutto per la morte di vittime innocenti del fanatismo terrorista si accompagna così all'angoscia per un'escalation che potrebbe cambiare la storia degli anni a venire. Una prospettiva carica di ansia che i terroristi sanno alimentare con perizia e precisione strategica.
L'opinione pubblica internazionale non può restare indifferente.
Corriere della Sera-Paolo Salom: " Quelle spiagge del Mar Nero che tennero gli ebrei al riparo dall'orrore nazista "

Una storia d'amore e di guerra. Una vicenda unica in Europa. Un legame forte che neppure i nazisti riuscirono a scalfire. Gli ebrei e la Bulgaria: un destino che viene portato a esempio quando si parla di Olocausto. Perché, pur alleata della Germania hitleriana, Sofia non permise ai tedeschi di toccare un solo suo cittadino di «fede ebraica». Soltanto al termine del conflitto, con l'arrivo dei comunisti, i 48 mila ebrei di Bulgaria emigrarono in Israele dove oggi sono la quarta comunità per origine dopo russi, romeni e polacchi. E dove, appena possono, prendono un aereo per tornare nella terra di cui ancora oggi capiscono la lingua, per bagnarsi nel mare che i nonni frequentavano come gli italiani frequentavano la Riviera. Il Mar Nero come l'Adriatico? Sì, nei ricordi di chi trascorreva le vacanze sulla costa che andava da Costanza, in Romania, a Burgas, in Bulgaria, le onde erano ugualmente «dolci», la sabbia «fine». Nel periodo d'oro, dall'inizio del Novecento allo scoppio della Seconda guerra mondiale, le famiglie della borghesia ebraica lasciavano le città dell'interno — Sofia, Plovdiv, Bucarest — per trascorrere luglio e agosto in riva a quel «piccolo oceano» sul quale si affacciava un'altra Europa, un'Europa che procedeva senza saperlo verso la propria distruzione.
Burgas era una delle cittadine più di moda. Perché era piccola, come un shtetl (il villaggio ebraico dell'Europa Orientale), ma sul mare. Perché aveva una sinagoga preziosa, progettata dall'architetto italiano Riccardo Toscani che si era ispirato al tempio di Firenze, con quegli elementi neobarocchi e neoclassici che ne facevano un edificio di sapore mediterraneo. Fuori posto? Non per i gusti del tempo, e per una comunità fiorente che aveva commissionato la costruzione del proprio luogo di culto a quell'italiano che aveva scelto di vivere a Burgas, incantato dalla bellezza della natura. Toscani non visse fino alla guerra, all'alleanza della Bulgaria con la Germania nazista. Morì prima e gli fu risparmiato un periodo di drammi (il Parlamento di Sofia arrivò a votare nel 1941 una legge antisemita) e anche di coraggio. Perché grazie alla volontà del ministro della Giustizia Dimitar Peshev e della Chiesa ortodossa, e al coraggio di migliaia di cittadini, quando arrivò l'ordine di deportare gli ebrei bulgari, i nazisti nel Paese non riuscirono a portare a termine il loro piano. Come racconta Michael Bar-Zohar, storico israeliano nato a Sofia nel 1938, gli ufficiali delle SS osservarono stupefatti la popolazione scendere in piazza a difesa dei loro concittadini e dovettero rinunciare, per ben due volte, a riempire i treni.
Al termine della Seconda guerra mondiale, i 48 mila ebrei bulgari erano tutti sani e salvi. I tedeschi erano riusciti a deportare soltanto chi, nel territorio controllato da Sofia, non ne aveva la cittadinanza. Un esodo però era comunque alle porte: con l'arrivo delle truppe sovietiche, e l'ingresso della Bulgaria nella sfera di Mosca, quasi tutti decisero di partire per Israele, unica comunità intatta (insieme alla piccola congregazione danese) al termine della mattanza nazista. Coesi e legati al Paese d'origine, gli ebrei bulgari, ora cittadini di Israele, hanno continuato a sognare per decenni i villaggi da cui erano fuggiti, ormai chiusi dietro la cortina di ferro. Solo con la caduta del comunismo la Bulgaria è tornata una meta per i discendenti israeliani: nipoti e pronipoti che ne hanno fatto una destinazione per le vacanze, soprattutto dopo che la Turchia — in seguito alla recente crisi diplomatica nata con l'assalto delle truppe speciali israeliane alla nave Mavi Marmara — da destinazione privilegiata è diventata un luogo da evitare per ragioni di sicurezza.
La dolce Burgas: fino a ieri un paradiso, ora perduto.
La Repubblica- Renzo Guolo: " L'ultima sfida degli ayatollah che hanno rotto con Ahmadinejad "

Estremamente approfondito il commento di Renzo Guolo, tanto spacca il capello in quattro, che vorremmo chiedere, dopo averlo letto, se qualcuno- anche esperto nel settore - è in grado di riassumerlo. In Iran si possono cambiare i fattori, il risultato non cambia. Il paese è in mano a una leadership di criminali, le differenze tra Khamenei e Ahmadinejad, insieme a tutti i nomi citati da Guolo, non cambiano la realtà. Guolo sbaglia quando scrive che l'opinione occidentale on percepisce le differenze della politica iraniana. Non sarà perchè non sono così importanti ? Semmai è Guolo, nei suoi giri di valzer interpretativi a confondere il lettore.
ANCORA una volta viene versato sangue israeliano: l’odio terrorista questa volta colpisce in Europa, portando la morte in una località turistica , tra famiglie indifese che si preparavano ad una vacanza. L'orroere non ha fine: le centrali che alimentano il fuoco ideologico contro l'esistenza stessa dello Stato di israele, che lo indicano come il responsabile di tutti mali del mondo, che ne predicano la cancellazione, continuano a seminare il loro veleno, e ne raccolgono i frutti. Netanyahu non ha avuto dubbi sui responsabili e ha subito puntato il dito contro Teheran, che di questa campagna è stato sicuramente uno dei protagonisti principali:
Ma come si muove il gruppo dirigente iraniano, mentre la rivincita sciita segna il passo davanti agli sviluppi della "Primavera araba" sunnita e la prospettiva di uno scontro con Israele si avvicina ? Lo scontro tra realisti e duri e puri, divampa. Ma secondo linee non sempre percepibili all'opinione pubblica occidentale.
Il gruppo dirigente espressione della "coalizione di necessità", tra conservatori religiosi e nazional-populisti della destra radicale, entrata in rotta di collisione dopo lo scontro tra la Guida Khamenei e il presidente Ahmadinejad, si divide oggi tra globalisti e islamisti. I primi fanno riferimento a Ahmadinejad e al capo del suo staff presidenziale Esfandiar Mashaei. I globalisti puntano a mettere fine alla solitudine strategica dell'Iran, non mediante una normalizzazione dei rapporti dei rapporti con la comunità internazionale, bensì attraveerso la partecipazione attiva a un fronte antimperialista vasto, destinato a contrapporsi politicamente agli Stati Uniti. Come ricolrda l'incursione di Ahmadinejad nel "giardino di casa" americano, in nparticolare in Venezuela, Cuba, Bolivia. In Medioriente questa "scuola" punta alla tutela degli interessi nazionali, indipendentemente dalla vicinanza ideologica con i regimi dell'area: E' il caso dell'attivo sostegno alla Siria: Teheran non è legata all'alawita Assad per motivi religiosi, quanto perchè egli si è sempre mostrato sensibile alle esigenze iraniane.
La Guida ha certo l'ultima parola ssul nuckeare, ma la politica estera resta di competenza del governo. Anche se, negli ultimi anni, come prodotto della sempre maggiore politicizzazione delle forze armate rivoluzionarie e delle milizie avviatasi proprio con la prima elezione di Ahmadinejad, si è sviluppata, in particolare tra i Pasdaran, una corrente che guarda con favore alle posizioni del figlio di Khamenei, Mojtaba, divenuto il leader di fatto dei conservatori religiosi attivisti. I legami di Mojtaba con Pasdaran e Basij oggi ai vertici delle forze, hanno dato vita a una corrente che punta a gestire una politica estera parallela, spesso non in sintonia con quella ufficiale. Questo gruppo dà per scontato che nel 2013 non solo Ahmadinejad ma anche la destra radicale antimperialistica, uscirà di scena e che tanto vale ipotecare sin da ora le future linee d'azione della Repubblica Islamica. Oggi i duri e puri si riconoscono in queste posizioni. Si tratti di nucleare e Israele, di fronteggiare l'Arabia Saudita o i nemici alle porte di casa in Siria, di avallare operazioni di intelligence dai messaggi più o meno espliciti, di rispondere colpo su colpo alla guerra segreta contro gli scienziati che lavorano al nucleare. Ancora una volta quando il potere è frammentato e la diarchia istituzionale antagonista, la Repubblica Islamica è attraversata da lotte che coinvolgono anche lo spazio esterno.
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