Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 09/07/2012, a pag. 14, l'articolo di Lorenzo Cremonesi dal titolo " Sorpresa Libia, liberali in vantaggio" , l'intervista di Stefano Montefiori a Olivier Roy dal titolo " È la prova che nel mondo musulmano si fa strada la democrazia", preceduta dal nostro commento . Dal GIORNALE, a pag. 15, l'articolo di Magdi Cristiano Allam dal titolo " Attenti, i Fratelli Musulmani hanno comunque il potere ".
Ecco i pezzi;
CORRIERE della SERA - Lorenzo Cremonesi : " Sorpresa Libia, liberali in vantaggio "

Mahmoud Jibril
TRIPOLI — Uno stratega della politica, capace di attendere e rilanciare al momento giusto. L'uomo del passato, che sa riconvertirsi al futuro. Questo è Mahmoud Jibril, il leader 60enne delle 62 liste che formano la Coalizione delle Forze Liberali data ufficiosamente ieri come vincente alle elezioni parlamentari di sabato.
Per sette mesi e mezzo l'anno scorso Jibril è stato premier ad interim del Consiglio Nazionale Transitorio che ha guidato la rivoluzione. Poi, annunciando le dimissioni alla fine di ottobre (erano trascorsi solo cinque giorni dal linciaggio di Gheddafi alle porte di Sirte), aveva lasciato intendere che la sua carriera era tutt'altro che terminata. Lasciava tra le polemiche. Con le milizie di Misurata e Zintan che lo accusavano di stare troppo all'estero «negli alberghi a cinque stelle, mentre in Libia i giovani muoiono». Con i vecchi compagni di strada che parlavano dei suoi capitali privati in Svizzera e Stati Uniti ingigantiti dal rapporto preferenziale con Saif al Islam, il delfino del raìs che nel 2007 lo aveva strapagato per convincerlo a lasciare le sue attività di consulente al Cairo per venire a dirigere i programmi di rinnovamento dell'economia libica. E soprattutto con le crescenti accuse di essere «accentratore e autoritario come Muammar Gheddafi». Addirittura era sceso in guerra aperta con il salafita militante Abdel Hakim Belhaj, allora responsabile militare delle milizie di Tripoli e adesso leader del partito islamico radicale «Al Watan». Due uomini davvero agli antipodi.
Tanto Jibril ha saputo restare in equilibrio anche con Gheddafi, quanto Belhaj ne è stato nemico ad oltranza. Sin da quando era studente all'università di Tripoli e pianificava di assassinarlo. Poi da militante con i talebani filo-Al Qaeda in Afghanistan e persino da prigioniero della Cia, prima di essere consegnato (sembra con il coinvolgimento dei servizi britannici) agli aguzzini del Colonnello. A ottobre lo scontro con Jibril era diventato tale che i due non si parlavano più. «È tempo che prenda una pausa di riflessione. Ho servito il Paese nella rivoluzione. Se ci sarà bisogno, potrò tornare», aveva dichiarato infine il leader liberale.
La sua assenza non è stata lunga. Occorre però fare attenzione ad anticipare i risultati. La cautela è d'obbligo. Ieri sera i responsabili della Commissione elettorale ripetevano che lo scrutinio non è terminato. Dato confermato è l'alto tasso di partecipazione: 63 per cento, pari a circa 1,7 milioni di elettori, sui 2,8 registrati. «Un grande successo. Non abbiamo rilevato brogli maggiori», ha detto il responsabile degli osservatori Onu, Ian Martin. Gli scrutini sono rallentati dagli attacchi dei separatisti radicali in alcuni seggi minori della Cirenaica, che hanno spinto la Commissione elettorale a protrarre per quei casi il voto sino a ieri in tarda mattinata. E le difficoltà del conteggio sono complicate dal gran numero di candidati indipendenti: 2.639 per 120 dei 200 seggi del Parlamento, oltre ai quasi 1.500 inquadrati in oltre 300 partiti. Tuttavia già prima di mezzogiorno i vertici della Coalizione delle Forze Liberali (che riunisce 62 liste) ripetevano convinti di avere ottenuto i migliori risultati sia a Tripoli che Bengasi. E una conferma indiretta è arrivata dalle due maggiori liste islamiche: «Al Watan» e «Giustizia e Sviluppo» dei Fratelli Musulmani. Queste hanno infatti ammesso di avere perso nelle due città maggiori e vinto invece a Misurata.
In attesa dei dati finali (che potrebbero ritardare a dopo mercoledì) cresce comunque la convinzione che alla guida del prossimo Parlamento dovrà essere un governo di coalizione nato dai negoziati con una miriade di candidati indipendenti e liste municipali per lo più legate a interessi corporativi non ideologici. E va verificato che il campo laico-liberale abbia alla fine davvero i numeri per vincere su quello religioso. Ieri sera lo stesso Jibril ha aperto a una possibile «grande coalizione»: «Tutti i partiti dovrebbero lavorare insieme — ha detto in conferenza stampa — Chiunque vinca, è la Libia il vero vincitore».
Il GIORNALE - Magdi Cristiano Allam : " Attenti, i Fratelli Musulmani hanno comunque il potere "

Magdi Cristiano Allam
Trentacinque mila morti libici, una guerra che ha bruciato dalle tasche dei contribuenti occidentali circa 5 miliardi di euro, la ricostruzione stimata in 300 miliardi di euro che ha ovviamente scatenato una nuova guerra sotterranea per contendersi le commesse, è il costo complessivo della «rivoluzione» per affermare la democrazia in Libia simboleggiata dal linciaggio come una bestia di Gheddafi, una barbarie rimasta impunita e che resterà una macchia indelebile nella storia di questo Occidente che ha confermato di credere esclusivamente nel dio denaro. Ed ora a consumare il rito delle prime «storiche» e «libere» elezioni sono stati 1,6 milioni di libici, il 55% dei 2,9 milioni che si erano registrati, il 25% dei 6,4 milioni di abitanti, con oltre 100 partiti, 3700 candidati e, alle spalle, una trentina di milizie armate fino ai denti che si fanno beffe del governo centrale, della democrazia, pronti a dividere e a spartirsi il Paese. Anche nel caso in cui dovesse aggiudicarsi il voto l’Alleanza delle forze nazionali di Mahmud Jibril, qualificata frettolosamente come «liberale» e «moderata» dagli stessi che si sono infatuati acriticamente della «Primavera araba», l’unico vero vincitore saranno comunque gli islamici dei Fratelli Musulmani, dei Salafiti e di Al Qaeda per il semplice fatto di aver imposto la loro legittimazione. Millecinquecento anni di storia insegnano che gli islamici una volta che si insediano al potere non lo mollano più perché si auto-attribuiscono lo status di depositari della verità assoluta incarnata nella sharia, la legge coranica, in barba al principio della pacifica alternanza al potere che è un pilastro della democrazia sostanziale. Ciò a cui stiamo assistendo è il punto d’approdo di una forsennata strategia inaugurata nel gennaio del 2006 da Bush e da Blair con la conquista del potere di Hamas nei Territori palestinesi e l’ingresso di 88 deputati dei Fratelli Musulmani per la prima volta nel Parlamento egiziano. L’illusione di questo Occidente relativista e islamicamente corretto è di far coesistere i militari, quali garanti delle istituzioni dello Stato laico e liberale, con gli islamici, quali principali rappresentanti in seno a delle popolazioni in gran parte povere, con la maggioranza di giovani disoccupati, con un’alta percentuale di analfabeti, comunque prive del ceto medio, da sempre sottomesse all’arbitrio di un tiranno. Questa convivenza dovrebbe stabilizzare il fronte interno, favorire lo sviluppo economico, salvaguardare gli interessi occidentali, contenere la guerra terroristica scatenata nel nome di Allah ovunque nel mondo. Ebbene proprio ieri il neo-presidente egiziano Mohammed Morsi, dei Fratelli Musulmani, ha annullato lo scioglimento del Parlamento deciso dalla Corte Costituzionale, sfidando apertamente i militari che hanno assunto il potere legislativo fino alle prossime elezioni. I militari sono ricorsi a questo arbitrio per salvaguardare il patto non scritto sulla ripartizione del potere. I Fratelli Musulmani non avrebbero dovuto presentare un loro candidato alle elezioni presidenziali dopo aver stravinto in Parlamento dove, unitamente ai Salafiti, controllano oltre il 70% dei seggi.É l’ennesima riprova che gli islamici, quando hanno il coltello dalla parte del manico, non accettano alcun compromesso, vogliono tutto il potere per loro costi quel che costi. I nostri dotti e buonisti islamologi, che amano a tal punto l’islam da essere diventati più islamici degli islamici, sprizzeranno euforia da ogni poro raccontandoci che Mahmud Jibril, che viene indicato come il possibile vincitore delle elezioni in Libia, è un personaggio assolutamente raccomandabile tanto è vero che dopo la laurea in Scienze economiche e politiche presso l’Università del Cairo ha conseguito un Master in Scienze politiche presso l’Università di Pittsburgh, in Pennsylvania. Eppure era proprio lui il numero due del Consiglio nazionale di transizione quando lo scorso 25 ottobre, l’allora presidente Mustapha Abdul Jalil chiarì che la sharia sarà la «fonte principale» della legislazione, che qualsiasi legge in contrasto con l’islam sarà abrogata, che la poligamia sarà legalizzata. Come è concepibile una democrazia che vede concorrere un militante di Al Qaeda, Abdul Hakim Belhadj, auto-impostosi comandante militare di Tripoli e che ora si ricicla a capo del partito Al Watan (La Patria)? La verità storica è che da Kemal Ataturk, dopo la dissoluzione formale dell’ultimo califfato islamico turco-ottomano nel 1923, gli islamici hanno covato la sete di vendetta ed ora ci sono riusciti. Persino gli autocrati laici, da Sadat ad Assad, sono caduti nel tranello di fare delle concessioni interne agli islamici illudendosi di poter gestire loro direttamente l'islamizzazione graduale della società, finendo per essere travolti dal terrorismo dei Fratelli Musulmani, dei Salafiti e più recentemente di Al Qaeda. Quando capiremo che l'islam, il Corano, Maometto e la sharia sono incompatibili con la democrazia? Non lo capiremo mai perché noi stessi crediamo e promuoviamo una concezione formalistica e non sostanziale della democrazia, appiattita nel rito delle elezioni. Grazie a questa democrazia formale e alla nostra ingenuità gli islamici stanno conquistando il potere sulla sponda meridionale e settentrionale del Mediterraneo. Grazie alla loro sharia e alla nostra codardia gli islamici ci sottometteranno al culto di Allah sulla nostra sponda del Mediterraneo. Svegliamoci!
CORRIERE della SERA - Stefano Montefiori : " È la prova che nel mondo musulmano si fa strada la democrazia "

Olivier Roy
Consigliamo ad Olivier Roy la lettura del pezzo di Magdi C. Allam pubblicato in questa pagina della rassegna. Chissà che non gli sia utile per chiarirsi le idee su quanto sta succedendo in Libia.
Ecco l'intervista:
PARIGI — La vittoria in Libia dei liberali di Mahmoud Jibril, se confermata, sarà la prova che una terza via tra tirannide e integralismo islamico è possibile?
«Sì, anche se occorre fare attenzione a non sovrapporre alla realtà del Medio Oriente le nostre griglie di lettura. I liberali libici non sono liberali come li intendiamo noi: è sbagliato contrapporre da una parte Jibril, ai nostri occhi modernizzatore e secolarizzato, e dall'altra musulmani anti-occidentali e oscurantisti. Anche i liberali libici sono musulmani, e non sarei affatto sorpreso che prima o poi si tornasse a parlare dello spazio da riservare alla sharia, la legge islamica, nella Costituzione». Olivier Roy, 63 anni, islamologo francese docente all'Istituto universitario europeo di Fiesole, è moderatamente ottimista sugli sviluppi in Libia e nei Paesi confinanti toccati dalle rivoluzioni, Tunisia e Egitto.
Qual è la sua opinione sul vincitore, Mahmoud Jibril?
«Ha vinto perché ha saputo assecondare meglio gli interessi locali e tribali. Jibril ha avuto un anno di tempo, si è messo con grande pazienza a tessere rapporti e alleanze con i notabili e i capitribù».
L'Islam resterà un fattore importante in Libia?
«Senza dubbio perché la Libia è un Paese molto musulmano, anche se l'appartenenza religiosa islamica può prendere in ogni Paese forme diverse, e non necessariamente allarmanti per l'Occidente. In Libia non ci sono minoranze cristiane, gli unici cristiani sono immigrati, l'apporto musulmano è storicamente molto forte. Prima di Gheddafi la Libia è stata una monarchia retta dalla dinastia dei Senussi, confraternita musulmana fondata alla Mecca nel 1837».
È l'islam l'elemento unificante del Paese?
«Non ce ne sono molti altri, la Libia ha sempre avuto il problema di definirsi come Stato nazionale, al di là delle appartenenze tribali, e per questo la tradizione religiosa e culturale islamica è essenziale».
Che cosa distingue allora i liberali dai Fratelli Musulmani?
«Soprattutto una maggiore capacità politica e il radicamento nel territorio».
Al momento della missione in Libia, un anno fa, abbiamo visto bandiere francesi e britanniche sventolare a Bengasi e non solo. Come si posizionerà la nuova Libia a livello internazionale?
«Credo che Jibril praticherà l'apertura all'Occidente, ma se avessero vinto i Fratelli Musulmani non sarebbe stata una catastrofe. Anche loro non sono ostili all'Occidente, e non lo è più persino Abdel Hakim Belhaj, il capo militare di Tripoli reduce dell'Afghanistan».
Nessun tradimento delle primavera arabe quindi?
«Sotto l'aspetto dei rapporti con l'Occidente, direi di no. Questo è un dato che possiamo considerare come acquisito: nelle manifestazioni dei mesi scorsi e ancora oggi non si sentono i soliti slogan contro l'America o contro Israele. C'è stata una svolta, siamo passati dal tradizionale panarabismo anti-occidentale a un contesto più nazionale, patriottico. Tutti concordano sul fatto che la democrazia è una buona cosa, anche se non tutti ne danno la stessa definizione».
Sbaglia l'Occidente a identificare i Fratelli Musulmani con l'integralismo islamico?
«A mio parere dobbiamo sforzarci di capire che le cose non sono così semplici. Salafiti e Fratelli Musulmani, per esempio, sono due movimenti entrambi di ispirazione religiosa ma in competizione tra loro. I Fratelli Musulmani stanno cercando una sintesi tra tradizione islamica e modernità. È difficile, naturalmente, ma ci provano. Non hanno minimamente contestato la vittoria di Jibril, nessuno ha neppure provato a parlare di brogli. C'è una nuova cultura democratica che si sta radicando, anche presso gli islamisti».
Pensa che Libia, Tunisia e Egitto siano sulla buona strada?
«In nessuno dei tre Paesi c'è una forza preponderante capace di governare da sola, e questo è un bene. In Tunisia, per esempio, la lotta tra presidente e premier si combatte secondo regole costituzionali, non attraverso le milizie. In Libia, Tunisia ed Egitto ormai c'è questa idea che la democrazia e le elezioni sono inevitabili, che ci vogliono soluzioni politiche e costituzionali. A mio parere, abbiamo voltato pagina».
Per inviare la propria opinione a Corriere della Sera e Giornale, cliccare sulle e-mail sottostanti