Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Elezioni in Libia, concreto rischio islamismo cronaca di Lorenzo Cremonesi
Testata: Corriere della Sera Data: 06 luglio 2012 Pagina: 21 Autore: Lorenzo Cremonesi Titolo: «Libia, prime elezioni libere. L'incognita degli islamici»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 06/07/2012, a pag. 21, l'articolo di Lorenzo Cremonesi dal titolo "Libia, prime elezioni libere. L'incognita degli islamici".
Hakim Belahji leader militare salafita candidato alle elezioni
TRIPOLI — L'impatto visivo della campagna in vista delle prime elezioni di sabato in questa nuova Libia post Gheddafi è subito forte, prepotente. Dove sino a pochi mesi fa dominava il verde delle bandiere del regime e l'effigie del dittatore monopolizzava le piazze, le case, il pubblico e il privato di qualsiasi cittadino, ora imperano i volti, quasi tutti sconosciuti ai più, delle migliaia di candidati registrati in fretta e furia nelle ultime settimane. Se si escludono quelli dei dirigenti del governo transitorio durante la rivoluzione dell'anno scorso, come l'ex premier Mahmoud Jibril o il leader militare salafita Hakim Belhaji, gli altri sono avvocati, architetti, professori, affiancati a tante donne scelte a vario titolo. Dalle casalinghe mogli di «martiri» uccisi nei combattimenti, a professioniste rientrate dall'estero di recente e docenti che avevano beneficiato dei programmi di apertura alle pari opportunità voluti dal regime specie negli ultimi anni. Alcune con il capo coperto dai foulard colorati tipici delle laiche che cercano il voto dei tradizionalisti, ma anche esponenti dei Fratelli Musulmani ben contente di restare totalmente nascoste dal velo nero sul viso. «Tanti tra i candidati sono totalmente ignoranti di qualsiasi cultura politica. Sono cittadini che credono nel volontariato per ricostruire il Paese. La prossima legislatura non ci saranno più» spiega Fawzi Gherfal, leader del Gruppo Popolare di Tripoli, una delle liste sorte di fresco. È questo il dato più coreografico e carico di ottimismo che accompagna le ultime battute della campagna elettorale. La mobilitazione appare davvero massiccia, mostra una società civile tesa a cambiare pagina. Ma appena dietro i cartelloni colorati si evidenziano incognite preoccupanti. Nessuno nasconde che si tratta di un voto contro l'anarchia violenta delle milizie, gli arresti arbitrari e la frammentazione tribale di una società profondamente segnata dai 42 anni della dittatura. L'obiettivo delle elezioni è sostanzialmente uno: legittimare una nuova autorità centrale capace di unificare lo Stato e mettere in moto gli apparati amministrativi. Eppure le difficoltà restano immense. Sono trascorsi meno di nove mesi dal linciaggio del raìs alle porte di Sirte, dove oggi pochi votano. Ancora un anno fa i suoi soldati controllavano Tripoli e la Nato sosteneva dai cieli i combattimenti disordinati delle colonne rivoluzionarie al confine tra Cirenaica e Tripolitania. Misurata stava a fatica liberandosi dall'assedio lealista. Da Zintan si preparava l'attacco sulla capitale. Fu allora che emersero le gravi divisioni interne, sedimentate ora nei relativamente forti poteri municipali, tribali, regionali, tutti strutturalmente opposti allo Stato centrale. Conseguenza: la realtà composita delle elezioni. I 200 seggi del prossimo parlamento, destinato a formulare la costituzione entro un anno, sono contesi tra 2.500 candidati indipendenti, oltre a 1.200 esponenti di ben 142 partiti. E tutto questo per una popolazione relativamente ristretta: dei circa 3 milioni tra gli aventi diritto al voto se ne sono registrati l'83 per cento. Fanno la parte del leone i candidati islamici, ispirati tra l'altro dai recenti successi dei Fratelli Musulmani in Egitto. Nel sud però è ancora guerra aperta con le milizie legate al vecchio regime, che minacciano di attaccare i seggi. E a Bengasi permane il risentimento contro le aspirazioni egemoniche di Tripoli. La speranza viene dal greggio. La produzione è praticamente tornata ai livelli di due anni fa: se i libici si mettessero d'accordo tra loro, sarebbero poi i petrodollari a rendere tutto più semplice.
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