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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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L'Unità - Il Manifesto Rassegna Stampa
26.06.2012 Egitto: quelli che si sono svegliati il giorno dopo
Udg e Giuliana Sgrena si accorgono che non c'è stata Primavera, ma solo inverno islamista

Testata:L'Unità - Il Manifesto
Autore: Umberto De Giovannangeli - Giuliana Sgrena
Titolo: «Le paure di Israele: L’inverno islamico non porterà la pace - Tahrir, chi festeggia e chi no»

Riportiamo dall'UNITA' di oggi, 26/=6/2012, a pag. 13, l'articolo di Umberto De Giovannangeli dal titolo "  Le paure di Israele «L’inverno islamico non porterà la pace»". Dal MANIFESTO, a pag. 9, l'articolo di Giuliana Sgrena dal titolo "Tahrir, chi festeggia e chi no".

Giuliana Sgrena e Udg si svegliano il giorno dopo e scoprono che non c'è stata nessuna Primavera araba. Gli islamisti hanno conquistato il potere e questo, come rileva Udg nel suo pezzo, mette a rischio i trattati di pace con Israele, minacciato dai Fratelli Musulmani.
Gli sconfitti di piazza Tahrir sono coloro che desideravano la fine della dittatura di Mubarak e la sua sostituzione con una democrazia laica. Non c'è stato questo passaggio. In Egitto ora sta iniziando una dittatura islamica.
A Rocca Cannuccia chessidice, chessidice ?
Ecco i pezzi:

L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : " Le paure di Israele «L’inverno islamico non porterà la pace» "


Anwar Sadat con Menachem Begin, un accordo che Morsi vorrebbe rivedere

Oltre l’«inverno islamico ». Cosa rappresenti per Israele l’elezione di Mohamed Morsi a presidente dell’Egitto, è sintetizzato nel titolo a tutta pagina di Yediot Ahronot: «Il buio cala sull'Egitto ». Con questo titolo - con un sapore che richiama calamità bibliche - il più diffuso tabloid dello Stato ebraico suggerisce ai suoi lettori il significato della elezione alla presidenza al Cairo del candidato dei Fratelli musulmani Mohamed Morsi. Si tratta di «una vittoria pericolosa», avverte il giornale, anche alla luce della biografia politica di Morsi che da giovane ha iniziato le proprie attività come «direttore del Comitato nazionale contro il sionismo ». L’altro ieri l'ufficio del premier Benyamin Netanyahu ha espresso fiducia che la cooperazione con l'Egitto sia destinata a proseguire, «a vantaggio dei due popoli, e per la stabilità della Regione». Ma su questo punto, avverte Yediot Ahronot, occorre restare scettici perchè già la giunta militare ha di fatto cessato unilateralmente le forniture ad Israele di gas naturale e ha ulteriormente ridotto le relazioni bilaterali. Tuttavia Morsi, prevede il giornale, non abrogherà formalmente gli accordi di pace («il cui spirito è morto da tempo») perché essi garantiscono all'Egitto aiuti economici essenziali dall'Occidente. «La dipendenza dell'Egitto da quella assistenza - conclude il giornale - resta ora il nostro corpetto protettivo».
DISINCANTO
«La paura è diventata realtà: i Fratelli musulmani sono al potere in Egitto», titola Maariv, quotidiano di centro aggiungendo: «Il trattato di pace è a rischio ». Pragmatico, Yaacov Katz, esperti di affari militari del Jerusalem Post, afferma da parte sua che «niente cambierà a breve termine nelle relazioni con il Cairo, poiché Morsi deve affrontare sfide più pressanti di una guerra con lo Stato ebraico».Mal'arrivo al potere della Fratellanza «avrà una influenza sulla crescente minaccia terrorista nel Sinai», aggiunge. Anche il giornale Haaretz (sinistra) dedica la sua prima pagina ai «timori» che suscita in Israele il presidente islamista in Egitto. Di certo, l’elezione di Morsi ha sprofondato il governo Netanyahu in un’atmosfera di apprensione. Per tre ore e mezzo l'ufficio del primo ministro ha taciuto. Poi, pochi minuti prima delle edizioni dei telegiornali, è sopraggiunto uno stringato comunicato di quattro righe. «Israele - si leggeva - apprezza il processo democratico svoltosi in Egitto e ne rispetta l'esito. Israele si attende che la cooperazione con il governo egiziano prosegua sulla base degli accordi di pace fra i due Paesi, che è nell'interesse di entrambi i popoli e che contribuisce alla stabilità regionale». In sostanza: un appello al buon senso e al pragmatismo dei Fratelli musulmani. Gli stessi dirigenti israeliani sembrano però non farsi troppe illusioni. Citato dalla radio militare, un funzionario governativo ha già avvertito che gli sviluppi di questa elezione rischiano di essere negativi. «Fin dall'inizio - ha rilevato - avevamo avvertito che la primavera araba rischiava di trasformarsi in un inverno islamico. Allora - ha aggiunto, alludendo forse alla diplomazia di Washington - le nostre previsioni erano state oggetto di scherno. Adesso appaiono ancora più fondate». MONITORAGGIO
In Israele nelle settimane scorse ha avuto eco un acceso comizio popolare organizzato dai Fratelli musulmani in cui è stata invocata la costituzione di un Califfato islamico con capitale aGerusalemme. Al tempo stesso c'è chi si sforza di vedere il lato positivo della situazione. L’ex ambasciatore di Israele al Cairo Ely Shaqed, ad esempio, si è compiaciuto del fatto che in Egitto, per la prima volta, si siano svolte «elezioni libere, senza brogli». «Si tratta di uno sviluppo serio, storico, drammatico » ha aggiunto.Mail rischio, secondo Shaqed, è che la vittoria dei Fratelli musulmani abbia adesso ripercussioni destabilizzanti in Paesi moderati della Regione, come Giordania e Arabia Saudita, nonchè per la Autorità nazionale palestinese.

Il MANIFESTO - Giuliana Sgrena : "  Tahrir, chi festeggia e chi no"


Giuliana Sgrena

Non tutti gli egiziani hanno festeggiato la vittoria di Mohammed Morsi, candidato dei Fratelli musulmani alla presidenza. E a disertare i festeggiamenti non erano solo i sostenitori dell’ultimo primoministro di Mubarak, Ahmed Shafiq. Piazza Tahrir domenica ha cambiato colore invasa com’era dagli islamisti. A casa sono rimasti gran parte dei rivoluzionari che non hanno potuto scegliere tra i due candidati in lizza. Anche se una delle componenti della rivoluzione, il movimento 6 aprile, si è schierata con Morsi, convinta di poter condizionare le sue scelte di governo. Perché il primo compito del leader dei Fratelli musulmani sarà proprio quello di nominare il nuovo governo. L’attesa per l’annuncio dei risultati elettorali ufficiali aveva fatto temere nuove manovre dei militari. Il Consiglio supremo delle forze armate si era già premurato di limitare i poteri del presidente ben prima di proclamare la vittoria di Morsi. Non è escluso che dietro le quinte sia avvenuto un compromesso: i militari si sono incontrati con Khariat al Shater. Non sarebbe il primo. Anzi, alla base dei problemi che hanno fornito alla Corte il pretesto per lo scioglimento del parlamento, vi è l’accordo sui referendum costituzionali, passati con l’accordo tra militari e islamisti, che ha portato alle elezioni sulla base della vecchia legislazione. Che aveva premiato gli islamisti che dominavano il parlamento (con circa il 75% tra fratelli musulmani e salafiti) e che avevano nominato una costituente formata nella stragrande maggioranza da islamisti. Ora si ricomincia da capo. O quasi. Morsi non è nuovo alla politica egiziana, è stato deputato indipendente dal 2000 al 2005, e durante quel periodo ha spesso denunciato riviste e tv per immagini e scene contrarie alla sharia (legge coranica). Subito dopo la proclamazione della sua vittoria ha detto di voler essere il presidente di tutti gli egiziani, compito assai arduo visto il quadro emerso dalle elezioni: ha votato il 51 per cento degli egiziani di questi il 51,7 per cento per Morsi e il 48,3 il suo acerrimo rivale Shafiq, ma il restante 49 per cento non ha votato o ha annullato la scheda (800.000). Morsi è stato quindi eletto da circa il 26 per cento degli elettori. Il vero sconfitto da queste elezioni è il movimento rivoluzionario, che sicuramente non sarà garantito da Morsi come non lo sarebbe stato da Shafiq. A parte il movimento 6 aprile, le altre componenti rivoluzionarie avevano sostenuto il boicottaggio o l’annullamento della scheda (il movimento 25 gennaio). Come al solito la divisione della sinistra non aveva permesso a un suo candidato di arrivare al ballottaggio. E pensare che il nasseriano Sabahi, arrivato terzo, aveva avuto la maggioranza dei voti al Cairo nel primo turno. Le forze della rivoluzione hanno accusato gli islamisti di voler scippare la rivoluzione, ma se di rivoluzione si parlerà ancora sarà di quella islamica. Dopo le prime dichiarazioni concilianti, Morsi ha chiarito la sua posizione sulla politica regionale basata «sul rafforzamento dei legami con l’Iran per creare un equilibrio strategico nel Medio oriente». Inoltre, «riconsidereremo gli accordi di Camp David con Israele», ha dichiarato Morsi all’agenzia iraniana Fars. Sono dichiarazioni destinate ad avere un impatto notevole sulla regione, vista l’importanza dell’Egitto, il paese arabo più popoloso, e la tensione crescente tra Iran e Israele. Oltre agli effetti sul conflitto siriano. In questo contesto è sorprendente la soddisfazione con cui Obama e gli occidentali hanno accolto l’elezione diMohammed Morsi, che, secondo loro, dovrebbe garantire la stabilità nell’area.

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