Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 26/06/2012, a pag. 19, l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo " Egitto, il giallo dell'apertura all'Iran ", l'articolo di Lorenzo Cremonesi dal titolo "Tra i cristiani dell'Alto Nilo: «Ci hanno impedito di votare»". Dal GIORNALE, a pag. 12, l'articolo di Livio Caputo dal titolo " Obama, il miglior alleato degli islamici ". Da REPUBBLICA, a pag. 17, l'intervista di Alix Van Buren a Gamal Al Ghitani dal titolo " Con gli islamisti si va indietro, scippata la nostra rivoluzione".
Ecco i pezzi:
CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : " Egitto, il giallo dell'apertura all'Iran "

Mohamed Morsi
Zecchinelli cerca di indorare la pillola credendo alla agenzia egiziana che non ha confermato le dichiarazioni di Morsi rilasciate all'agenzia iraniana Fars circa la volontà di aprire all'Iran.
Ma il collegamento fra Egitto e Iran è evidente dal fatto che el Baradei sta tornando alla ribalta.
E' dai tempi della presidenza dell'AIEA (e della connivenza col nucleare iraniano) che el Baradei è al servizio dell'Iran.
Ecco il pezzo:
Repubblica Islamica iraniana: la Irna è vicina al presidente Ahmadinejad, la Fars alla Guida Suprema Khamenei.
In Israele le paure sulle mosse future di Morsi restano comunque alte. E grande attenzione riserva il mondo intero all'Egitto a «guida» islamica, nonostante i poteri del nuovo raìs siano ancora indefiniti e la Giunta militare destinata a mantenere un forte controllo sul Paese. Perfino il ministro degli Esteri, girava voce ieri al Cairo, potrebbe venir nominato dai generali, come quelli della Difesa e degli Interni. Le trattative per l'esecutivo che sostituirà quello di Ghanzouri dimessosi ieri sono in corso con mille ipotesi su chi ne farà parte, quasi certamente in rappresentanza anche del mondo laico. E se le priorità di Morsi (e dei generali) sono la sicurezza interna, la ripresa dell'economia e la conciliazione in un Paese diviso, è indubbio che il ruolo che il più importante Paese arabo avrà sullo scacchiere internazionale è cruciale.
Ancora ieri i leader occidentali si sono felicitati con Morsi, tra loro il premier italiano Mario Monti. Tutti hanno espresso l'augurio che il Paese continui sulla via della democrazia e della pace, velata espressione del timore che così non sarà. Perché non è solo Israele in allarme. Per restare nella regione, lo sono le monarchie del Golfo, che rimpiangono un Egitto «debole», come in fondo fu con Mubarak. La paura è che i movimenti islamici locali, anti-regimi, ora si rafforzino.
Il GIORNALE - Livio Caputo : " Obama, il miglior alleato degli islamici "


Barack Obama Livio Caputo
La elezione del primo presidente islamista nel mondo arabo - un evento impensabile ancora 18 mesi fa - ha prodotto il solito effetto: c'è chi vede il bicchiere mezzo pieno e chi lo vede mezzo vuoto. Gli ottimisti sottolineano che Mohammed Morsi si è impegnato a essere «il presidente di tutti gli egiziani», a rispettare i diritti delle donne e delle minoranze, a onorare i trattati internazionali, a collaborare con l'esercito e ha formalmente rinunciato alla sua militanza nei Fratelli Musulmani.
I pessimisti sono invece convinti che queste siano solo parole di circostanza, che presto le ben note idee fondamentaliste del neopresidente (per esempio che solo un musulmano maschio può diventare capo dello Stato) prenderanno il sopravvento e che gli stretti legami dei Fratelli con Hamas e il sostegno promesso da Morsi ai palestinesi «per la loro giusta lotta» porteranno a una denuncia dei trattato di pace con Israele. In questo quadro, pare abbastanza assurdo il comportamento dell'amministrazione Obama, che ha sostenuto piuttosto apertamente Morsi nel suo scontro con il candidato dei generali Shafik, fino a definire la sua elezione «una pietra miliare nella transizione dell'Egitto verso la democrazia». In pratica, sostengono i repubblicani, l'America ha appoggiato i suoi avversari di sempre contro i suoi alleati trentennali.
La proclamazione di Morsi a presidente è peraltro ben lungi dal risolvere il conflitto tra i Fratelli e l'establishment militare, cui rimangono molte carte da giocare. Alla vigilia del ballottaggio, la Corte Suprema (ancora formata da giudici nominati da Mubarak) ha annullato per un cavillo le elezioni legislative, in cui i Fratelli e gli estremisti Salafiti avevano ottenuto il 70 per cento dei voti, e il Consiglio supremo militare ha proclamato una Costituzione provvisoria che priva il presidente di molti dei suoi poteri, riserva alla giunta il potere legislativo e il controllo dei bilanci e reintroduce virtualmente la legge marziale. Morsi ha contestato questi provvedimenti, impegnandosi a giurare non davanti alla Corte, ma davanti al Parlamento (ufficialmente disciolto), e ha assicurato che la piazza non smobiliterà fino a quando i generali non faranno marcia indietro e avvieranno un processo costituzionale democratico. Il segretario generale dei Fratelli El Beltagui ha precisato che «il presidente è anche il comandante delle Forze armate e sta quindi ai militari tornare nelle caserme».
Da come si risolverà questo braccio di ferro dipenderà in larga misura se Morsi sarà un presidente a pieno titolo, o soltanto a mezzo servizio, costretto a venire a un compromesso con i militari.
Al di là di questo dualismo, il compito che attende Morsi è da far tremare le vene e i polsi. Per acquistare credibilità presso la quasi metà della popolazione che gli ha votato contro, dovrà cercare di cooptare nel nuovo governo le forze laiche, che all'inizio sono state l'anima della rivoluzione, venire a patti con una burocrazia tuttora fedele al vecchio regime e soprattutto raddrizzare una economia che dall'avvento della «primavera» è andata di male in peggio.
CORRIERE della SERA - Lorenzo Cremonesi : " Tra i cristiani dell'Alto Nilo: «Ci hanno impedito di votare» "

Cristiani in Egitto
DEIR ABU HANNIS — Questo viaggio di 500 chilometri a sud del Cairo tra la miriade di antichi villaggi copti dell'alto Nilo ci è stato indirettamente suggerito domenica pomeriggio da Farouk Sultan, il giudice capo della commissione elettorale. E' stato lui, annunciando l'elezione a presidente del candidato dei Fratelli Musulmani Mohammed Morsi, a denunciare infatti specialmente Deir Abu Hannis come una delle località dove gli attivisti del campo islamico avrebbero «metodicamente impedito ai cristiani di andare alle urne». E fornendo un dato specifico: 2.400 elettori sarebbero stati privati con il sopruso di uno dei loro diritti fondamentali di cittadini.
Ieri a metà mattinata siamo arrivati in auto nella vallata lungo il fiume presso la cittadina di Mallawi, tra Al-Minya e Assiut. Sono zone note per le violenze e il terrorismo degli anni Novanta. Qui la Gama'a al-Islamiyya (organizzazione responsabile dell'assassinio di Anwar Sadat nel 1981) per oltre un decennio aggredì i sempre più rari turisti di passaggio (le autorità costrinsero gli stranieri a prendere il volo per Luxor, in certi casi vietarono le crociere sul medio-alto Nilo), bloccò le vie di comunicazione e attaccò gli insediamenti cristiani. Le chiese locali vennero costrette al coprifuoco notturno, decine di farmacisti e medici copti furono sistematicamente uccisi con l'accusa di diffondere Aids e malattie veneree tra le donne musulmane. Oggi la violenza di quegli anni è diventata un doloroso ricordo. L'esercito ha largamente battuto i gruppuscoli dell'eversione. Eppure, i capi delle comunità cristiane restano vigili.
I campanili allungati nel cielo azzurrissimo della decina di basiliche di Deir Abu Hannis annunciano la presenza del villaggio già dai palmeti, i campi di pannocchie e le coltivazioni fitte della canna da zucchero. Una volta giunti tra i viottoli non asfaltati del centro è il responsabile del consiglio municipale, il 45enne Sarnas Ghani, a raccontare i fatti. «Le elezioni sono state disturbate in particolare da un commissario di seggio, Ahmad Mohammad Wagi, responsabile locale dei Fratelli Musulmani, che ha fatto di tutto per boicottare e ritardare le operazioni ben sapendo che noi cristiani avremmo scelto in massa il candidato più vicino ai militari, Ahmed Shafiq. Risultato: circa 5.000 elettori sono stati rallentati. Tanti vecchi in attesa sotto il sole se ne sono tornati a casa scoraggiati. Abbiamo protestato. Ma lui ha adottato ogni trucco per frenare: la pausa pranzo, pretestuose difficoltà procedurali e la finta di un malore». Ghani fornisce i risultati tra i circa 35.000 abitanti del villaggio: 6.832 per Shafiq, 79 per Morsi, 279 schede bianche o non valide. E le vittime della frode? «Alcune centinaia. Probabilmente meno di quelli denunciati dal giudice Sultan, perché noi in serata siamo passati casa per casa per incoraggiare gli anziani a tornare ai seggi. Lui è stato influenzato dalla propaganda di Shafiq».
Tra gli avventori di una fumeria di narghilè le reazioni della vittoria dei «Fratelli» sono molto meno preoccupate che non quelle raccolte nelle scorse settimane tra i copti del Cairo e Alessandria. «Avremmo preferito Shafiq. Però anche Morsi va bene. Ora stiamo a vedere che accordo troverà con i militari. L'importante è che i Fratelli Musulmani non pretendano di cambiare le nostre esistenze private cercando di imporre la legge islamica. In quel caso resisteremo. Nessuno potrà venire nel villaggio a costringere le nostre donne a indossare il velo. Se lo faranno, tra 4 anni riceveranno molti meno voti e avremo un governo più laico», dicono in coro. Nessuno parla di emigrare. C'è un forte senso di appartenenza e la scelta di far fronte alla minaccia sociale dell'islamizzazione. Padre Benedetto, della chiesa dedicata alla Vergine, insiste sulla necessità della coesistenza pacifica con i villaggi musulmani attorno. Poi narra della storia antichissima del cristianesimo locale. Ci porta nella chiesetta di San Giorgio, eretta nel IV secolo, cui più tardi venne aggiunta una galleria segreta per garantire ai fedeli la fuga verso le sponde del Nilo durante i pogrom musulmani. Prova recente del persistere del forte senso di mobilitazione in nome dell'identità religiosa sono state nel giugno 2009 le manifestazioni contro la volontà del governo di cambiare nome al villaggio. «Volevano cancellare quello cristiano antico 14 secoli per trasformarlo in un banalissimo wadi nana, valle delle foglie di menta. Ma siamo scesi in piazza in oltre 5.000, e alla fine hanno rinunciato», raccontano nella scuola. Meno convinta di poter resistere agli islamici è però Anne Waghizaki, 24enne laureata in informatica. «Ho paura. Tanta paura che possano cercare di non farmi lavorare. Ai musulmani le donne che lavorano non vanno bene. Ci vogliono tutte a casa a fare figli».
La REPUBBLICA - Alix Van Buren: " Con gli islamisti si va indietro, scippata la nostra rivoluzione "

Gamal Al Ghitani
«DOVREI dirmi contento? Sì, le prime elezioni presidenziali mi rallegrano. Però, si apre un’era molto difficile: per la prima volta da un millennio, da quando Muhammad Ali fondò l’Egitto moderno guardando all’Occidente, il Paese subisce un mutamento epocale: i Fratelli musulmani governano. Non avrei mai immaginato che la nostra grande rivoluzione finisse così». Gamal Al Ghitani, romanziere e giornalista, a 67 anni è la memoria storica del Cairo, protagonista del capolavoro
Zayni Barakat.
Un gigante della letteratura, il giorno dell’insediamento di Morsi è sferzante, come sempre.
Ghitani, perché tanta preoccupazione?
«Perché i Fratelli musulmani sono venuti per restare. Da 84 anni vogliono controllare l’Egitto. Da allora il Paese è segnato dal conflitto fra società laica e religiosa. Per noi scrittori, artisti, musicisti, per il mondo laico votato ai diritti fondamentali, questo è un gran brutto momento».
Il presidente Morsi ha promesso un governo aperto a tutte le componenti della società. Lei non gli crede?
«E come farlo? Per sei mesi in parlamento i Fratelli musulmani non si sono occupati di economia, dei problemi della popolazione, ma della vita privata della gente, dell’istruzione, della censura. Quanto sia pericolosa la svolta è dimostrato dall’immagine di piazza Tahrir, domenica, affollata soltanto di Fratelli musulmani. I rivoluzionari del 25 gennaio, meno organizzati, senza leader, privi dei fondi miliardari di cui dispone l’Ikhwan, finanziato dal Qatar, sono stati messi da parte. Gli islamisti hanno scippato la rivoluzione, così come dilagano nello Yemen, in Siria, in Tunisia».
Lei non è troppo pessimista?
«Lo sono nel medio termine: e come me ben 10 milioni di cristiani copti, che infatti emigrano. E io, musulmano intellettuale, devo preoccuparmi anche per loro. I Fratelli musulmani vogliono fondare il primo Stato religioso d’Egitto. Però, nel lungo termine sono ottimista. Gli egiziani capiranno il gioco dell’Ikhwan. Verrà un’altra rivoluzione. Noi non baratteremo una dittatura militare con una religiosa»
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