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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio-Corriere della Sera Rassegna Stampa
16.06.2012 Egitto: arriveranno i barbuti ?
Analisi e reportage di Lorenzo Cremonesi sui Fratelli Musulmani

Testata:Il Foglio-Corriere della Sera
Autore: Editoriale del Foglio-Lorenzo Cremonesi
Titolo: «In Egitto un errore fatale-Internet e pannocchie, nella culla dei fondamentalisti»

Su tutti i giornali oggi, 16/06/2012, le cronache dall'Egitto in attesa del risultato delle presidenziali,  dopo la decisione  dei militari di sciogliere il parlamento. Dandole per conosciute, riprendiamo due commenti, il primo dal FOGLIO, un editoriale a pag. 3, dal CORRIERE della SERA l'analisi di Lorenzo Cremonesi, a pag.18, sui Fratelli Musulmani.
Ecco gli articoli:

Il Foglio- " In Egitto un errore fatale "

Morsi & Shafik

Nemmeno i Fratelli musulmani, potenti e spregiudicati come sono, sono riusciti a impedire finora ai militari egiziani di portare avanti il loro piano di sopravvivenza. E quando non sai cosa augurarti, commentando un’elezione che avrebbe dovuto essere libera, vuol dire che le premesse di una transizione sono evaporate. La prima domanda da porsi è: dov’eravamo, noi occidentali democratici e paternalisti, mentre tutto questo accadeva? Le giustificazioni, signora maestra, sono tante: c’è la crisi economica, c’è la crisi siriana, c’è la crisi iraniana, c’è la crisi dell’euro, chi lo trova il tempo per l’Egitto? Nessuna però è decisiva: noi eravamo altrove, ma forse in fondo eravamo terrorizzati dalla deriva islamista e abbiamo iniziato a rimpiangere lo status quo: i militari sono brutali ma sono quelli con cui abbiamo imparato a fare i conti. I Fratelli musulmani invece sono incontrollabili, non sono mossi soltanto dal potere, vogliono conquistare paesi e terre per accerchiare l’intruso israeliano e dimostrare all’occidente che non vale nulla. Fanno paura. E forse per paura, abbiamo voltato lo sguardo altrove. C’è chi invece ha sempre pensato che i Fratelli costretti a infilarsi l’abito da politico avrebbero dimostrato un pragmatismo inaspettato: i soldi servono anche a loro e, se vogliono che gli investimenti non scappino, devono piegarsi a un pur minimo dialogo internazionale. Ma in questi caotici diciotto mesi di rivoluzione/ transizione, una volta conquistato il Parlamento, i Fratelli non hanno dato grande prova di sé: hanno abbandonato la piazza, hanno stretto patti con il regime, hanno fatto un errore via l’altro nella gestione delle loro candidature e infine si sono fatti sorprendere impreparati dal giudizio della Corte costituzionale che ha confermato al ballottaggio di oggi l’ex premier di Mubarak, Ahmed Shafik. Come sia stato possibile che la gran macchina di potere dei Fratelli musulmani – moschea per moschea, quartiere per quartiere, un welfare dal basso degno della migliore socialdemocrazia – sia implosa in questo modo è un’altra delle domande che ci poniamo, e forse al fondo c’è che il regime e il suo sistema di potere è ben più radicato, il “feloul”, tutto ciò che ha a che fare con il regime, non è affatto un “rimasuglio”, ma è l’Egitto di oggi, un paese che si è liberato del suo dittatore, ma ha tenuto tutto il resto. Come scrive l’Economist nell’endorsement ai Fratelli musulmani, Shafik non è un candidato “decent”, e siccome l’alternativa liberale è stata già frantumata al primo turno, non resta che Morsy, “una scelta piena di rischi, ma migliore rispetto a un ritorno a un passato d’oppressione sotto Shafik”. Molti pensano che questo senso di tradimento potrà essere decisivo nelle urne e negare ai militari l’ultimo miglio del loro piano istituzionale. Non si sa cosa sia meglio augurarsi, ma è forte la consapevolezza che questa volta girarsi dall’altra parte per paure e distrazioni sia stato un errore fatale.

Corriere della Sera-Lorenzo Cremonesi: " Internet e pannocchie, nella culla dei fondamentalisti "

 

Le barbe in arrivo ?

DAL NOSTRO INVIATO
MAHMUDIA (Egitto) — La prima sorpresa s'incontra già alla periferia della cittadina, proprio dove il dedalo di canali e rigagnoli minori che compongono l'ubertoso delta del grande fiume vede confondersi le abitazioni in cemento grezzo al verde intenso delle piante acquatiche. E arriva con le parole di un semplicissimo venditore di pannocchie arrostite presso il suo carretto scottato dalla brace vermiglia, che aggiunge calura ai 40 gradi all'ombra, parcheggiato al lato della provinciale: «Non importa se qui vicino è nato il padre fondatore dei Fratelli Musulmani. Ho votato per loro al Parlamento in dicembre. Ma dopo soltanto sei mesi hanno deluso. Non mantengono le promesse, sono corrotti come lo era il regime di Mubarak e non garantiscono la sicurezza. Non mi imbrogliano più: scelgo Ahmed Shafiq, il loro nemico numero uno». Un segnale che lascia sconcertati e induce a non dare tutto per scontato in questo Paese profondamente sconvolto dalla fase della transizione post-rivoluzionaria.
Siamo venuti a Mahmudia, nel delta del Nilo, una settantina di chilometri da Alessandria, per visitare la casa natale di Hassan al-Banna, carismatico iniziatore del movimento dei Fratelli Musulmani, nella convinzione di raccontare le ultime fasi della campagna elettorale per le presidenziali dalla loro roccaforte più agguerrita. Ma abbiamo trovato un coro di critiche, quasi un muro popolare di ostilità inaspettato. L'abitazione degli al-Banna è una costruzione bassa, grigiastra, semidistrutta nel quartiere centrale di Bakir. Qui nacque Hassan nel 1906, qui andò a scuola, si avvicinò giovanissimo ai movimenti dell'integralismo religioso e fece parte a soli 12 anni di un'organizzazione vicina al sufismo dal nome indicativo: «Società per il comportamento morale». Frequentò poi la vicina moschea «Goari», tuttora funzionante, e di cui il padre orologiaio era un predicatore apprezzato. La casa è su di un piano solo, dal tetto sfondato, porte e finestre murate, immondizia dovunque. «Il regime l'aveva sigillata vietandone l'accesso. Uno dei tanti provvedimenti mirati a combattere i Fratelli», spiega un vicino, Alì Abdel, 67 anni, impiegato in pensione, che a sua volta non nasconde la critica radicale. «Peccato! Mi ero illuso potessero traghettare il nuovo Egitto verso un futuro di stabilità. Ma hanno raccontato un mucchio di menzogne a partire dalla promessa un anno fa di non candidarsi alle presidenziali, salvo poi presentare addirittura due aspiranti», aggiunge.
L'attività politica di al-Banna decollò dal momento del trasloco con la famiglia prima a Ismailia e poi al Cairo, dove tra il 1924 e il 1928, divenne un leader carismatico rispettato via via in tutto il Medio Oriente. Eppure già a Mahmudia aveva iniziato a scrivere migliaia di lettere, come poi continuò a fare per tutta la vita sino al suo assassinio nel 1949, in cui si indirizzava ai concittadini per indurli a rispettare nel pubblico e privato tutti i dettami etici e morali dell'Islam. Un personaggio complesso, contraddittorio, a parole contrario alla violenza, ma anche disposto per esempio ad armare la resistenza antisionista palestinese negli anni Trenta. A tratti implacabile contro la monarchia di Re Faruk, ma anche aperto a collaborare per le riforme interne. Quindi sostenitore del movimento golpista dei «Giovani Ufficiali» di Gamal Abdel Nasser, di cui però non fece tempo a vedere la vittoria nel 1952 e neppure subire la durissima repressione voluta poi dal nuovo socialismo nazionalista pan-arabo contro il radicalismo religioso.
Il gruppetto di Fratelli legati alla «Goari» sta lavorando per rilanciare il retaggio degli al-Banna. «Appena dopo le presidenziali valorizzeremo l'abitazione. Abbiamo in progetto la totale ristrutturazione, compresa la costruzione di una grande statua di Hassan, oltre alla fondazione di una scuola coranica. Vorremmo farne un luogo di pellegrinaggio. Ora arrivano centinaia di fedeli ogni settimana, anche dall'estero. Però prendono qualche foto e se ne vanno. Mahmudia deve diventare un centro vitale dell'Islam politico», dice entusiasta l'imam locale, il 38enne Mohammad Musa. Eppure l'impressione è che i loro progetti di rilancio internazionale rischino di incagliarsi solo a pochi metri dall'ingresso della moschea locale. «Ieri sera (due giorni fa per chi legge, ndr) i Fratelli Musulmani hanno picchiato a sangue il 27enne Ikrami Abdel Kader solo perché stava facendo campagna elettorale per Shafiq. Dalla moschea prendono le liste dei negozianti che appendono i cartelli dell'opposizione e invitano i fedeli a non comprare da loro. È democrazia questa?», denunciano in un minuscolo caffè del quartiere. Più duro ancora il 22enne Aissam Mussa, che a soli 21 anni è proprietario del «Friends», l'unico Internet caffè del centro. «Lasciamo in pace al-Banna e la sua storia — sbotta —. Sono cose del passato. Io so soltanto che se il candidato dei Fratelli, Mohammad Morsi, diventerà presidente, Internet verrà censurato e perderò il negozio, che è il mio futuro».
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