L' Alta Corte Costituzionale ha riconosciuto come 'incostituzionale' e sciolto il Parlamento eletto nelle elezioni dello scorso inverno. Saranno indette altre elezioni per il prossimo autunno. Inoltre non è stato accettato il ricorso contro il candidato Shafik. Si apre un periodo di caos ancora maggiore di quello dei mesi scorsi per l'Egitto. Lo aveva previsto Zvi Mazel due giorni fa nel suo articolo (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=310&id=44884).
A destra, Zvi Mazel
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 15/06/2012, a pag. 18, l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo " L'Egitto torna in mano ai militari ", la sua intervista a Saad Eddin Ibrahim dal titolo " «La transizione ora si complica ma Piazza Tahrir non può morire» ". Da REPUBBLICA, a pag. 15, l'articolo di Tahar Ben Jelloun dal titolo " La rivoluzione sequestrata dagli islamisti ", preceduto dal nostro commento.
Ecco i pezzi:
CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : " L'Egitto torna in mano ai militari"

Ahmed Shafik
IL CAIRO — Una doppia sentenza dell'Alta Corte Costituzionale sembra aver messo fine in pochi minuti al sogno di potere dei Fratelli musulmani e alla paura del mondo di un nuovo Califfato sulle rive del Nilo. Ma ha anche cancellato, secondo molti egiziani, la Rivoluzione più importante e in apparenza vittoriosa del mondo arabo, i 16 mesi di «transizione» difficile ma tollerata perché premessa di democrazia, le speranze di chi vedeva l'era Mubarak chiusa per sempre. La cautela è necessaria nell'immaginare cosa accadrà in un Paese che ha finora smentito ogni previsione. Di certo c'è comunque che ieri i 18 membri del massimo tribunale egiziano, riuniti nell'edificio neofaraonico di Maadi tra filo spinato, blindati e agenti antisommossa, hanno riscombinato ogni gioco.
«Incostituzionale», secondo il loro giudizio inappellabile, è infatti il Parlamento eletto in inverno dove la Fratellanza e i salafiti controllano quasi il 70 per cento dei seggi. Un terzo dei candidati avrebbe dovuto essere scelto tra gli «indipendenti», mentre molti erano uomini di partito: l'intera Assemblea è da ieri sciolta e nuove elezioni si terranno in autunno. E difficilmente i partiti islamici avranno ancora così tanti voti. «Incostituzionale» è anche la legge che avrebbe proibito all'ex generale e ultimo premier di Mubarak, Ahmed Shafiq, di presentarsi al ballottaggio in programma domani e dopo per nominare il nuovo raìs, proprio perché colluso con il regime abbattuto. Dato per favorito contro il candidato dei Fratelli musulmani Mohammed Morsi — che al primo turno in maggio si era piazzato primo per pochi voti — Shafiq si troverà presidente di un Paese senza Costituzione né Parlamento. Restano in carica il Senato, ma con ben poco potere, e il governo, dove però si prevede presto un rimpasto. E resta fermamente in controllo del Paese la Giunta guidata dal maresciallo Hussein Tantawi. Nel caso, meno probabile, di una vittoria di Morsi lo scenario non è comunque più semplice. Avversati dai militari, dai cristiani, dallo «Stato profondo» dei burocrati, dal business, da molti laici e perfino da alcuni integralisti islamici, i Fratelli musulmani e il loro raìs si troverebbero soli. «Rispettiamo la decisione della Corte», ha dichiarato Morsi, smentendo le voci di un suo ritiro dal ballottaggio. Ma, nella notte, ha sostenuto che le sentenze indicano che «qualcuno trama contro l'Egitto», accusando i «criminali del regime di Mubarak» ancora al potere. Alti dirigenti della Fratellanza hanno quindi accusato la Giunta e i giudici di «colpo di Stato» e previsto che il Paese entrerà in «un tunnel oscuro se il Parlamento sarà davvero dissolto» (e lo sarà). Di golpe ha parlato chiaramente Abdel Moneim Abul Futuh, islamico moderato ed ex Fratello, battuto al primo turno in maggio: «Non solo per i due verdetti ma per la legge che permette ai militari di arrestare i civili», ha spiegato riferendosi a una norma approvata tre giorni fa senza clamore, che di fatto reintroduce le leggi d'emergenza appena abolite. Mohammed ElBaradei, il premio Nobel amato dalla Rivoluzione ma ritiratosi dalle presidenziali, ha definito la situazione dell'Egitto — un raìs senza Costituzione né Parlamento — come «degna della peggiore dittatura». E commenti simili sono arrivati dai blog, dalle tv, da tutti gli indignati. Da quelli che non pensano, come Shafiq, che ieri la Corte abbia invece emesso «due sentenze storiche». Una parte dell'Egitto che però non è maggioritaria, ed è comunque estenuata: mentre si moltiplicavano le promesse di nuove proteste oceaniche, la piazza simbolo della Rivoluzione, Tahrir, ieri sera era vuota.
CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : " «La transizione ora si complica ma Piazza Tahrir non può morire» "

Saad Eddin Ibrahim
IL CAIRO — «Ma quale colpo di Stato, le due sentenze dell'Alta Corte sono finalmente un segno che la legge e la magistratura sono rispettate anche in Egitto, sono un passo che nel lungo termine si rivelerà positivo per il nostro Paese e che tutti dovrebbero accettare proprio in nome della democrazia e della Rivoluzione». A schierarsi contro le proteste di gran parte dell'opposizione all'ancien regime e alla Giunta è, a sorpresa, il dissidente più noto dell'era Mubarak. Sociologo, accademico, nemico giurato dell'ex raìs che lo volle in carcere per anni proprio per le sue pubbliche accuse e lo costrinse poi all'esilio in Usa, Saad Eddin Ibrahim, 73 anni, era tornato in Egitto il giorno della caduta del regime, l'11 febbraio 2011. L'avevamo accolto all'aeroporto con i suoi sostenitori e aveva parlato di «grande vittoria del popolo», dell'«inizio di una nuova era».
Lo pensa ancora oggi, la Rivoluzione non è morta?
«No, il Paese non tornerà più indietro a quegli anni bui. Nemmeno se Mubarak tornasse raìs potrebbe dominarci come in passato. Ma i giovani di Tahrir, troppo idealisti, hanno fatto errori enormi. Non si sono organizzati e hanno demonizzato i leader, i partiti, la politica. Questo è il prezzo che ora pagano, una transizione più lunga di quanto tutti avremmo sperato. Ma il Paese si è svegliato, per la prima volta tutti s'interessano alla politica e la paura è stata abbattuta».
Non crede che Shafiq, a cui l'Alta Corte ha spianato la strada, sia un ritorno al vecchio regime?
«No, anche su questo dissento. E anzi lo voterò. Al primo turno avevo scelto il candidato socialista arrivato terzo, ora voterò lui perché temo molto di più una vittoria dei Fratelli Musulmani. Tra un laico e un religioso io non ho dubbi, anche se molti tra i miei amici e i miei compagni di lotta e perfino in famiglia non sono d'accordo. E conosco Shafiq: pochi giorni fa ho passato tre ore con lui e gli ho chiesto di impegnarsi su sette punti per me cruciali, dai diritti umani e alle libertà, all'impegno di lasciare dopo un mandato. Ha accettato, ufficialmente. E credo che sarà di parola».
Eppure la Giunta ha appena reintrodotto la legge che permette l'arresto di civili solo perché sospetti. Non è un pessimo segno?
«È negativo, certo. Ma in politica si chiede e si concede. Se vogliamo che i militari lascino il campo ai civili dobbiamo dare loro qualcosa, anche l'elezione di Shafiq è in parte una concessione perché i militari con lui non si sentiranno minacciati e si ritireranno progressivamente. E intanto è importante che il loro potere non sia assoluto. Accanto ai tre poteri tradizionali, il legislativo, il giudiziario, l'esecutivo che comprende anche la Giunta, ormai ne esiste un quarto, ovvero Tahrir. Quattro entità che si bilanciano, a volte una prevale sull'altra come è stato ora con il giudiziario, o si attenua, come è sempre ora per il Parlamento. Ma mai in modo duraturo. Anche le difficoltà di Tahrir non sono assolute. La Rivoluzione ha solo inciampato negli ultimi mesi, non è affatto finita».
La REPUBBLICA - Tahar Ben Jelloun : " La rivoluzione sequestrata dagli islamisti "

Tahar Ben Jelloun
Tahar Ben Jelloun - da sempre ostile a Israele nei suoi articoli - si chiede " perché le rivolte arabe abbiano comunque finora finito per favorire gli islamisti a discapito delle forze democratiche". Ottima domanda, peccato che non si possa definire nello stesso modo la sua risposta.
Secondo Tahar Ben Jelloun : " C’è un ultimo aspetto che favorisce la vittoria degli islamisti un po’ ovunque nel mondo arabo: la paura dell’islam in Europa è sempre più alimentata da politici e intellettuali che parlano di «fascismo verde» e di minacce per l’identità europea. ". L'islamofobia- sempre che esista- sarebbe la causa e non la conseguenza dell'ascesa degli islamisti?
Ben Jelloun continua : "La paura dell’islam è un buon alleato dell’estremismo e del razzismo. Alcuni islamisti usano gli stessi stratagemmi per rigettare tutto quel che viene dall’Occidente e mettono in scena le provocazioni che inquietano le popolazioni europee.". La paura dell'islam deriva dalle manifestazioni islamiste sempre più diffuse anche in Occidente, al di fuori dei Paesi islamici. L'islam è un'ideologia violenta e anti democratica. Le manifestazioni con cartelli che inneggiano alla sharia e roghi di bandiere sono manifestazioni di odio, proclami di guerra contro l'Occidente. Non sono semplici 'provocazioni'.
Ecco il pezzo:
La sentenza della Corte Costituzionale egiziana di ieri ha annullato la vittoria degli islamisti in Parlamento. Ma, al di là di questo recente sviluppo, la domanda da porsi è perché le rivolte arabe abbiano comunque finora finito per favorire gli islamisti a discapito delle forze democratiche, nonostante i militanti religiosi non abbiano né promosso le rivolte né partecipato.
La prima ragione che salta agli occhi è l’assenza di democrazia in questi Paesi: organizzare delle elezioni è una tecnica, non una cultura ben assimilata. Nessun Paese arabo è ancora mai riuscito a diventare uno Stato di diritto. La seconda ragione sta nelle inquietudini suscitate dalla crisi economica e finanziaria che scuote il pianeta. La religione diventa un rifugio metafisico. Contro l’assurdità del denaro virtuale, contro la speculazione che manda in rovina milioni di famiglie, il musulmano esibisce la sua religione, si ripara dietro di essa come una protezione magica, e soprattutto tranquillizzante. L’islam è per natura conciliante, raccomanda la pazienza e il ricorso a Dio.
I tunisini e gli egiziani, per esempio, hanno scelto in maggioranza l’islam come cultura e identità: l’esercizio quotidiano di questa religione li fa star bene. Tutto nasce dal fatto che i dittatori che li hanno dominati per decenni erano percepiti come emanazioni della politica occidentale. L’Occidente nel suo complesso — Europa e Nordamerica — è considerato complice dei dittatori, ma anche origine di una cultura laica in conflitto con le tradizioni ancestrali di una società dove l’islam è sempre stato vissuto come una morale e come la fonte di un grande civiltà. La laicità è concepita dagli islamisti non come una separazione fra religione e Stato, ma come una negazione della religione, un ateismo mascherato che non ha il coraggio di dichiararsi apertamente. Il dibattito viene respinto in blocco. Esiste una società civile che fa della laicità il suo cavallo di battaglia, ma è minoritaria e viene combattuta con argomentazioni infondate e demagogiche, e in certi casi con violenza criminale.
Spazio all’islam allora, in quanto ideologia, morale, cultura e identità! Questo islam trionfante rassicura senza grande sforzo. Sul
volto dei militanti e dei dirigenti islamisti si legge una soddisfazione beata. Sono felici. Hanno la sensazione che ormai più niente possa intralciare i loro progetti.
In Marocco esiste una società civile dinamica che considera l’islamismo
solo una tappa nel processo di democratizzazione del Paese. Ben diversa è la situazione in Egitto, dove la rivoluzione non ha ancora partorito tutte le speranze della gente e dove la resistenza dei dimostranti, che vedono la rivoluzione
sequestrata dai fanatici, è viva e per nulla rassegnata. Le elezioni presidenziali hanno dimostrato almeno una cosa: ogni voto conta e malgrado qualche broglio c’è stata incertezza fino all’ultimo. Truccare e orientare il voto a piacimento,
come faceva prima Mubarak, ormai è impossibile. Gli islamisti hanno ottenuto solo un ottavo dei voti complessivi, ma subiscono la concorrenza dei salafiti, che vogliono l’applicazione immediata della sharia e l’intervento dello
Stato nell’economia e sono nemici dichiarati dei cristiani copti. I loro militanti vengono dai quartieri poveri. Rispetto a loro i Fratelli musulmani appaiono come il male minore: vengono votati dai ceti medi e in campo economico sono liberisti. Mohamed Morsi, il candidato del partito, ha buone speranze di vincere il ballottaggio e in questo caso dovrà scendere a compromessi con i militari, che faranno di tutto per mantenere i privilegi economici concessi da Mubarak.
Nonostante una legge vieti agli esponenti del vecchio regime di presentarsi alle elezioni, il generale Ahmad Shafiq, ultimo primo ministro di Mubarak, è riuscito ad aggirarla e ora è al ballottaggio. Può contare sul sostegno plebiscitario dei copti e dei nostalgici del mubarakismo. I militari lo appoggiano: dallo scoppio della rivoluzione più di 12.000 giovani sono stati arrestati e condannati da tribunali militari speciali, e altri cittadini sono stati uccisi nel corso di proteste di piazza.
A prescindere da quelli che saranno i risultati finali, il popolo egiziano è consapevole che la tappa islamista sia ineluttabile. Quando si dovranno misurare con i problemi reali, perderanno credibilità, la delusione è scontata. Lo Stato di diritto non si introduce per decreto, si costituisce giorno dopo giorno, attraverso le difficoltà e le esigenze di una reale cultura democratica.
C’è un ultimo aspetto che favorisce la vittoria degli islamisti un po’ ovunque nel mondo arabo: la paura dell’islam in Europa è sempre più alimentata da politici e intellettuali che parlano di «fascismo verde» e di minacce per l’identità europea. Queste opinioni hanno confortato l’islamofobia latente, favorendo gli inquietanti successi dei partiti di estrema destra in Norvegia, Finlandia, Olanda e Serbia, senza parlare del successo del Fronte nazionale in Francia o di quello dell’Unione democratica di centro in Svizzera (26,6 per cento). La paura dell’islam è un buon alleato dell’estremismo e del razzismo. Alcuni islamisti usano gli stessi stratagemmi per rigettare tutto quel che viene dall’Occidente e mettono in scena le provocazioni che inquietano le popolazioni europee.
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