Il MANIFESTO e L'UNITA' insieme, non ci pare una grande novità, Michele Giorgio, sul primo, spesso insegue Udg sulla seconda, ma poi si verifica l'incontrario, è Udg che insegue Giorgio, cosa più che logica, guadagnare il primo posto non è da poco nella gara a chi delegittima con più forza Israele.
Oggi, 10/06/2012, ci è parsa l'occasione giusta per imparentarli più di quanto già non siano.
Sul quotidiano di Rocca Cannuccia, Giorgio lancia l'allarme, il Vaticano sta per cadere nelle grinfie degli infedeli fratelli maggiori, presto, qualcuno intervenga. Tanquillo Giorgio, la politica vaticana è saldamente nelle mani dei filo-islamici, sotto la stretta sorveglianza di Monsignor Ilarion Capucci, che si sia distratto un po' ? ma no !
Sul quotidiano 'fondato da Antonio Gramsci', Udg chiama anche lui a raccolta, ma sembra piuttosto rivolgersi agli 'ebrei buoni', attenti, scrive, i vostri fratelli cattivi sono diventati dei nazisti, presto, intervenite.
Potevamo non metterli insieme ?
Ecco i due pezzi-appello :

Papa Ratzinger e Shimon Peres
Il Manifesto-Michele Giorgio: " Imminente accordo tra Vaticano e Israele"
Cresce la preoccupazione in casa palestinese per il nuovo accordo tra la Santa Sede e Israele che dovrebbe essere finalizzato, e forse anche firmato, domani. Centri per i diritti umani ed esperti di leggi internazionali come Charles Shamas, in questi ultimi giorni hanno fatto conoscere ai più alti rappresentanti della Chiesa Cattolica, incluso il Segretario di stato Tarcisio Bertone, l’apprensione per queste nuove intese che dovrebbero chiudere le trattative che si trascinano da quando il Vaticano e lo Stato ebraico hanno stabilito piene relazioni diplomatiche all’inizio degli anni Novanta. Dopo aver studiato la bozza dell’accordo, i palestinesi temono che la Santa Sede si prepari ad accettare che la legislazione israeliana venga applicata anche su luoghi e siti religiosi in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, ossia nei Territori palestinesi occupati nel 1967, come il Monte Sion, Tantur, il Monte degli Ulivi, Jabal Abu Ghneim (Har Homa), Betania e Tubas (Nablus). «Riconoscere a Israele il diritto di esercitare la sovranità giuridica su questi luoghi, significa che il Vaticano accetta de jure l’annessione (a Israele) di aree che la legge internazionale indica come occupate», denuncia un esperto palestinese di diritti umani che ha chiesto di rimanere anonimo. Secondo i palestinesi, firmando il nuovo accordo con Israele la Santa Sede viola il suo dichiarato impegno per una soluzione pacifica e negoziata del conflitto, con danni enormi per il diritto alla libertà e all’indipendenza del popolo sotto occupazione. Per questo esortano i vertici della Chiesa cattolica a congelare a tempo indeterminato la firma delle intese, in attesa di chiarimenti e di una più approfondita valutazione dell’impatto dell’accordo.
L'Unità-Umberto De Giovannageli: " Israele, il popolo dei lager non può costrire dei lager "

Un popolo che ha conosciuto l’orrore della deportazione forzata, un popolo che sa cosa significhi guardare ilmondo da dietro il filo spinato, questo popolo non può, non deve smarrire la sua memoria collettiva e fondare la propria sicurezza sui Muri e i campi di detenzione». Le parole di Shulamit Aloni - figura storica del pacifismo israeliano, più volte ministra nei governi guidati da Yitzhak Rabin e Shimon Peres - danno conto di una vicenda drammatica che va oltre la dimensione politica e tocca le corde, sensibili, della memoria e dei sentimenti. Decine di migliaia di immigrati irregolari presenti oggi a Tel Aviv e in altre città israeliane saranno trasferiti presto in campi di detenzione in costruzione e in «città di tende». Ad annunciarlo, nei giorni scorsi, è stato il ministro dell’Interno israeliano, all’indomani della sentenza del Tribunale distrettuale di Gerusalemme che ha autorizzato l’espulsione di circa 1.500 sud-sudanesi. Interpellato dalla radio pubblica, il ministro Eli Yishai ha dichiarato che «ci sono ancora circa 15 mila persone provenienti dal Sudan del nord e circa 35 mila dall’Eritrea». «Sono prossimi all’espulsione, che avvenga con il loro consenso o meno - ha aggiunto - questo numero rappresenta una minaccia per l’identità ebraica». Il governo ha quindi deciso di trasferire gli immigrati privi di permesso di soggiorno in centri di detenzione in costruzione nel sud del Paese, mentre nel frattempo, «abbiamo intenzione di creare città di tende». Stando ai dati del ministero, sono circa 60 mila gli africani irregolari presenti nel Paese, per lo più provenienti da Sudan ed Eritrea. «Spero che nei prossimi mesi riusciremo a trasferire tutti gli infiltrati nei centri di detenzione e consentire ai cittadini israeliani nel sud di Tel Aviv e altrove di vivere in modo appropriato... in tranquillità e sicurezza», ha concluso. Yishai, denuncia il leader di PeaceNow (la storica organizzazione pacifista israeliana) Yaariv Oppenheimer, alimenta la xenofobia, strumentalizzando il malessere della gente di quartieri periferici nei quali il governo «ha ammassato e abbandonato» il grosso degli irregolari o evocando singoli episodi criminali per additare un’intera comunità. Israele sta anche costruendo un muro di sicurezza lungo i 240 chilometri di frontiera con l’Egitto; il progetto dovrebbe essere completato entro la fine dell’anno. La pronuncia del tribunale israeliano allarma i tanti sudsudanesi presenti nel territorio. «Io davvero non so cosa fare», dice Khaled, uno di loro, che vive con i suoi due figli in Israele dal 2007. «Ci vogliono far tornare in luogo pericoloso. Ho paura di tornare nel mio Paese con i bambini: come faccio a garantire loro un futuro lì?». Anche leOng che avevano presentato ricorso opponendosi al provvedimento si sono dette «rammaricate per la sentenza» e «preoccupate per la sicurezza di coloro – soprattutto i bambini – che sono costretti a rientrare in luoghi pericolosissimi». Secondo fonti governative ogni mese entrerebbero illegalmente in Israele circa 1200 migranti africani, quasi sempre con l’aiuto prima di beduini egiziani e poi di quelli israeliani. Gli africani che riescono a penetrare peraltro sono quelli che sopravvivono al fuoco della guardia di frontiera egiziana. Solo nel 2007-08 sul lato egiziano del confine sono stati uccisi una quarantina di africani. Lo scorso anno una trentina. «Il numero delle vittime è molto più alto - dice SigalRosen, portavoce della Ong Hotline for Migrant Workers - sono convinta che tanti altri migranti siano stati colpiti a morte ma non riusciamo a saperlo perché le autorità egiziane non lo dicono. E non dimentichiamo quelli che vengono feriti o arrestati». I migranti catturati poi in Israele - tranne un numero limitato di quelli provenienti dal Darfur - vengono rispediti in Egitto dove, dopo un processo sommario e una detenzione durissima sono obbligati a tornare nei loro Paesi d’origine, nella migliore delle ipotesi. «Campi di detenzione, espulsioni di massa, aggressioni agli immigrati: tutto ciò è indice di un imbarbarimento sociale e culturale che non può essere in alcun modo giustificato adducendo la crescente insicurezza nei sobborghi di Tel Aviv o laddove più si concentrano le comunità di immigrati », dice a l’Unità Yael Dayan, scrittrice, paladina dei diritti delle minoranze, figlia dell’eroe della Guerra dei Sei giorni, il generale Moshe Dayan. Le preoccupate considerazioni dell’ex parlamentare laburista trovano concorde ZeevSternhell, uno dei più autorevoli storici israeliani: «È come se per trovare una coesione interna Israele debba individuare una minaccia esterna, contro cui fare fronte: lo sono i palestinesi, ed ora anche i sudanesi. Ma questo viversi in una sorta di trincea permanente, una trincea mentale oltre che materiale, finisce per alimentare un’aggressività collettiva che rischia di minare i principi stessi della nostra democrazia».
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