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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - Il Foglio Rassegna Stampa
08.06.2012 Siria, ancora massacri e spari sugli osservatori Onu
Cronache di Viviana Mazza, Luigi De Biase

Testata:Corriere della Sera - Il Foglio
Autore: Viviana Mazza - Luigi De Biase
Titolo: «Scambio di accuse per la strage in Siria, spari sugli osservatori Onu - I segreti della nave fantasma che dalla Siria è arrivata a Ravenna»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 08/06/2012, a pag. 17, l'articolo di Viviana Mazza dal titolo " Scambio di accuse per la strage in Siria, spari sugli osservatori Onu ". Dal FOGLIO, a pag. II, l'articolo di Luigi De Biase dal titolo " I segreti della nave fantasma che dalla Siria è arrivata a Ravenna".
Ecco i pezzi:

CORRIERE della SERA - Viviana Mazza : " Scambio di accuse per la strage in Siria, spari sugli osservatori Onu "


Ban Ki Moon

I presunti video del massacro di Qubair appaiono puntuali, il giorno dopo, su YouTube. Alcuni corpi sono carbonizzati, blocchi di ghiaccio sono appoggiati sui cadaveri di donne e bambini avvolti nelle coperte. «Il ghiaccio serve a preservare i corpi: abbiamo detto alla gente di non seppellirli prima che arrivino gli osservatori dell'Onu, ma in Siria fa caldo», dice al Corriere dalla vicina città di Hama l'attivista trentenne Mousab Al-Hamadee. Sostiene che le vittime del massacro della notte del 6 giugno sarebbero 78, tra cui una ventina di donne e altrettanti bambini: la maggior parte a Qubair. Ci invia 55 nomi, stesso numero raccolto finora dall'Osservatorio siriano dei diritti umani di Londra (una decina di donne, altrettanti bambini). Ma gli osservatori Onu, che potrebbero verificare la veridicità dei video e il conteggio dei morti non arrivano a Qubair. «Sono stati fermati ai checkpoint dell'esercito siriano e in certi casi rimandati indietro», spiega il generale Robert Mood. Aggiunge che «alcune pattuglie sono state fermate da civili nella zona» (non spiega se armati) e «i residenti ci dicono che la sicurezza degli osservatori è a rischio». Poco dopo, il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon riferisce che sono stati sparati colpi di pistola contro gli osservatori, i quali annunciano che riproveranno a raggiungere Qubair oggi, con la luce del sole.
E così restano i due opposti racconti sulle violenze a Qubair, zona di beduini (che in genere non si sono schierati con la rivoluzione) di 30 case appena, a sud del paesino sunnita di Maarzaf. Nella lista degli attivisti, 35 vittime hanno lo stesso cognome: Al-Yatim, che significa «orfano». Il dissidente Al-Hamadee descrive una strage «simile a Hula»: l'artiglieria martella i villaggi; poi arrivano dai vicini centri alauiti (il gruppo cui appartiene il presidente Assad) le milizie pro-regime (gli «shabiha», i fantasmi) che sparano, accoltellano, bruciano. Il governo invece replica che l'esercito è intervenuto su richiesta degli abitanti contro «una roccaforte di terroristi armati» che avrebbero ucciso una decina di civili. Ma per Ban Ki-moon «Assad ha perso ogni legittimità». Al Consiglio di Sicurezza dell'Onu avrebbe aggiunto che contro gli osservatori sarebbero state usate armi pesanti e droni di sorveglianza del regime. Kofi Annan ha ammesso che il piano di pace da lui concordato con governo e ribelli «non è stato applicato»: «La responsabilità primaria ricade sul regime». Ha invitato la comunità internazionale ad «agire in fretta» e a trovare l'unità finora mancata, formando un «gruppo di contatto» che includa anche l'Iran (idea approvata dai russi, non dagli Usa).

Il FOGLIO - Luigi De Biase : "  I segreti della nave fantasma che dalla Siria è arrivata a Ravenna"


Luigi De Biase

Ravenna. Dal Porto Corsini, il canale che guida le navi all’imbocco di Ravenna, Montale guardava le ansie d’oriente e la bellezza stremata della sua musa Dora Markus: erano timori degli anni Trenta, c’era una guerra alle spalle e l’inizio di un’altra appena di fronte. Oggi sul molo si vedono operai con le casacche da lavoro e marinai appena sbarcati che chiedono qual è il modo più veloce e meno costoso per arrivare in città. E da qualche giorno una grosso cargo agita la vita del porto, si chiama Professor Katsman, è lungo 120 metri e pesa cinquemila tonnellate: il suo nome è un caso che coinvolge la diplomazia americana, il governo russo e l’esercito siriano. I primi a parlare della Professor Katsman sono stati quelli di al Arabiya, due settimana fa hanno detto che la nave è partita da San Pietroburgo per trasportare armi al regime di Damasco e la notizia è stata ripresa dall’agenzia Reuters e da debka.com, un sito internet che conosce bene gli affari del medio oriente. Molti hanno cominciato a seguire gli spostamenti del cargo, lo ha fatto anche un’associazione umanitaria, Human Rights First, che ne ha tracciato la rotta: la Professor Katsman era al largo della Grecia il 23 maggio, fra il 24 e il 25 si è mossa verso la Siria, il 26 il segnale è scomparso, ma il 27 il cargo è tornato sugli schermi, nelle acque che separano Cipro dalla Grecia. Alcuni pensano che, durante l’interruzione, la nave abbia fatto scalo a Tartous, il porto siriano costruito grazie alla collaborazione con i russi, e abbia scaricato armi. Si tratta soltanto di ipotesi, è quasi impossibile verificare la circostanza, ma le voci sul viaggio hanno sollevato un dibattito intenso. L’ambasciatore americano all’Onu, Susan Rice, ha detto di essere “assolutamente preoccupata” dalla rotta della nave, e il presidente russo, Vladimir Putin, ha risposto a distanza che il suo paese “non fornisce alla Siria armi che possono essere usate contro i civili”. Il cargo è entrato a Ravenna lunedì mattina, poco dopo le otto. Si trova nella Base Saipem, una delle zone più protette del porto, e sta caricando macchinari da trivellazione che saranno usati in Kazakistan, nella parte nord del mar Caspio. E’ una nave enorme, molto bassa, costruita per viaggiare anche su canali e grandi fiumi. Ha fornito segnali al satellite sino a mercoledì pomeriggio, ma da ieri è scomparsa di nuovo dalle mappe di marinetraffic. com. Al momento di gettare l’ancora era completamente vuota, gli uomini della Guardia di Finanza hanno eseguito numerosi controlli senza rilevare alcuna irregolarità. Al porto dicono che potrebbe riprendere il largo già da oggi. Il cargo appartiene a un armatore russo, North Western Company; è al servizio di Saipem attraverso una società di logistica che si chiama Geodis. Il vero problema non è quel che farà il Professor Katsman nelle prossime settimane, ma stabilire com’è possibile che una nave passi senza troppi problemi da un grosso intrigo a un impegno commerciale. L’Europa e gli Stati Uniti hanno approvato sanzioni contro la vendita di armi alla Siria, ma non possono controllare tutte le strade per Damasco. Un caso simile ha coinvolto un cargo tedesco il mese scorso, l’Atlantic Cruiser, e le autorità turche hanno potuto fermare la nave soltanto grazie al via libera del comandante. Senza un filtro di fronte alle acque della Siria, è impossibile rendere le sanzioni effettive. Occidente e Russia sono sempre più lontani sul dossier: il segretario di stato americano, Hillary Clinton, ha chiesto che Bashar el Assad se ne ada, ma il Cremlino offre segnali di sostegno al regime. Per la pace, come scriveva Montale dal Porto Corsini, è sempre più tardi.

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