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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - Corriere della Sera Rassegna Stampa
08.06.2012 Che cosa farebbe l'Iran con una bomba atomica ?
La risposta è ovvia, ma un think tank pro Obama minimizza i rischi. Commento di Giulio Meotti + un libro che immagina il mondo post-Obama

Testata:Il Foglio - Corriere della Sera
Autore: Giulio Meotti - Redazione del Foglio - Carlo Formenti
Titolo: «L’Iran è irrazionale e antisemita. Non esiterebbe a bombardare Tel Aviv - Può essere ragionevole l'Iran ?»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 08/06/2012, a pag. II, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " L’Iran è irrazionale e antisemita. Non esiterebbe a bombardare Tel Aviv", l'articolo dal titolo " Può essere ragionevole l'Iran ?"  ", preceduto dal nostro commento. Dal CORRIERE della SERA, a pag. 45, l'articolo di Carlo Formenti dal titolo " L'America ventura dei Califfi" , preceduto dal nostro commento.
Ecco i pezzi:

Il FOGLIO - Giulio Meotti : "L’Iran è irrazionale e antisemita. Non esiterebbe a bombardare Tel Aviv "


Giulio Meotti 

Quando lo scorso febbraio a Teheran è rimasto ucciso in un attentato Mostafa Ahmadi Roshan, vicedirettore della centrale per l’arricchimento dell’uranio di Natanz, la moglie dello scienziato è stata intervistata dalla agenzia Fars. Quando le è stato chiesto quale fosse il principale scopo del lavoro del marito, la donna ha risposto: “La distruzione di Israele”. Roshan era un brillante scienziato e un islamico devoto. Proprio come Fereydoon Abbasi Davani, il fisico atomico al vertice del Walhalla nucleare iraniano, ma anche uno dei capi ideologici dei pasdaran, il corpo difensore della visione del fondatore, l’ayatollah Khomeini. Eppure, come dimostra il paper che pubblichiamo sul Foglio, la vocazione “razionale” del regime iraniano è sempre più egemone nelle cancellerie e nei pensatoi occidentali. Nel 2007 l’allora presidente francese, Jacques Chirac, disse che la bomba iraniana non avrebbe avuto alcun uso offensivo. “Dove dovrebbero tirare la bomba, su Israele?”, chiese un vecchio cinico come Chirac. Prima di morire, Khomeini era stato chiarissimo sulla possibile distruzione di una moschea se questa fosse stata nell’interesse dell’islam: “Noi non adoriamo l’Iran, ma Allah. Il patriottismo è un altro nome per il paganesimo. Che bruci questa terra affinché l’islam emerga trionfante”. Anche un leader “moderato”, come l’ayatollah Hashemi Rafsanjani, ha giustificato l’uso di armi atomiche contro Israele: “L’impiego di una bomba atomica non lascerebbe nulla dello stato ebraico, ma se la stessa venisse utilizzata nel mondo musulmano produrrebbe solo dei danni di minor entità”. La leadership iraniana è interessata alla sopravvivenza e deposita denaro in conti all’estero, ma non esiterebbe a sacrificare milioni dei suoi “martiri”. I mullah non sono come la giunta di militari in Pakistan o gli autocrati sauditi. E’ una leadership antisemita, apocalittica, ossessiva, che avrebbe una tentazione fatale nel potenziale utilizzo di armi atomiche. E’ vero che l’atomica servirebbe all’Iran per consolidare il regime e per egemonizzare il golfo Persico. In questo senso i mullah sono “razionali”. Ma l’Iran è prima di tutto una “rivoluzione” che agisce per il “tablighi eslami”, la propagazione dell’islam, e la “sudur inqilab”, l’esportazione dell’ideologia. Per questo Abdul Qadeer Khan, lo scienziato che ha aiutato gli iraniani ad accendere le centrifughe, la chiama “bomba islamica”. Esiste, dentro al regime iraniano, una corrente messianica che fa capo a Mahmoud Ahmadinejad e che crede nella “mahdaviat”, il ritorno del Messia che precede la fine del mondo. Non importa che Israele o altri possano rispondere a un attacco nucleare. Non conta quanti morti si fanno per la vittoria dell’islam. Il medio oriente passerà da una “tribolazione”, un evento catastrofico. Il regime non è soltanto antisionista, è antisemita. Mohammad Hassan Rahimian, rappresentante della Guida suprema Ali Khamenei, ha detto: “L’ebreo è il principale nemico del fedele e una grande guerra determinerà il destino dell’umanità”. Per il mentore di Ahmadinejad, l’ayatollah Mesbah Yazdi, “gli ebrei sono i più corrotti della terra” e “i veri nemici dell’islam”. Per questo fra il 1992 e il 1994 agenti iraniani sono andati fino a Buenos Aires per uccidere dozzine di ebrei. E nel celebre “manifesto” scritto da Khomeini a Najaf nel 1970, l’allora sconosciuto ayatollah diceva che l’ebraismo complotta dal tempo del Profeta contro la “umma”, la società islamica. La congiura ebraica antimusulmana si è incarnata in Israele. L’atomica iraniana è una minaccia “strategica” per Europa, America e paesi arabi sunniti, ma è una minaccia “esistenziale” per Israele. Per distruggere il popolo ebraico, Hitler dovette bruciare l’Europa. Gli iraniani devono semplicemente lanciare una testata su Tel Aviv. Il regime ha la volontà per farlo. Non deve ottenere anche i mezzi. Chi avrebbe mai detto che Osama Bin Laden, quando nel 1998 dichiarava “guerra ai crociati e agli ebrei”, tre anni dopo avrebbe veramente incendiato New York?

Il FOGLIO - " Può essere ragionevole l'Iran ?"


Ritratto di Hitler con una bomba atomica : " Che Shoah ?"
Sulla bomba c'è scritto : " Cancella Israele dalle carte geografiche "

Il think-tank che ha prodotto l'articolo che segue è molto vicino all'amministrazione Obama, perciò non stupisce che, di fatto, consigli di non attaccare preventivamente.
Secondo gli autori dell'articolo, l'Iran, anche se dovesse dotarsi di un arsenale nucleare, non attaccherebbe Israele perchè è ben consapevole della superiorità militare di quest'ultimo.
La soluzione per evitare un Iran nucleare sarebbe permettere agli ayatollah di essere in grado di ottenere ordigni atomici ?
Ecco il pezzo:

Pubblichiamo alcuni stralci di un paper sulla strategia da adottare con l’Iran fornito dal Center for a new american security, centro studi molto vicino all’Amministrazione Obama sui temi di politica estera. Il report, chiamato “Risk and Rivalry”, è stato redatto da Colin H. Kahl, che ha lavorato al ministero della Difesa dal 2009 al 2011, da Melissa Dalton, che da anni fa da consulente sulle strategie di sicurezza e difesa del governo americano, e da Matthew Irvine, esperto di counterinsurgency che ha lavorato al Cnas a stretto contatto con giornalisti del calibro di Thom Shanker ed Eric Schmitt del New York Times, e di Thomas Ricks. Il paper è stato reso pubblico due giorni fa.

Un Iran dotato di armi nucleari costituirebbe un grave pericolo per gli interessi degli Stati Uniti e di Israele e aumenterebbe le prospettive di conflitti regionali. Ciò nonostante, in questo momento un attacco militare preventivo contro il programma nucleare dell’Iran da parte degli Stati Uniti o di Israele non rappresenta l’opzione migliore e lanciarsi precipitosamente in una guerra rischierebbe di inasprire la minaccia.
Anche riuscendo a dissuadere l’Iran dall’utilizzare o trasferire armi nucleari, un Iran comunque provvisto di tali armi sarebbe un avversario più pericoloso sotto vari aspetti. Convinto che il proprio deterrente nucleare lo metterebbe al riparo da rappresaglie, il regime iraniano aumenterebbe il proprio sostegno letale a Hezbollah e Hamas e commetterebbe un numero maggiore di sanguinosi atti di terrorismo all’estero, causando continue sollevazioni nel Levante. La rivalità tra Israele e Iran potrebbe più facilmente sfociare in crisi tali da aumentare il rischio intrinseco di un’involontaria escalation verso una guerra nucleare. Impedire all’Iran di procurarsi armi nucleari dovrebbe pertanto rimanere una priorità urgente tanto per gli Stati Uniti quanto per Israele. Fino a quando l’Iran non apparirà pronto a trasformare in armi la propria capacità nucleare, tuttavia, l’opzione preferibile è quella di proseguire con l’attuale combinazione di pressione e diplomazia.
Tutte le opzioni, incluse eventuali azioni militari preventive, dovrebbero rimanere sul tavolo, ma occorre che i policy maker riconoscano che i rischi e i costi potenziali connessi all’uso della forza sono elevati. L’azione militare dovrebbe essere lasciata come ultima risorsa, contemplata soltanto dagli Stati Uniti e unicamente a condizioni inderogabili. La “copertura nucleare” La minaccia derivante dal programma nucleare dell’Iran sta crescendo, ma non è ancora imminente. Prove attendibili suggeriscono che l’Iran stia perseguendo una strategia di “copertura nucleare” che mira a sviluppare le capacità tecniche in loco per produrre rapidamente armi nucleari qualora la Guida Suprema dell’Iran decida di farlo.
Teheran ha bisogno almeno di un altro anno, e probabilmente di più, per riuscire a sviluppare armi nucleari. I possibili scenari per il futuro atomico dell’Iran sono molteplici. Se il progresso dell’Iran in campo nucleare continua, Ali Khamenei potrebbe ragionevolmente accontentarsi di fermarsi a una capacità “di soglia” appena inferiore a un armamento che offra una copertura totale. Se invece il regime iraniano sceglie di varcare la soglia del nucleare, le dimensioni e la natura dell’arsenale nucleare dell’Iran potrebbe seguire svariati percorsi, ognuno dei quali darebbe origine a rischi diversi. E’ improbabile che l’Iran faccia un uso deliberato di armi nucleari o trasferisca un dispositivo nucleare ai terroristi per utilizzarlo contro Israele. Il regime iraniano non ha tendenze suicide ed è sufficientemente razionale perché la logica di base della deterrenza nucleare tenga.
Un Iran dotato di armi nucleari sarebbe tuttavia più aggressivo e pericoloso di un Iran sprovvisto di armi nucleari. Se Teheran pensa che il suo deterrente nucleare lo possa proteggere contro le rappresaglie, sarebbe incoraggiata ad accrescere il sostegno al terrorismo all’estero. La rivalità tra Israele e Iran creerebbe il rischio intrinseco di una guerra nucleare non intenzionale. La possibilità di un’escalation nucleare Israele-Iran è stata esagerata, ma non è trascurabile e avrebbe conseguenze potenzialmente devastanti. Mentre i policy-maker cercano di contrastare queste sfide, proponiamo alcune raccomandazioni:
1. Impedire che l’Iran si doti di armi nucleari dovrebbe rimanere la priorità. L’attuale politica si focalizza giustamente sulla prevenzione piuttosto che sul contenimento rispetto alla possibilità che l’Iran sviluppi delle armi nucleari. Gli Stati Uniti e Israele dovrebbero evitare di intraprendere passi che limitino le opzioni diplomatiche. Il migliore risultato della diplomazia sarebbe quello di frenare gli attuali progressi dell’Iran in campo nucleare.
Tuttavia, anche mentre portano avanti in modo aggressivo tentativi di carattere preventivo, i policymaker dovrebbero evitare di tracciare “linee rosse” diplomatiche – soprattutto insistendo affinché l’Iran sospenda completamente l’arricchimento interno dell’uranio – che limitino l’azione dei negoziatori e rendano più difficoltoso individuare soluzioni creative per la minaccia nucleare iraniana.
L’impiego della forza dovrebbe rappresentare l’ultima risorsa. Mentre gli Stati Uniti e i relativi partner ricercano una soluzione diplomatica che forzi l’Iran a rispettare i propri obblighi internazionali, tutte le opzioni, incluse eventuali azioni militari, dovrebbero rimanere sul tavolo. L’attacco dovrebbe essere preso in considerazione soltanto qualora si producano quattro condizioni: sono state esaurite tutte le opzioni non militari; l’Iran ha compiuto una mossa chiara verso l’armamento; si può ragionevolmente presumere che l’attacco ostacolerebbe sostanzialmente il programma dell’Iran; una coalizione internazionale sufficientemente ampia è disponibile ad aiutare a gestire le conseguenze destabilizzanti dell’attacco e a collaborare nel periodo successivo per contenere l’Iran e impedirgli di ricostituire il proprio programma nucleare.
2. Israele non dovrebbe attaccare l’Iran. Un attacco di Israele all’Iran nel breve termine risulterebbe con ogni probabilità controproducente, aumentando i rischi per la sicurezza di Israele e la stabilità della regione. Solo gli Stati Uniti – se avessero esaurito tutte le altre opzioni e si trovassero di fronte a prove inconfutabili che l’Iran è deciso a produrre una bomba – avrebbero una qualche speranza di ritardare in modo significativo il programma nucleare dell’Iran, riuscendo al contempo a tenere unito il tipo di coalizione necessario per un contenimento post attacco efficace.

La dissuasione

Nonostante l’odiosa e inaccettabile retorica dei leader iraniani, il comportamento tenuto dalla Repubblica islamica nel corso degli ultimi tre decenni suggerisce che il regime è razionale. Di conseguenza, esiste un’alta probabilità che la deterrenza nucleare tra Israele e l’Iran abbia lo stesso effetto esistente tra le superpotenze durante la Guerra fredda. Come osserva Michael Eisenstadt del Washington Institute for Near East Policy, la percezione che l’Iran sia irrazionale e irremovibile è “anacronistica ed errata.” Mentre la leadership rivoluzionaria iraniana ha ripetutamente sostenuto la militanza islamica e ha fatto uso della violenza all’estero per promuovere il proprio programma ideologico, ha anche dimostrato un certo grado di cautela, attenzione ai costi e la capacità di fare calcoli strategici quando la sopravvivenza del regime è in pericolo.
Non esistono prove a sostegno dell’ipotesi che l’Iran sia uno stato con tendenze suicide disposto a subire le pesanti rappresaglie che inevitabilmente conseguirebbero all’impiego di armi nucleari. Questo non deve stupire, in quando la sopravvivenza nel tempo della Repubblica islamica è necessaria per raggiungere ognuno degli obiettivi materiali e ideologici del regime, compreso il successo della rivoluzione all’interno della nazione e la diffusione del modello islamico dell’Iran all’esterno. In questo senso, per citare le parole dell’ex capo del Mossad israeliano Meir Dagan, “il regime dell’Iran è estremamente razionale”.
Ruhollah Khomeini definì l’Iran “una nazione di martiri”, ma alla fine degli anni Ottanta stabilì anche il principio della “opportunità” del regime. Questa mossa pragmatica ebbe l’effetto di formalizzare “la supremazia della ragione di stato sui dogmi dell’islam in quanto precetto che guida i processi decisionali dell’Iran”. La politica estera della Repubblica islamica ha mescolato l’impeto rivoluzionario con aggiustamenti prudenti, soprattutto quando si trova di fronte a gravi minacce. Per esempio, nel 1988, davanti al rischio dell’inasprimento di una guerra navale non dichiarata con gli Stati Uniti e alla possibilità di una disfatta devastante per mano delle forze del presidente iracheno Saddam Hussein, Khomeini scelse l’“amaro calice” di un cessate il fuoco con l’Iraq invece di abbracciare il martirio nazionale. Analogamente, nel 2003 l’invasione lampo dell’Iraq a opera degli Stati Uniti insinuò in Teheran il timore che il regime iraniano sarebbe stato il successivo sulla lista nera di Washington, il che indusse l’Iran a sospendere l’arricchimento dell’uranio e a consentire l’effettuazione di ispezioni.
L’Iran vanta una lunga storia come sostenitore di sanguinosi attentati terroristici all’estero. Alla luce di questi episodi, alcuni studiosi sono giunti alla conclusione che il regime è disposto a correre dei rischi molto elevati e potrebbe quindi valutare l’uso di armi nucleari, qualora le acquisisse. Ma da sempre Teheran predilige l’azione nascosta e il terrorismo estero all’aggressione convenzionale e agli attacchi a volto scoperto; proprio perché in questo modo può mantenere un grado plausibile di negabilità e proteggere il regime da pesanti ritorsioni e dal confronto diretto con Israele e gli Stati Uniti. Poiché contro l’Iran non vi è alcuna ritorsione militare in risposta agli attacchi indiretti, è difficile sostenere che i leader iraniani non abbiano fatto bene i loro calcoli. Sembra che, per ridurre la possibilità di rappresaglie, l’Iran abbia calibrato con cura il sostegno da concedere ai propri mandatari. Per esempio, come sottolinea Bruce Riedel, negli ultimi dieci anni l’Iran ha fatto attenzione a limitare l’appoggio ai ribelli in lotta contro le forze statunitensi in Iraq e in Afghanistan, così da escludere una pesante risposta militare da parte di Washington.
Quando gli Stati Uniti hanno lanciato chiari avvertimenti sul rischio di una ritorsione diretta contro le attività iraniane, Teheran ha colto il messaggio. Dopo l’attentato alle torri Khobar del 1996, per esempio, Washington mise in guardia l’Iran: ulteriori attacchi avrebbero portato a una risposta diretta, e infatti non vi furono altri bombardamenti alle strutture statunitensi presenti nel Golfo. Quando nell’estate 2011 i militanti sciiti in Iraq, appoggiati dagli iraniani, diedero inizio a una serie di violenti attacchi missilistici, facendo salire vertiginosamente il numero delle vittime militari statunitensi, gli avvertimenti lanciati pubblicamente dall’Amministrazione Obama e i messaggi privati diffusisi tra gli iracheni convinsero il regime iraniano a fare un passo indietro.

La reazione di Israele

Se il regime iraniano è davvero razionale, realizzerà che un attacco nucleare a Israele scatenerebbe una rappresaglia massiccia – e la deterrenza continuerebbe a funzionare. Anche se Israele ha da sempre adottato una politica nucleare opaca, tutti danno per assodato che abbia un robusto arsenale nucleare. La dimensione e la natura del presunto arsenale non sono chiare, ma le stime pubblicate dicono che comprenda dalle 60 alle 400 testate: le stime più credibili dicono che il numero s’assesta tra 100 e 200 (non si sa se Israele abbia armi termonucleari). La natura e la quantità del potenziale nucleare del sistema d’arma d’Israele sono ugualmente poco trasparenti, ma Israele possiede decine di missili a media gittata Jericho II e sta secondo molte fonti sviluppando un missile Jericho III (potenzialmente con una gittata intercontinentale): entrambi sono teoricamente capaci di portare armi nucleari. I cacciabombardieri F15 e F16 sono anch’essi in grado di trasportare piccole testate nucleari.
La marina israeliana possiede tre sottomarini classe Dolphin non nucleari, e ne ha di recente ricevuto un quarto dalla Germania (che diventerà operativo nel 2013), altri due sono stati commissionati. Alcune fonti dicono che questi sottomarini sono in grado di lanciare missili cruise nucleari Popeye Turbo. Questo presunto mix di forze nucleari fornisce la capacità effettiva di un “second strike”: se mai l’Iran dovesse attaccare con armi nucleari lo stato ebraico, questo potrebbe reagire colpendo le maggiori città iraniane, le basi militari e le infrastrutture economiche.
Se l’Iran si dota di armi nucleari, Israrele si muoverà più velocemente, con tutta probabilità, per migliorare la sua capacità di “second strike” e garantire la sopravvivenza del suo sistema di comando e controllo. Se l’Iran rende pubblico il suo arsenale o fa un test, è probabile che Israele cambi la sua attuale strategia di opacità e renda chiara la sua dottrina nucleare in modo da definire esplicitamente le linee rosse non superabili da Teheran. Anche in assenza di contromosse israeliane, l’Iran vorrebbe comunque dotarsi di alcune decine di armi nucleari adeguate per minacciare in modo realistico uno strike che possa annientare la capacità di reazione di Israele (e se Israele ha davvero capacità di lancio dai sottomarini, pure questo sarebbe insufficiente). Il potenziale iraniano, nel prossimo futuro, è limitato, mentre la forza dei missili balistici e delle difese aeree di Israele è grande: la capacità di Teheran di distruggere o decapitare il sistema di comando e controllo di Israele è estremamente ridotta, pure se i leader iraniani percepiscono Israele come un paese da “one bomb” (o “poche bombe”).
Questa enorme asimmetria tra le capacità di Israele e dell’Iran frena anche i più agguerriti tra i leader iraniani. Se un attacco iraniano fallisse e non distruggesse tutte le possibilità di rappresaglia di Israele, l’Iran subirebbe una risposta devastante da parte dello stato ebraico. Il regime di Teheran sarebbe ancora più frenato dalla prospettiva di una rappresaglia convenzionale o nucleare da parte degli Stati Uniti. Con o senza un’estensione formale dell’ombrello nucleare degli Stati Uniti, l’alleanza di lunga data tra Gerusalemme e Washington e la possibilità di una pressione politica straordinaria negli Stati Uniti per rispondere a un attacco premeditato da parte dell’Iran sono sufficienti per trattenere Teheran. La tendenza complottista degli ayatollah – che vedono l’America grande Satana e Israele piccolo Satana inestricabilmente uniti – renderebbe più concreta la consapevolezza della reazione di Washington a un eventuale attacco a Israele. In più, fino a che l’Iran non sviluppa missili balistici intercontinentali sufficienti a stroncare le difese missilistiche degli Stati Uniti, non può nemmeno minacciare il territorio americano di rappresaglia. Infine, un attacco improvviso a Israele comporterebbe una condanna globale e una prospettiva di risposta internazionale draconiana tali da isolare e punire l’Iran con una potenza che renderebbe difficile per i leader iraniani raggiungere qualsiasi altro obiettivo nazionale.
Di fronte a questa realtà così dura, i leader iraniani realizzano in fretta che qualsiasi potenziale strike contro Israele non farebbe guadagnare nulla e anzi metterebbe tutto a rischio, dissuadendo così fin dall’inizio la possibilità di sferrare un attacco.

CORRIERE della SERA - Carlo Formenti : "L'America ventura dei Califfi "

Dalla realtà alla fantascienza. Ma sarà poi fantascienza ?


Dan Simmons, «Flashback», traduzione di Gabriele Giorgi, Fanucci editore, pagine 585, 9,90

Il terrore che la potenza degli Stati Uniti possa collassare di colpo, distruggendone la ricchezza e devastando la sicurezza e la qualità della vita dei suoi cittadini, è un Leitmotiv della fantascienza americana. Già negli anni Sessanta, ne La svastica sul sole, Philip Dick descrive un mondo alternativo in cui gli Usa, dopo essere stati sconfitti dal Reich e dall'Impero giapponese, divengono una territorio coloniale conteso fra le potenze vincitrici; trent'anni dopo, in Caos Usa, Bruce Sterling immagina le conseguenze di una spaventosa crisi economica che induce la maggioranza della popolazione a regredire allo stato di tribù nomadi.
A questa serie di visioni apocalittiche si aggiunge ora Flashback di Dan Simmons, autore conosciuto per alcuni suoi notevoli cicli, come quello di «Ilium».
Anche qui l'America è stata messa in ginocchio da una crisi catastrofica che ne ha frantumato l'unità politica trasformando le città in teatri di una feroce lotta per sopravvivere, o per guadagnarsi una dose di «flashback», la droga consolatoria che consente a chi ne fa uso di rivivere all'infinito i momenti più felici del proprio passato.
Ma il romanzo di Simmons ha ambizioni che vanno al di là dell'intrattenimento, tanto da poter essere definito una sorta di manifesto della destra americana. Dai dialoghi dei protagonisti apprendiamo infatti che, a causare il disastro, sono stati Obama e i suoi successori, i quali, con le loro politiche «assistenzialistiche», hanno gonfiato il debito pubblico fino a trascinare la nazione al fallimento, mentre con il loro atteggiamento debole nei confronti dell'integralismo islamico hanno favorito l'ascesa del Califfato, un superstato islamico che, dopo avere nuclearizzato Israele e colonizzato l'Europa, si appresta a dare il colpo di grazia a un'America che ha già dovuto cedere parte dei suoi territori meridionali agli invasori messicani.
In questo scenario, che dà corpo agli incubi di ultraliberisti e integralisti cristiani, si dipanano le avventure parallele di Nick, ex poliziotto drogato di «flashback», e del di lui figlio adolescente Val, il quale, abbandonato dal padre, si è aggregato a una delle gang giovanili che infestano le periferie di Los Angeles. Ingaggiato da un boss giapponese (il Giappone esercita di fatto una sorta di protettorato su quanto resta degli Usa) per indagare su un vecchio delitto di cui già si era occupato senza fortuna in passato, Nick dovrà affrontare una terrificante sequenza di sfide, a conclusione delle quali ritroverà il figlio e scoprirà la terribile verità sulle origini del «flashback» e sulla morte della sua amatissima moglie.
Ad onta dei dialoghi infarciti di ideologia, il racconto riesce a mantenere un ritmo avvincente che si fa apprezzare anche da chi non condivide le idee dell'autore.

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