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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa Rassegna Stampa
07.06.2012 Siria, Assad continua con i massacri
Ma è improprio parlare di genocidio. Cronaca di Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 07 giugno 2012
Pagina: 18
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Terzi: in Siria è rischio genocidio»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 07/06/2012, a pag. 18, l'articolo di Francesca Paci dal titolo "Terzi: in Siria è rischio genocidio".


Giulio Terzi, Assad dice al ritratto del padre: "Papà, per te è stato più semplice".

Contrariamente a quello che sostiene il ministro Terzi, in Siria non si rischia nessun genocidio. E' semplicemente un dittatore che massacra i suoi cittadini, ciò che continuerà ad avvenire coi suoi successori. Non è un genocidio, è un massacro.
Ecco il pezzo:

In Siria sono in corso «veri e propri crimini contro l’umanità» e in assenza di un intervento rapido si rischia un «genocidio». Il ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi definisce senza mezzi toni lo scontro che da 15 mesi contrappone Damasco all’opposizione. A ridosso del vertice internazionale di Istanbul e dell’annessa riunione straordinaria dei 55 Paesi «Amici della Siria», il titolare della Farnesina ribadisce il sostegno al piano Annan a dispetto dei risultati «modestissimi» ma esclude che la transizione possa coinvolgere gli Assad, rei d’una strategia settaria costata già «14 mila vittime, compresi mille bambini».

Il tempo concesso da Occidente e Lega Araba al presidente Assad pare agli sgoccioli. Mentre in Siria si continua a morire (ieri sarebbero state uccise oltre 130 persone, un centinaio solo nella provincia di Hama, secondo il Consiglio nazionale siriano), Ankara accelera, volgendo la due giorni originariamente dedicata al terrorismo in un summit tra i ministri degli Esteri dei Paesi più coinvolti nella crisi (Usa, Francia, Italia, Germania, Regno Unito, Qatar, Giordania, Arabia Saudita).

Se è nota l’ostilità della Turchia verso il vicino, con cui condivide 900 km di confine serviti da via di fuga a 25 mila profughi, l’interventismo della Casa Bianca, restia finora a favorire un post Assad che secondo i ribelli costerebbe 12 miliardi di dollari solo nei primi sei mesi, indica un mutato clima internazionale.

Da un lato Mosca e Pechino mantengono il veto alla «soluzione libica» ma iniziano a distinguere la sorte del «cliente» Siria da quella degli Assad. Dall’altro la Lega Araba ha scritto al Consiglio di Sicurezza per chiedere di aumentare il numero degli osservatori Onu conferendo loro l’autorità di fermare le violenze secondo il piano dell’inviato Annan, che sembra ora voler invitare occidentali, Russia e Cina a un nuovo gruppo di contatto per indurre Damasco al dialogo. Infine c’è l’opposizione siriana, che, pur restando divisa, comincia ad attrarre attori importanti come i mercanti della capitale, eccezionalmente in sciopero dopo la strage di Hula, e i businessmen riuniti ieri a Doha per donare 300 milioni di dollari al fronte anti Assad. Insomma, se perfino i pragmatici ricchi mostrano cedimenti il regime dev’essere un po’ in difficoltà (come dimostrerebbero anche i tanti soldati governativi uccisi nelle ultime ore dai ribelli).

«Assad non ha più tempo per fare riforme» dice su Skype un attivista di Homs. Allude alla nomina del neopremier Hijab, ex ministro dell’Agricoltura e colonna del Baath, un cambio che Parigi definisce «pagliacciata».

Washington sa che. come nota Joshua Landis su Foreign Policy, il proprio intervento delegittimerebbe i futuri leader siriani. Ieri però, per la prima volta, il segretario al Tesoro Geithner ha annunciato che l’America è pronta a sostenere azioni più dure contro la Siria nel quadro del capitolo 7 della Carta Onu (quello che consente di isolare totalmente un Paese con dure sanzioni ma può autorizzare anche azioni militari). Il segretario di Stato Clinton insiste a parlare di «transizione», ma il punto d’arrivo non prevede Assad.

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