Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Siria: Assad continua a godere dell'appoggio di Russia e Cina cacciati da Damasco gli ambasciatori europei. Commento di Redazione del Foglio, cronaca di Viviana Mazza
Testata:Il Foglio - Corriere della Sera Autore: Redazione del Foglio - Viviana Mazza Titolo: «Sulla Siria Putin parla cinese - Vendetta di Assad contro l'Occidente: Via i diplomatici»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 06/06/2012, a pag. 3, l'editoriale dal titolo " Sulla Siria Putin parla cinese ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 16, l'articolo di Viviana Mazza dal titolo "Vendetta di Assad contro l'Occidente: Via i diplomatici " . Ecco i pezzi:
Il FOGLIO - " Sulla Siria Putin parla cinese "
Bashar al Assad
L’Europa non è riuscita a convincere Vladimir Putin che è arrivato il momento di affrontare qualche dossier delicato, a partire dalla Siria. Il capo del Cremlino mostra poco interesse per le trattative con l’occidente, schiva gli inviti di Merkel e risponde agli appelli di Hillary Clinton dichiarandosi “neutrale”, ma è chiaro che così rafforza soltanto una parte, ovvero il regime di Assad. E mentre Damasco espelle diciassette diplomatici stranieri, Putin vola in Cina per incontrare il presidente Hu Jintao e chiudere venti accordi commerciali. Nel 2011 gli scambi fra i due paesi hanno superato la soglia degli 85 miliardi di dollari, ma si punta a raggiungere i cento nel 2015. Non è un sogno: l’Authority dell’Onu per l’energia (Iea) dice che il consumo di gas in Cina raddoppierà nei prossimi cinque anni, e la Russia è già pronta ai rifornimenti. Mosca e Pechino sono unite dagli affari e da un approccio simile su molte questioni: fra una firma e l’altra, Putin e Hu Jintao hanno ribadito che non c’è bisogno di alcun intervento in Siria, stroncando così i già deboli tentativi di unire l’Onu contro Assad. Persino i sauditi hanno chiesto ai russi di lavorare per una “transizione di potere” a Damasco, ma la risposta è sempre negativa. In questo passaggio la Cina riesce ad avere più influenza di chiunque altro sulla Russia. Il problema è che ci sono altri dossier su quel tavolo. A Pechino Putin incontrerà il presidente afghano, Hamid Karzai, e quello iraniano, Mahmoud Ahmadinejad: le questioni sensibili si spostano rapidamente sull’asse Mosca- Pechino, lontano dagli occhi dell’Europa e degli Stati Uniti.
CORRIERE della SERA - Viviana Mazza : " Vendetta di Assad contro l'Occidente: Via i diplomatici "
Bashar al Assad
Il governo siriano ha dichiarato «persona non grata» l'ambasciatore italiano a Damasco insieme ai colleghi di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Spagna, Svizzera, Turchia e agli incaricati di affari tedesco, canadese, belga e bulgaro. È la risposta del regime alla mossa di 13 Paesi, tra cui l'Italia, che hanno espulso o dichiarato «indesiderati» ambasciatori e diplomatici siriani in seguito alla strage di Hula, dove sono stati rinvenuti i corpi di 108 siriani, soprattutto donne e bambini. Per quel massacro l'Onu ha detto di «sospettare» forze irregolari del regime, ma il presidente siriano Bashar Assad ha accusato terroristi appoggiati da Stati stranieri. L'espulsione di ieri ha un valore più che altro simbolico, perché la maggioranza dei 17 diplomatici «indesiderati» avevano già lasciato la Siria. La Farnesina ha sottolineato che è stata l'Italia a richiamare da Damasco l'ambasciatore Achille Amerio già lo scorso 14 marzo (l'americano Robert Ford se n'era andato già a ottobre). Il ministero degli Esteri siriano ha infatti motivato la decisione con il «principio di reciprocità»: aggiungendo di sperare che i Paesi in questione «correggano» la propria posizione, cosicché «i rapporti tornino alla normalità». Il ritorno alla normalità sembra improbabile. Ma d'altra parte, benché la strage di Hula del 25 maggio sia stata definita «un punto di non ritorno» dall'inviato dell'Onu Kofi Annan e da molti Paesi, non sembra neppure che la crisi siriana sia destinata a trovare presto una soluzione. L'unico piano su cui la comunità internazionale è d'accordo resta quello in sei punti (tra cui cessate il fuoco, dialogo politico, aiuti umanitari) concordato ad aprile da Annan con il regime e i ribelli, ma mai davvero rispettato. Ieri Damasco ha aperto le porte agli aiuti umanitari, siglando un accordo che consente a 9 agenzie Onu e a 7 Ong di portare medicine, cibo e soccorsi in 4 aree devastate dalle violenze: Deraa, Deir Ezzor, Homs e Idlib. Un segnale positivo dopo che, per mesi, gli operatori avevano cercato invano di ottenere i visti. Il regime siriano dichiara di continuare ad aderire al piano Onu, ma «carri armati e blindati» intorno a centri abitati venivano segnalati fino a ieri dagli osservatori Onu ad Hama. D'altra parte, i ribelli hanno detto lunedì di non essere più vincolati dalla tregua: ora disporrebbero pure di alcuni missili anti tank (secondo fonti del regime ma anche giornalisti sul campo). Così nella provincia di Latakia ci sarebbero stati ieri scontri violenti, con 47 morti, tra cui 22 soldati: e secondo i dissidenti dell'«Osservatorio siriano per i diritti umani», il governo avrebbe mandato gli elicotteri, ma i ribelli avrebbero distrutto 5 carri armati. Nel weekend avrebbero inflitto poi 80 perdite al regime. I ribelli armati hanno chiesto all'Onu di «imporre» la tregua anziché «osservare», o invocano misure quali una «no-fly zone» come in Libia o una «zona cuscinetto». Obiettivo: aiutarli a rovesciare Assad. Ma se l'Arabia Saudita «comincia a perdere fiducia» in una soluzione attraverso gli osservatori Onu (da tempo si dice favorevole a un intervento militare nonché a fornire armi ai ribelli), manca l'accordo su un «piano B». Il presidente russo Putin, in visita ieri dal cinese Hu Jintao (altro membro permanente del Consiglio di sicurezza dell'Onu che ha bloccato i tentativi di chiedere la rimozione di Assad) ha ribadito il rifiuto di «un intervento straniero o di un cambio di regime per mezzo della forza». Pur negando di negoziare con Washington per una transizione politica «stile Yemen», Mosca ha lasciato però aperto uno spiraglio: «La permanenza al potere di Assad non è prioritaria». Mentre la diplomazia procede al rallentatore, il rischio è l'escalation di violenza, non solo tra ribelli armati e regime, ma con un terzo attore in gioco: i fondamentalisti. I presunti qaedisti del Fronte Vittorioso hanno rivendicato ieri l'esecuzione di 13 soldati, e la Giordania ha arrestato due salafiti diretti in Siria per unirsi alla «jihad».
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